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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera Sette Rassegna Stampa
20.02.2015 Centro Peres per la Pace: un esempio di come Israele sia sempre pronta al dialogo
Commento di Stefano Jesurum

Testata: Corriere della Sera Sette
Data: 20 febbraio 2015
Pagina: 16
Autore: Stefano Jesurum
Titolo: «Quei progetti umanitari, sintomi di pace»

Riprendiamo da SETTE di oggi, 20/02/2015, a pag. 16, con il titolo "Quei progetti umanitari, sintomi di pace", il commento di Stefano Jesurum.

Le posizioni che si richiamano alla pace sono sempre le benvenute. L'importante è che non perdano di vista la prospettiva generale in cui Israele si trova. Il pacifismo di una parte dell'opinione pubblica israeliana è motivato da nobili intenzioni, ma non deve trascurare la sicurezza dello Stato, un elemento fondamentale senza il quale Israele rischierebbe la scomparsa. Immaginare che la controparte araba palestinese sia pronta per un rapporto di vicinanza pacifica è, purtroppo, ancora oggi fantascienza.
Parafrasando un detto celebre, se vuoi la pace prima sconfiggi il nemico che vuole distruggerti. E' stato sempre così, il pacifismo, invece di portare la pace, ha impedito di riconoscere il nemico che preparava la guerra. Se le democrazie occidentali, con gli Usa, avessero capito le vere intenzioni di Hitler, invece di farsi abbindolare, gli avessero dichiarato guerra in tempo - i suoi progetti di dominare il mondo non erano per nulla segreti, anzi - si sarebbero evitati milioni di morti. La filosofia pacifista è sempre la stessa, soltanto l'ignoranza della storia può farla apparire per quello che non è.

Ecco l'articolo:


Stefano Jesurum


Il Centro Peres per la Pace

Qualcuno ricorda che cosa siano i progetti di medicina "Saving children" e "Formazione" del Centro Peres per la Pace? Credo che a rispondere con un sì saranno in pochissimi.

Eppure non facciamo altro che parlare di come fermare le guerre e gli orrori, di come costruire percorsi di riconciliazione, e ci appelliamo alla memoria celebrando il centenario del genocidio armeno o i settant'anni dalla Shoah e dalla Liberazione. Certo, non si debellano i grandi mali con le piccole buone azioni, tuttavia anche quella è una strada importante, e sono spesso i piccoli-grandi fatti quotidiani più che le roboanti dichiarazioni ad opporsi all'oblio.

Ecco il motivo per cui riparlare di un progetto umanitario che non è nuovo — fu avviato nel 2003 — né particolarmente "rivoluzionario": perché, appunto, sono l'oblio e l'indifferenza su queste iniziative (ce ne sono moltissime, in ogni parte del mondo) che misurano il nostro reale interesse nella lotta all'odio.

E perché tornarci su oggi? Semplice. Ho incontrato Manuela Dviri, in Italia per promuovere il suo bel libro Un mondo senza noi e mi ha raccontato come dal 2010 l'aiuto finanziario al programma di cui lei è uno dei pilastri abbia iniziato a calare sempre più fin quasi a bloccarsi. Sarebbe davvero triste, oltre che un pessimo segnale per chi ha a cuore la soluzione del conflitto mediorientale.

Guardiamo i dati a fine 2014. Saving children ha regalato servizi medici costosi e sofisticati in ospedali israeliani a oltre diecimila neonati e bambini palestinesi che non possono essere curati dal proprio sistema sanitario. Per intenderci: cardiochirugia a cuore aperto, trapianti di midollo osseo eccetera. I più piccoli avevano poche ore di vita, i più grandi non più di 16 anni. Mai un problema con le famiglie né con i dottori o gli ospedali sia israeliani che palestinesi. Come ama testimoniare Manuela Dviri, nella malattia e nella cura della malattia, i "nemici" smettono di esserlo e tornano alla dimensione di esseri umani».

Così si crea empatia, speranza, gratitudine, fratellanza. Ma l'aspetto forse ancora più rilevante è il progetto parallelo di formazione di personale medico palestinese negli ospedali israeliani: oltre 200 specialisti — i tirocinanti fanno capo a 44 ospedali della West Bank e di Gaza; 30 discipline di cui 18 in campo pediatrico e 11 in campo chirurgico — con un training svolto in 29 ospedali israeliani (pensate che i piccoli e i dottori entravano e uscivano da Israele, Autorità Palestinese e Striscia di Gaza anche mentre infuriava la guerra dell'estate scorsa). Possiamo fare qualcosa? Sì, possiamo, informandoci e facendo donazioni su www. amicicentmperes.it

Per inviare la propria opinione a Sette, telefonare 02/6339, oppure cliccare sulla e-mail sottostante 


sette@corriere.it

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