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La Repubblica Rassegna Stampa
27.09.2014 Un tentativo mal riuscito di ripulire l'immagine dell'islam
Negli articoli di Tahar Ben Jelloun e Anais Ginori

Testata: La Repubblica
Data: 27 settembre 2014
Pagina: 1
Autore: Tahar Ben Jelloun-Anais Ginori
Titolo: «L'altro islam in piazza, fermiamo i boia dell'Is-Jihadisti assassini , l'islam vuole la pace»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/09/2014, a pag.1-17, due articoli sulle manifestazioni pèarigine contro l'Isis da parte della comunità islamica, preceduti da un nostro commento.

Tahar Ben Jelloun: " L'altro islam in piazza, fermiamo i boia dell'Is"

Tahar Ben Jalloun

Come Sergio Romano (si veda il suo pezzo in altra pagina di IC), anche Tahar Ben Jalloun non può cancellare con un colpo di spugna quanto ha scritto finora. Ma anche per lui l'Isis ha suonato la campana, non potendo più sottovalutare i crimini che tutti i gruppi terroristi islamici stanno commettendo in Medio Oriente e nel mondo, Ben Jelloun si occupa solo di Isis, dimenticando quanto l'uso del Corano sia rivendicato da tutte le organizzazioni islamiche che praticano il terrorismo contro gli infedeli. Cioè tutto il mondo non musulmano. Che adesso le comunità islamiche in Europa abbiano capito che non possono fare a meno di condannare l'Isis, se da un lato è positivo, dall'altro non è possibile dimenticare il consenso con il quale hanno sempre accolto- e continuano a fare-  le guerre scatenate da Hezbollah, Hamas - per fare solo due nomi- non molto dissimili dall'Isis nei loro obiettivi. Anche in questo articolo Ben Jelloun ignora la guerra di sterminio di Hamas contro Israele, che per lui rimane IL nemico, pur essendo l'unico stato democratico in Medio Oriente.
Ecco l'articolo:.

