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Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 14/10/2014, a pagg. 1, 34 e 35, con il titolo "I registi del terrore sparano immagini", l'analisi di Adam Gopnik.
Il giorno stesso dell'attacco alle torri gemelle un uomo tra i più saggi che io conosca disse che l'alternativa che ci si offriva era interiorizzare le immagini dell'attentato oppure viverlo come un danno subito. Se avessimo consentito alle immagini (gli aerei che esplodono, la gente che salta nel vuoto) di continuare a girarci in mente non avremmo mai superato la cosa. Vivendo l'attentato come un danno — terribile, ma di dimensioni e valenza definite, un crimine atroce piuttosto che un segnale apocalittico — si aveva l'opportunità di andare oltre. Quel saggio allora era malato di un cancro incurabile e quella alternativa era per lui una cima di salvataggio mentale: se vedi il referto della tua risonanza magnetica come una condanna a morte smetti di vivere ancor prima di morire; se invece lo consideri solo la fotografia di una particolare situazione la tua vita va avanti. Questa condotta aveva radici in personaggi come il direttore di volo interpretato da Ed Harris in Apollo 13. Affrontiamo il problema, gente. Non fasciamoci la testa. Che fine ha fatto l'attitudine americana al pragmatismo, al non lasciarsi prendere dal panico? Sparita nel nulla. Le immagini hanno stravinto sul danno — la specificità è andata perduta, sommersa dagli isterismi. Forse la più grave perdita morale degli ultimi quindici anni è proprio questa: da refrattari al panico gli americani sono diventati uno dei popoli più impressionabili del pianeta. Nel New Hampshire, lo Stato di Granito, con le targhe spavalde, la campagna elettorale per il senato è dominata dai timori per la sicurezza. Gli elettori del New Hampshire — comprese, pare, le mamme del New Hampshire, che considerano il terrorismo islamico meno pericoloso dei fulmini durante un picnic, per non parlare degli ubriachi alla guida e del proliferare delle armi da fuoco — sono spaventati al punto da pensare di dare il voto a un repubblicano che fa della "sicurezza" il suo motto. Persino i newyorkesi, che hanno tutte le ragioni di aver paura — anche se hanno imparato sulla loro pelle che o vivi le tue paure o vivi la tua vita, una cosa esclude l'altra — sono spinti dai media di Murdoch, tra gli altri, ad essere spaventatissimi, ben oltre qualunque realistica valutazione del rischio rappresentato da un esercito improvvisato di terroristi in mezzo al deserto. Cos'è che scatena tutto questo panico? Ancora una volta sono le immagini: le "dannate immagini', come avrebbe potuto chiamarle William M. Tweed, detto Boss. I video ripugnanti ( e i fermo immagine che ne sono stati tratti, visto che la riproduzione integrale è stata giustamente limitata ) hanno terrorizzato e indignato il mondo: gli ostaggi americani e britannici inginocchiati nell'immensità del deserto sul punto di venire decapitati nel corso di cosiddette esecuzioni, termine improprio che conferisce all'atto una legittimità procedurale fasulla — per mano di torvi cattivi, dei Ra's al Ghul in carne e ossa usciti dalla Lega delle Ombre. L'omicidio come trovata pubblicitaria non è un'idea nuova, corrisponde esattamente al terrorismo. Ma queste immagini hanno in qualche modo aperto nuovi orizzonti del terrore. E' difficile credere che, se non ci fossero, oggi bombarderemmo l'Iraq e la Siria cercando di eliminare l'Is. Siamo al contempo assuefatti all'immaginario indifferenziato dell'orrore e profondamente vulnerabili rispetto a particolari immagini, immagini di persone come noi, vive e indifese di fronte alla morte. Questi tre elementi — vivi, indifesi, come noi — paiono fondamentali allo scopo di provocare terrore attraverso le immagini. La paura nei vivi ci tocca come non fanno i corpi dei morti ( la più devastante delle foto dell'Olocausto è forse quella della madre sul fronte orientale che stringe al petto il figlioletto mentre i tedeschi fucilano entrambi ). Questi terroristi sono diventati abili a manipolare l'immaginario occidentale. La spiegazione è semplice: il motivo è che loro stessi sono occidentali sotto molti aspetti. Nonostante il gran parlare di nidi di terroristi in Medio Oriente e in Asia Centrale, i capobanda degli attentati dell'11 settembre avevano una formazione in buona parte occidentale - residenti ad Amburgo negli anni novanta, alloggiati in Florida per il loro terribile addestramento. E sono spesso i figli di immigrati in Occidente, esposti alle umiliazioni che reputano inflitte alla propria fede e angosciati dalla mancanza di certezze di una società aperta, a darsi al fondamentalismo, non in sé e per sé, ma come arma contro l'altro oltraggioso, che li disorienta e indigna. Creano l'equivalente in immagini digitali dell'impotenza dell'altro, quello che è stato poi l'obiettivo anche dell' 11 settembre.
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