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Rassegna Stampa
17.03.2017 Geert Wilders e il risveglio dell'Europa
Riccardo Pelliccetti intervista Luca Ricolfi, Marzio G. Mian intervista Geerten Waling

Testata:
Autore: Riccardo Pelliccetti - Marzio G. Mian
Titolo: «'Il populismo risveglia la Ue dopo vent'anni di errori' - 'Wilders? E' la nostra versione di Oriana Fallaci'»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 17/03/2017, a pag. 1-17, con il titolo 'Il populismo risveglia la Ue dopo vent'anni di errori', l'intervista di Riccardo Pelliccetti a Luca Ricolfi, sociologo ed editorialista del Sole 24Ore; a pag. 20, con il titolo 'Wilders? E' la nostra versione di Oriana Fallaci', il l'intervista di Marzio G. Mian a Geerten Waling, studioso all'Università di Leiden.

A destra: "Sharia per l'Olanda"

Ecco gli articoli:

Riccardo Pelliccetti: 'Il populismo risveglia la Ue dopo vent'anni di errori'

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Riccardo Pelliccetti

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Luca Ricolfi

Roma - Il risultato delle elezioni olandesi ha fatto tirare un sospiro di sollievo nelle cancellerie di molti Paesi europei. Lo spettro di una vittoria del partito populista e anti Ue di Geert Wilders si è dissolto, anche se l'estrema destra è in continua crescita. Molti analisti, però, si attendevano un simile risultato, come il professor Luca Ricolfi, sociologo ed editorialista del Sole 24Ore. «Non sono sorpreso, il rischio che Wilders andasse al governo era già molto limitato. Bisogna sempre tener presente che quando si demonizza un pericolo, esiste una reazione. E proprio l'aspettativa di una vittoria di Wilders ha determinato questa reazione. Come accade in Francia, quando i Le Pen si avvicinano al potere, c'è una reazione delle persone assennate che votano un altro per fermare questa eventualità».

Il premier olandese Rutte è stato riconfermato, anche se il suo partito è in calo. Tutto come prima o il voto cambierà comunque volto all'Olanda? «Secondo me cambierà, ma non sarà il voto a modificare le cose ma la situazione. La dirigenza europea si sta rendendo conto che ha dormito per 20 anni. Penso che nei prossimi anni ci sarà una sorta di riscossa degli europeisti. Il timore di un'altra Brexit, dell'instabilità, dei rapporti con Trump farà sì che le forze europeiste avranno un sussulto. Mi sembra un momento molto favorevole per una riorganizzazione e ristrutturazione anche mentale. Tutti si stanno rendendo conto che l'Europa è stata governata con i piedi, la classe dirigente non è stata all'altezza, dal problema dell'immigrazione alla crescita, dalle banche alla stabilità finanziaria. Ora è possibile, e auspicabile, che si sveglino».

In Olanda ha vinto il centrodestra moderato, ma in campagna elettorale il premier ha avuto una linea dura, come lo stop ai comizi dei ministri turchi o la lettera aperta agli immigrati. È questo che lo ha premiato? «Me lo sono chiesto anch'io, in verità non ho una risposta. Ma penso che in futuro qualche stilla contro l'immigrazione entrerà anche nel vocabolario dei partiti progressisti. Ormai in Europa pure loro si rendono conto di aver sottovalutato, snobbato il problema dell'immigrazione. Quello che ha fatto il Pd in Italia con la scelta di Minniti al ministero dell'Interno, per esempio, è una salto di qualità, impensabile fino a due anni fa. Minniti è uno che ha ben presente il problema immigrazione. Questo tipo di aggiustamento è in atto un po' in tutt'Europa. I partiti progressisti avranno più buon senso».

Facendo un parallelo con l'Italia, pensa questo nuovo corso influenzerà anche il voto nel nostro Paese? «Penso che il tema immigrazione influenzerà abbastanza le elezioni, anche se non è detto che questo vento soffierà a favore della Lega o di Fratelli d'Italia. Potrebbe spingere i 5Stelle o Forza Italia, più sensibili della sinistra al problema. Per prima cosa un elettore esclude i partiti che non vedono il problema e in Italia sono solo due: il Partito Democratico e l'estrema sinistra, tutti gli altri lo vedono. Non mi sento di dire che il voto non premierà Salvini, ma di sicuro toglierà voti alla sinistra. Comunque, guardando le tendenze, Forza Italia dovrebbe sorpassare la Lega. E lo interpreto come un voto di governo. Se fossi un elettore di destra, mi chiederei se ha più probabilità di governare Berlusconi o Salvini e quindi voterei Berlusconi».

La sinistra italiana ha tirato un sospiro di sollievo e ha plaudito la non vittoria populista. Ma i progressisti olandesi sono usciti dal voto con le ossa rotte. Un segnale da cogliere? «L'apertura all'immigrazione non si sa dove porti, ma di sicuro porta lontano dai partiti di sinistra. La cecità di questi ultimi 20 anni è stata troppo grave per non avere un costo politico ed è giunto il momento in cui questa cambiale viene pagata. Non possono riciclarsi in pochi mesi e la gente ha capito che con la sinistra al governo il problema dell'immigrazione non si risolverà mai. Come ho scritto nel libro Sinistra e popolo, in questi vent'anni non hanno proposto delle soluzioni diversi da quelle della destra ma hanno semplicemente ignorato il problema e trattato come deficienti chi vedeva nell'immigrazione un'emergenza. La gente si è sentita disprezzata da questo atteggiamento. Provi a vivere in un quartiere ad alta densità di immigrati... A farne le spese è spesso la povera gente, che la sinistra guarda dall'alto in basso. Ora cercano di correre ai ripari, ma non è una revisione genuina, hanno solo preso paura perché si vota».

