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Il Fatto Quotidiano Rassegna Stampa
23.10.2016 Un Furio Colombo da applauso, in contro tendenza dal giornale che lo pubblica
Una vita spesa bene, anche se da decenni con pessime compagnie

Testata: Il Fatto Quotidiano
Data: 23 ottobre 2016
Pagina: 13
Autore: Furio Colombo
Titolo: «Ma il nemico resta sempre Israele»

Riprendiamo dal FATTO quotidiano di oggi, 23/10/2016, a pag.13, con il titolo "Ma il nemico resta sempre Israele", il commento di Furio Colombo.

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Furio Colombo ha scritto un commento magistrale, da quell'amico di Israele che è sempre stato, una vita da galantuomo sin da quando pubblicò il non dimenticato "Per Israele". Lasciata l'America, il ritorno in Italia. Scelse la politica, eletto in Parlamento nelle file dll'ex PCI, bisognoso di candidature che ne facessero dimenticare il passato comunista, Colombo, alla pari di altri, era perfetto nella parte. Peccato la compagnia, prima nel partito, poi direttore dell'UNITA' (non ancora renziana) e ultimamente al FATTO Quotidiano. Partiti e giornali che lasciavano carta bianca, Colombo poteva dire e scrivere ciò che voleva su Israele. Come avviene sul giornale diretto da Marco Travaglio, che ha una linea in genere molto ostile verso Israele. Linea che non sarà influenzata dagli articoli di Colombo. Speriamo nei lettori, se qualcuno di loro imparerà un po' di storia leggendo questo commento uscito oggi, un risultato, anche se piccolo, sarà stato raggiunto

Ecco il commento:

Immaginate di essere parte di una delegazione presso l'Unesco (dove si va per nomina, una sortadi "chiara fama" e non necessariamente attraverso un percorso diplomatico). Immaginate di avere letto in rete, o nel vecchio pacco di giornali, un po' di notizie. Ci sono le banche in pericolo. C'è il problema dei troppi anziani, c'è la penuria di cibo e lo spreco di cibo, quasi porta a porta, c'è il problema dei rifiuti e dell'inquinamento, c'è la solitudine dei malati e l'abbandono nella penuria di troppi bambini. E poi ci sono le guerre,a cui partecipano tutti, divisi, armati e pericolosi secondo tribù, etnie, tradizioni, religioni, finanziamenti senza fine, produzione libera delle armi. E ci sono le grandi potenze, con i loro leader in scena, mentre nuovi e perfetti bombardamenti scientifici, con e senza pilota, fanno una strage di bambini a strette ondate successive. E poi ci sono, a volte con dettagli terribili, le testimonianze sul morire fuggendo dalle guerre, centinaia di morti in mare ogni notte e le frontiere chiuse e il filo spinato. Chiudete il pacco di giornali o la vostra fonte elettronica di notizie, vi riunite con i vostri colleghi dell'assemblea dell'Unesco e scrivete, discutete e approvate un documento di denuncia, ammonimento e condanna. Sulla guerra, che si fa anche per fame, e dopo avere eliminato gli ospedali, come ad Aleppo? Sui bambini, mai così tante piccole vittime di queste guerre a grappolo che si generano a vicenda, con variazioni frequenti di sostegno e alleati? Sul muro che attraversa Macedonia e Ungheria e blocca il passaggio ai profughi scampati dai naufragi? Sul delitto pauroso e civilissimo della "giungla di Calais" o della chiusura dell'Austria?
No. Ecco l'agenda di lavoro della massima assemblea della cultura del mondo nei giorni che abbiamo appena descritto. Ammonire e condannare Israele perché governa un luogo del mondo, Gerusalemme, su cui gli ebrei non hanno alcun legame e alcun diritto, e dove tutto (nonostante il titolo di anzianità di alcuni millenni) è di pertinenza islamica.
S'intende che la discussione è legittima, benché a molti appaia assurda. S'intende che tutti sappiamo che le motivazioni religiose sono spesso fondate su paradossali interpretazioni della realtà e della storia. Ma all'Unesco? Oggi? Proprio oggi, con precedenza sulle stragi in corso, e mentre Israele resta estraneo alle cento guerre islamiche che sconvolgono il mondo e lo disseminano di vittime, proprio oggi ci riuniamo a discutere e poi a votare e poi a condannare Israele perché sorveglia in modo troppo poliziesco la Spianata del Tempio (un voto su cui l'Italia prudentemente si astiene per dire agli arabi: "Attenzione, business come prima"? Ci sono altre coincidenze che guidano a una lettura di questa strana sequenza di eventi. Scrive Roger Cohen,firma di punta del New York Times (19 ottobre) che non potrà più restare nel partito laburista, che ha eletto Jeremy Corbyn (con un vasto voto popolare) leader di quel partito, un partito che adesso dovrebbe chiamarsi, sul modello hitleriano, nazional-socialista a causa della fortissima deriva anti-israeliana, anti ebrea, anti semita che Corbyn ha lanciato in quel che era il socialismo inglese.
Ma non dimentichiamo che Corbyn è tutt'altro che isolato, nel suo partito e fuori. Del resto era abituale sentir dire dall'ex sindaco di Londra Boris Johnson che "non si vede perché ciò che di demoniaco c'è negli ebrei, adesso non dovrebbe esserci negli israeliani". Nello stesso tempo, e mentre stiamo attendendo di sapere il tanto narrato e filmato e ritardato assalto del mondo libero a Mosul avrà o no successo (probabilmente abbastanza per proclamare la vittoria, ma non abbastanza per occupare e controllare la regione) si moltiplicano le università inglesi che proclamo il boicottaggio delle università israeliane, e che, però, non hanno mai accennato al boicottaggio di università in Siria (Damasco) e Iraq (Bagdad). Tutto ciò spiega perché all'Unesco devono essere stati meravigliati per la sconfessione della prudentissima e tipica decisione italiana di astenersi.
Due principi devono avere guidato le decisioni del nostro ministro degli Esteri e del suo rappresentante. Il primo è che, se due parti si fronteggiano, non è politicamente consigliabile (a meno che sia una cerimonia pubblica) metterti dalla parte dell'israeliano. Prima o poi, in buona parte dei media, risulterà che ha torto. Secondo, se il nemico non è israeliano, i bambini di Aleppo e quelli che galleggiano in mare contano molto meno. Diciamo, come se fossero vittime della natura.

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