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Lettera43 Rassegna Stampa
14.04.2017 Paradosso Assad: non può governare, ma non può cadere
Analisi di Carlo Panella

Testata: Lettera43
Data: 14 aprile 2017
Pagina: 1
Autore: Carlo Panella
Titolo: «Paradosso Assad: non può governare, ma non può cadere»

Riprendiamo da LETTERA43, con il titolo "Paradosso Assad: non può governare, ma non può cadere", l'analisi di Carlo Panella.

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Carlo Panella

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Bashar al Assad

Assad non sa e non può governare. Assad non può cadere. Queste due verità sono indiscutibili, sono il prodotto di una situazione complessa resa ingovernabile dalla ignavia di Barack Obama e dall’espansionismo iraniano (e russo). Sono verità immodificabili e incorreggibili. Non è necessario spiegare perché Assad non sa e non può governare. Basti ricordare che la guerra civile costata 400-500 mila morti è deflagrata solo e unicamente a causa del suo rifiuto non di abbandonare il potere – poteva perfettamente restare - ma di introdurre serie riforme politiche.

IL DITTATORE SENZA ESERCITO. D’altronde, Assad non può materialmente governare soprattutto per una ragione semplicissima: da tre anni non ha più la forza militare – l’unica a cui si è affidato - per contrastare la ribellione. È questa la ragione – unita alla solida ideologia nazista che dalle origini caratterizza il Baath - del bombardamento chimico di Idlib. È questa la causa di quanto visto a Palmira, a Deir Ezzor e altrove: non appena l’aviazione russa non bombarda più e, soprattutto, le truppe iraniane e libanesi si spostano su un altro quadrante, l’esercito siriano collassa e l’Isis o al Nusra riavanzano.

RIBELLI TROPPO DEBOLI POLITICAMENTE. Detto questo, è indiscutibile anche che Assad non può andarsene, non può lasciare il potere: se questo accadesse si aprirebbe infatti uno scenario ben peggiore di quello libico, per varie ragioni. Innanzitutto la debolezza intrinseca, la scarsissima leadership della rappresentanza politica dei ribelli. La Coalizione nazionale siriana, pur riconosciuta dalla comunità internazionale, si è rivelata sin dall’inizio rissosa, slegata dal Paese, inconcludente. Di fatto, non esiste un consesso unitario dei ribelli non jihadisti, fatti salvi accordi temporanei e fragilissimi come quelli in corso per garantire la partecipazione agli inutili colloqui Onu di Astana. Il campo ribelle è rappresentato così da forze eterogenee e nemiche l’una dell’altra, con una netta prevalenza dell’Isis e di al Qaida (anche se sotto mentite spoglie). Non meno eterogeneo è il fonte dei Paesi islamici che sostengono le varie fazioni: Arabia Saudita, Turchia, Qatar ecc… A queste solide ragioni che giocano a favore della permanenza di Assad al potere, si somma poi una pressione determinante: l’Iran. Barack Obama ha fatto di tutto, in Siria come in Iraq, per favorire la massima espansione egemonica e militare di un Iran da lui rilegittimato sulla scena internazionale dall’accordo sul nucleare.

IL RUOLO CENTRALE DELL'IRAN. Teheran ha incassato gli immensi dividendi di questa strategia americana demenziale e non ha ora nessuna intenzione di deflettere da una zona d’influenza che ormai va dalle rive siro-libanesi del Mediterraneo sino all’Afghanistan. E a tutela di questa sua enorme “provincia” – che i collaboratori del “riformista Rohani” paragonano ai fasti dell’Impero sassanide - è indispensabile e insostituibile il ruolo dell’alauita (sciita) Assad e dei suoi scherani. Cadesse il regime del Baath, l’Iran non sarebbe in grado di trovare una minima rappresentanza dei propri interessi ai vertici del nuovo governo. Dunque, un quadro omogeneo a causa di una colossale eterogeneità circolare dei fini. Un paradosso, di fatto. Che condanna la Siria a uno stillicidio di stragi e l’Occidente ad una overdose di ipocrisia.

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