Marzio G. Mian: 'Wilders? E' la nostra versione di Oriana Fallaci'

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Marzio G. Mian

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Geerten Waling

Geerten Waling, classe 1986, studioso dei movimenti rivoluzionari europei all'università di Leiden e osservatore del crescente sovranismo olandese, che secondo lui «ha conosciuto l'apice nella reazione del governo Rutte alle provocazioni di Erdogan».

Sorpreso dal risultato di Geers Wilders? «Secondo me Wilders oggi è sollevato. Era terrorizzato dal suo successo, sappiamo che nelle scorse settimane quando gli sottoponevano i sondaggi che lo davano molto più avanti di Mark Rutte, anziché esaltarsi si deprimeva, non riusciva più a dormire. Ha cancellato gran parte dei dibattiti televisivi, non voleva confrontarsi. Anche l'incidente del poliziotto addetto alla sua sicurezza e scoperto a passare informazioni ad un gruppo criminale marocchino è stato usato per evitare uscite pubbliche». All'università di Leiden, un bastione del pensiero libero, casa di Cartesio, Rembrandt, Spinoza, Einstein, Enrico Fermi, il fenomeno Wilders negli ultimi anni è diventato quasi una disciplina a sé, ci lavorano in tanti, giuristi, sociologi, storici della politica. Alcuni di loro, come Geerten, fanno parte di un club libertario che ha fondato Café Weltschmerz, video canale web molto influente nella circolazione delle idee in Olanda.

Qual era allora il suo obiettivo? «Sappiamo per certo che Wilders puntava ad un risultato destabilizzante, non al primo posto. Non si sente in grado di governare, sa che non ne sarebbe capace, non potrebbe nemmeno assegnare alcun ministero a uomini o donne del suo partito in quanto lui è l'unico membro. Gli olandesi ne sono consapevoli da molti anni, Wilders è ormai parte del nostro sistema democratico, parafulmine del malcontento e la voce scorretta che molti vogliono far sentire. Spetta a lui affermare che l'Islam radicale sarà la più grande sfida per l'Occidente, perché Wilders è la versione politica di Oriana Fallaci, che è stata la grande profetessa della nostra epoca. Inoltre lui serve a portare in evidenza le contraddizioni della democrazia, che da una parte lo protegge fisicamente per permettergli di dire nella libera Olanda quel che pensa sull'Islam; dall'altra i giudici olandesi lo censurano e lo condannano per quel che dice sull'Islam».

Condannato all'eterna opposizione? «È parte dell'establishment, infatti non c'è mai stata nessuna mobilitazione antifascista contro di lui. È in politica da sempre e il suo partito ha già 13 anni: Per intendersi non è un uomo fuori dagli schemi come Silvio Berlusconi nel 1992 o Donald Trump. Dice che non accetta compromessi, che governa solo se ha i voti per governare da solo, e sa bene che non accadrà mai. In questo abbastanza simile ai 5 Stelle italiani».

Nessuno prevedeva una così netta affermazione di Mark Rutte. «Wilders puntava proprio sulla non vittoria di Rutte. Invece è stato un successo, nonostante la perdita di sette seggi rispetto alle precedenti elezioni. Successo dovuto alla spregiudicatezza del Premier, che ha cavalcato al momento giusto i temi del repertorio dell'avversario, e ad un grande colpo di fortuna, la crisi con la Turchia. Gli olandesi hanno ottenuto una reazione alla Wilders, ma senza quel marchio d'impresentabilità. Da statista duro, ma autorevole, credibile. Una conferma che Wilders fa parte del sistema democratico olandese».

Sembra quasi un ruolo da rompighiaccio... «È grazie a lui se il multiculturalismo non ha più mercato nella nostra politica, mentre il nazionalismo è stato invece la chiave vincente. Facendo i conti i partiti che hanno fatto leva sull'orgoglio identitario hanno ottenuto il sessanta per cento dei voti. Mi fanno un po' ridere quei leader europei che applaudono alla sconfitta del nazionalismo. Ancora più ridere se sono dell'area socialista, come Hollande o Renzi, quando i laburisti sono pressoché spariti dal panorama politico. La vera notizia di queste elezioni non è tanto il risultato contenuto di Wilders, l'uomo sotto i riflettori del mondo, ma la scomparsa della forza storica della sinistra olandese. C'è poi una lezione utile per i cosiddetti politici mainstream che si stanno sottoponendo all'esame in Francia e Germania: per superarlo basta copiare i compiti dei populisti, come aveva già provato a fare Sarkozy con Marine Le Pen».

Lei è un esperto dei moti patriottici e rivoluzionari del 1848. Vi sono analogie con questa stagione di sommovimenti in Occidente? «C'è soprattutto un elemento in comune, la volontà popolare di scardinare il sistema tecnocratico, il desiderio di costruire un nuovo kosmos di ideali».

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