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La Repubblica Rassegna Stampa
25.08.2014 Quando il titolo non rispetta il contenuto dell'articolo
Commento di Marek Halter

Testata: La Repubblica
Data: 25 agosto 2014
Pagina: 1
Autore: Marek Halter
Titolo: «Le armi delle idee contro la Jihad»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 25/08/2014, a pag.1-23, con il titolo "Le armi delle idee contro la Jihad", il commento di Marek Halter.
Alcune osservazioni:
1) il titolo non rispecchia il contenuto , ma l'opinione di chi l'ha confezionato. Halter scrive chiaramente che servono sì le idee, ma accompagnate dalle armi.
2) Scrive infatti 'non è solo con le bombe' nella prima riga, e lo conferma nell'ultima.
3) accanto al suo pezzo ce n'è uno di Gad Lerner - che non riprendiamo - sulla Libia. Questa volte se la prende con Sarkozy, e altre banalità.

ecco il pezzo di Marek Halter:


Marek Halter

Non è solo con le bombe che riusciremo a sconfiggere le truppe del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi. Ma se uno Stato, anzi lo Stato islamico come si definisce lui stesso, dichiara guerra ai suoi vicini è necessario rispondergli per le rime. Bin Laden agiva con una logica terrorista, il cui unico scopo era di abbattere il Grande Satana americano. Al Baghdadi, invece, si comporta come il comandante supremo di tutto un popolo, che vuole imporre al mondo un’ideologia derivante dall’Islam più primitivo. E lo sta già facendo in mezza Siria, in gran parte dell’Iraq e in alcuni villaggi giordani caduti sotto il suo controllo. Dobbiamo perciò correre ai ripari. Con un po’ d’ironia potremmo sostenere che dopo la caduta del comunismo l’Occidente s’è finalmente trovato un nuovo nemico da combattere. Purtroppo c’è poco da ridere. E non penso che il nuovo premier iracheno al Abadi possa cambiare le carte in tavola: è troppo tardi, i disastri compiuti dal suo predecessore al Maliki sono difficilmente sanabili, perché c’è ormai troppa diffidenza tra sciiti e sunniti. L’esercito iracheno è stato sbaragliato dalle brigate islamiste e ora chiede ai peshmerga curdi di sacrificarsi per Bagdad. Ma vorrei sapere quanti politici indipendentisti del Kurdistan sono stati torturati nelle prigioni d’Iraq, quando per essere arrestati bastava che ti trovassero una bandiera curda in tasca. Adesso tutto dipende da noi occidentali. E non ci basterà inviare armi per uccidere il nemico. Dovremmo essere abbastanza furbi e generosi da offrire un’alternativa alle popolazioni che oggi vivono sotto il tallone dei fondamentalisti, nella speranza che le nostre proposte coincidano con le loro attese. Il problema è che tutte le minoranze del nord dell’Iraq, siano esse cristiane, yazide, sciite o turcomanne vorrebbero lasciare per sempre le terre dei loro avi. Noi possiamo aiutarle a sconfiggere il flagello islamista, ma non possiamo fare la guerra al posto loro. Se i popoli finora oppressi emigreranno in massa, allora la battaglia contro lo Stato islamico sarà lunga, lunghissima, proprio come temono Obama e gli altri leader occidentali. Noi europei abbiamo a lungo sognato un’Europa senza frontiere, ma nel vicino Oriente è il califfo che abbatte i confini, e lo fa nel sangue e nel dolore. L’Europa unita è stata creata sulla cultura, mettendo assieme Alberto Moravia, Günter Grass e Jean-Paul Sartre, e consentendo a ogni Paese di conservare le sue particolarità, la sua lingua, i suoi costumi. Ciò che propone al Baghdadi è invece un’unica nazione musulmana e totalitaria, incentrata su una sola religione che non accetta diversità né minoranze né altre ideologie. Un po’ come Hitler che voleva creare un’Europa unita ma germanica e nazista. Come è stato possibile arrivare a questo punto? Come abbiamo potuto permettere che le brigate jihadiste conquistassero in meno di un mese un terzo del territorio iracheno? Lo Stato islamico è stato davvero una sciagura improvvisa e imprevedibile? Ancora una volta tocca agli Stati Uniti riconoscere il loro peccato originale: l’invasione dell’Iraq, la cattura e la messa a morte di Saddam, la dissoluzione del partito Baath e dell’esercito iracheno, la nomina di al Maliki che ha accentrato tutto il potere in mani sciite diventando un burattino di Teheran. Tutto ciò senza mai riuscire a ristabilire gli equilibri infranti. Ma adesso è troppo tardi per essere pessimisti. Siamo di fronte a un nemico infido e potente, che dispone di un esercito che avanza instaurando ovunque un’ideologia teocratica. Siamo dunque costretti a fargli la guerra e a vincerla. Sia sul fronte militare sia su quello ideologico.

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