Chissà se le migliaia di musulmani che ieri hanno partecipato alla manifestazione davanti alla grande moschea di Parigi, chiedendo che si metta fine alla barbarie dell'Is, hanno pensato che le catastrofi storiche non accadono per caso. E che neppure possiamo vederle come incidenti della storia. Sono state preparate, talora annunciate. Basta cercare un po' per trovanne le origini, riconoscerne le premesse, individuare gli elementi che le hanno permesse e favorite. Eppure, ogni volta ci si stupisce e si grida all'orrore, come se non avessimo né passato né memoria. La "Stato islamico" jihadista del sinistro Abu Bakr Al Baghdadi, autoproclamatosi Califfo, viene da lontano, da un tempo in cui quell'individuo non era ancora nato. Per semplificare, potremmo far coincidere la sua origine con la data del 29 agosto 1946, quando il presidente egiziano Nasser fece impiccare l'oppositore Sayd Qotb, un intellettuale, leader del movimento dei Fratelli musulmani. Un martire. All'epoca, l'islam non era ancora utilizzato come arma di guerra; i suoi valori si contrapponevano a quelli del progressismo marxistizzante, ma soprattutto totalitario. Nasser reprimeva ferocemente migliaia di oppositori, sia islamisti che democratici. La Siria e l'Iraq seguivano l'ideologia baathista, vagamente socialista e decisamente laica. Ma nessuno degli Stati arabi era democratico. Il potere si tramandava di padre in figlio, o si conquistava con la violenza dei colpi di Stato. Fu questo il modo in cui il 29 settembre 1969 il giovane Gheddafi, grande ammiratore di Nasser, si impadronì del potere. Ma lungi dal trasformare il suo Paese in uno Stato moderno, lasciò immutata la sua struttura tribale, e per di più finanziò i movimenti terroristici di varie parti del mondo. La seconda data importante è quella della nascita della Repubblica islamica iraniana, con l'arrivo dell'ayatollah Khomeini, che nel 1978 dichiara: «L'islam è politico o non è». In quello stesso periodo, in nome dell'islam gli afgani cacciano gli occupanti sovietici. Il seguito è noto: l'intervento americano e la comparsa dei Taliban, precursori della barbarie, culminata nella distruzione, nel 1998, dell'arte greco-buddhista, detta del Gandhara; poi, nel marzo 2001, i Taliban fanno saltare in aria le grandi statue del Buddha nella valle di Bamiyan. Scarse le proteste; e nessuna reazione ufficiale da parte del mondo musulmano. E dalla fine degli anni 1970 che le nozioni di jihad e di Repubblica islamica compaiono con crescente insistenza nei conflitti, fino a contaminare la rivoluzione palestinese, che in precedenza non usava lareligione, e men che meno l'islam, come ideologia di lotta. Nell'intento di isolare Yasser Arafat, Ariel Sharon incoraggia con discrezione la creazione di Hamas. Sciiti e sunniti si contrappongono, segnatamente in Libano, dove Hezbollah è molto attivo, armato e finanziato dall'Iran tramite il suo alleato siriano, presente sul territorio libanese. oggi questo movimento dà man forte a Bashar al Assad contro i ribelli laici e democratici. E sembra che vi sia un accordo tra Assad e i leader jihadisti, risparmiati dai suoi bombardamenti. Ecco come l'assenza di una vera democrazia nel mondo arabo e musulmano, l'autoritarismo di capi illegittimi, l'accumularsi di ingiustizie sociali in un contesto di corruzione e di arbitrio convergono per far nascere un'aberrazione come l'attuale "Stato islamico", che ha preso possesso di una parte dell'Iraq e della Siria e minaccia i Paesi della regione. Ma senza l'invasione dell'Iraq da parte delle truppe americane, nel marzo 2003, questo Paese non si sarebbe trasformato in quella distesa di rovine che oggi serve da piattaforma al terrorismo internazionale. Il discorso di Al Baghdadi, la barbarie dei suoi metodi, l'uso che sa fare dei media e delle reti sociali hanno affascinato e attratto molti giovani, di origine non solo araba ma anche europea. Sentiamo sollevare spesso un  interrogativo che brucia: questa violenza è insita nell'islam? Si potrebbe rispondere ricordando la storia del cattolicesimo; ma sarebbe un modo per eludere una domanda imbarazzante. Evidentemente, l'islam predica la pace e la tolleranza e coltiva valori dell'umanesimo; ma al tempo stesso parla anche di jihad, di lotta contro i miscredenti, di apostasia e di molte altre cose, interpretate in maniere diverse. Tutto è relativo, tutto dipende dall'interpretazione che viene data di questo o quel versetto. Di fatto però, l'islam non ha mai postulato il suicidio finalizzato a provocare massacri; non ha mai incitato a catturare ostaggi e a decapitarli. E neppure ha diffuso l'ignoranza per confondere le menti dei deboli e dei malintenzionati. Quanti crimini si commettono in nome dell'islam! Spetta ai musulmani mobilitarsi per smascherare questi barbari; ma non lo fanno, o lo fanno poco, perché sono in preda ai dubbi o alla paura; o peggio ancora, approvano in silenzio ciò che sta accadendo. Lo "Stato islamico" jihadistaè una seria minaccia per tutto il mondo arabo, ma anche per l'Europa. Migliaia di giovani europei, in parte di origine maghrebina, ma spesso anche convertiti, si trovano attualmente sul fronte della guerra condotta dallo pseudocaliffo. Un giorno torneranno in Europa senza essere riconosciuti o individuati, e passeranno all'azione. Perché nella testa di Al Baghdadi e dei suoi pari, la lotta contro l'Occidente è inevitabile, non meno di quella contro gli Stati arabi non islamisti. Resta da sapere chi arma e finanzia questo «Stato» sanguinario. Non dimentichiamo che alcuni movimenti sono stati aiutati in via ufficiosa da vari Stati del Golfo. Solo di recente l'Arabia Saudita ha condannato ufficialmente quel selvaggio «califfato». Ma qualche facoltoso privato del Qatar o dell'Arabia Saudita è stato generoso çon chi ha deciso di combattere per un islam oscurantista e totalitario. Che fare? Se l'America e l'Europa esitano, come hanno fatto nei confronti della Siria, tra qualche mese vedremo i jihadisti europei seminare il terrore nelle città dell'Ue, così come nel Maghreb. L'islamismo radicale ha dichiarato guerra sia all'Europa che al Maghreb. I primi attacchi americani e francesi sono iniziati; ma sarebbe un errore credere che basteranno a porre in condizioni di non nuocere Al Baghdadi e i suoi seguaci. Per prevenire le loro criminali aberrazioni servirebbe una politica comune tra il mondo arabo e l'Occidente. II discorso di Al Baghdadi va preso sul serio. L'uomo ha dato prova di ció che è capace di fare, decapitando quattro infelici ostaggi. Se non lo si combatterà con le armi del caso, se non sarà annientato militarmente, fisicamente, continuerà ad avanzare. Getterà nella sventura i Paesi vicini, manderà i suoi sbirri a massacrare persone innocenti ovunque nel mondo. Al di là del ruolo che viene attribuito all'islam in queste vicende, è urgente che i Paesi musulmani prendano coscienza di un fatto: questo Stato jihadista è destinato a destabilizzarli, a rovinarli, a trasformarli in veri e propri inferni. Si dovrebbe condurre un'inchiesta rigorosa per risalire ai finanziatori di questo Stato, dato che le rapine commesse ai danni delle banche di Mossul non sono certo sufficienti a mantenere un esercito cosa potente. Bisogna che gli Stati arabi si risveglino e si uniscano—una volta tanto—per isolare i barbari, disarmarli e giudicarli. Altrimenti non vi sarà più un solo luogo sicuro sul pianeta. (Traduzione di Elisabetta Horval)

Anais Ginori: "  Jihadisti assassini , l'islam vuole la pace "

Anais Ginori

 Anche la cronaca di Anais Ginori evita accuratamente di citare tutte le manifestaioni antisemite organizzate in Francia da gruppi islamici, insiste sull'islam religione di pace, quando è quanto accade a contraddirla.

Parole amare, un disagio che cresce. «Sono venuta per esprimere la mia solidarietà con la famiglia di Hervé Gourdel non in quanto musulmana». Safya, 34 anni, è stufa di doversi giustificare. «E' dall' 11 Settembre che siamo costretti a scusarci per atti dei quali non siamo responsabili». Aziz Ben-cheik, imprenditore, sintetizza: «Siamo una maggioranza presa in ostaggio da una minoranza». Non è qui per difendere l'Islam, aggiunge, ma per affermare valori universali di pace e tolleranza. «La mia religione deve rimanere un fatto privato. Ma un limite è stato superato, e dunque sono qui». Arrivano alla spicciolata davanti alla Grande Moschea di Parigi. Un gruppo si inginocchia e fa una preghiera per le "vittime di Daesh", nome in arabo dell'Is, con un'accezione spregiativa. «Le prime vittime di questi fanatici siamo proprio noi musulmani» osserva Aziz Ben-cheik, 56 anni. Qualche centinaio di persone, soprattutto uomini. «Sono dei malati mentali, rappresentano solo se stessi. Non è perché indossano un velo che sono musulmani» commenta Yanis Bandhil, studente. Nella banlieue di Seine-Saint-Denis, dove vive, la polizia ha interrogato la settimana scorsa alcuni giovani che avevano frequentato siti jihadisti. «Ma la fede non c'entra» prosegue Yanis. «Basta un attimo e ti ritrovi arruolato. E' terribilmente semplice». La manifestazione è stata convocata dal Consiglio francese del culto musulmano, ventiquattrore dopo l'assassinio di Gourdel. «Basta alla barbarie» è il titolo del raduno. Pochi cartelli, tranne uno grande, proprio all'ingresso della moschea: "Omaggio a Hervé Gourdel". Nelle stesse ore si svolgono manifestazioni simili a Lione, Bordeaux, Nantes, anche a Roubaix, nel nord del paese, da dove è partito Mehdi Nemmouche, jihadista in Siria e poi autore dell'attentato al museo ebraico di Bruxellesnel maggio scorso. In Francia vive la più grande comunità d'Europa, oltre 5 milioni di musulmani. Un modello di integrazione che risale al periodo di decolonizzazione e che qui tutti vogliono difendere. «Non abbiamo paura perché siamo uniti» scandisce la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo. Per molti francesi di origine algerina è come entrare nella macchina del tempo. «Mi ricordo gli anni più bui del nostro paese, quando venivano sgozzate donne e bambini» racconta Fateh Mokl, che ha un piccolo spaccio alimentare non lontano. «L'Algeria—spiega— non è l'Afghanistan. Siamo stati capaci di liberarci dai terroristi. Ora invece ripiombiamo dentro all'incubo». Il rettore della Grande Moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, legge un versetto del Corano. «Chi uccide un uomo, uccide l'umanità intera». La mobilitazione cresce anche sul web con l'hashtag #pasenmonnom che riprende quello dei musulmani britannici #notinmyname. Sul Figaro un gruppo di professionisti musulmani, medici e avvocati, ha sottoscritto l'appello «Anche noi siamo degli sporchi francesi». "Sporchi francesi" è l'espressione usata dai boia dell'Is nel loro video di minacce all'Occidente. C'è molto silenzio, un malessere profondo. «Sono qui per dirvi di rialzare la testa, siate fieri di quel che fate» dice monsignor Jean-Michel Dubost, titolare del dialogo religioso alla Conferenza episcopale. C'è anche un rappresentante della comunità ebraica. Ogni tantosi sente uno slogan. «Islam per la pace», «Daesh assassini». In fondo alla piazza qualcuno urla: «Uccideteli». Ma ogni riferimento ai raid francesi contro l'Is viene accuratamente evitato. «La soluzione è soprattutto nei cuori e nelle teste dei francesi» nota Kamel, che lavora dentro alla moschea. Dall'inizio dell'operazione militare in Iraq, i poliziotti sono raddoppiati intorno al luogo di culto. I controlli di sicurezza crescono, nelle piazze, nel metrò. Un emico è esterno e interno. «Se paura e sospetto si insinuano nello sguardo degli altri— conclude Kamel — avremo comunque perso».

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