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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
15.03.2017 Velo islamico: 'E' il simbolo dei fanatici'
Alberto Giannoni intervista Maryan Ismail

Testata:
Autore: Alberto Giannoni
Titolo: «Noi musulmani in ostaggio, quello è il simbolo dei fanatici»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 15/03/2017, a pag. 2, con il titolo "Noi musulmani in ostaggio, quello è il simbolo dei fanatici", l'intervista di Alberto Giannoni a Maryan Ismail.

Per conoscere la vicenda di Maryan Ismail e il suo abbandono del PD milanese: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=253&sez=120&id=63302

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Maryan Ismail

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Milano - Maryan Ismail, lei esibisce foulard coloratissimi e tiene capelli e collo liberi, vuole essere la prima donna-imam d'Italia, ha lasciato il Pd accusandolo di essere prono agli oscurantisti e lotta per un islam liberale. Come vede la sentenza della Corte di giustizia europea sul velo? «Capovolgiamo il paradigma. Poniamo che una donna occidentale viva e lavori in un Paese musulmano, in un'azienda che chiede di non utilizzare abiti che non siano tradizionali locali. A un certo lei punto dice: non mi importa, da domani arrivo con la gonna corta. I clienti potrebbero essere a disagio o scandalizzati e l'azienda la licenzia. L'azienda ha ragione rispetto alla scelta che fa la dipendente: è successo esattamente così».

Che simbolo è questo velo? «Un certo islam minoritario rivendica l'utilizzo di quel tipo di velo, che ho sempre chiamato politico. Chi non lo indossa non sarebbe musulmano».

E invece non esiste questa regola nell'islam? «No, non esiste, lo ha introdotto una piccola parte ultra ortodossa. Come tutte le ortodossie anche la musulmana non scappa a una lettura restrittiva del credo ma l'islam oggi è ostaggio di questa piccola parte che ci vuole uniformati sul velo. Io non sarei musulmana perché ho fazzoletto o collo scoperto? La battaglia è contro chi ci tiene in ostaggio».

Oltretutto l'imposizione è anche etnica? «Certo, noi stiamo soffrendo l'islamizzazione dell'islam. Ci impongono codici che sono una lettura esasperata del Corano. Questa minoranza, che conosciamo bene, si porta avanti come un virus nelle nostre culture e tradizioni, che vengono soppresse. Abbiamo il Daesh, l'Isis, Al Qaida, punte estreme e militarizzate, ma anche spazzandole vie resta il fatto che nelle nostre scuole coraniche, nella nostra vita, si è inquinata la ricchezza dell'islam che è vario e grandissimo. Da quello indiano al marocchino, da quello pakistano a quello sub sahariano».

Dal Pakistan al Marocco, un velo uguale per tutte. «Petroldollari e monarchie si sono divise il campo con gli stessi risultati. Non si può parlare di Fratelli musulmani in Arabia. Ma wahabiti, salafiti e Fratelli musulmani usano questo codice per colonizzare».

C'è anche un'imposizione maschilista. La terza, oltre a quella religiosa ed etnica. «C'è un patriarcato che utilizza l'islam ma io non credo che tutti gli uomini siano patriarchi. Spesso ragionano per tutelare la donna: Preferisco che si metta il fazzoletto piuttosto che vederla insultata».

A Milano nessuno insulterebbe una donna per il fatto che è senza velo. «Appunto, ma in moschea, dove si trova ascolto e aiuto, per prima cosa si chiede alle donne di coprirsi. Le seconde generazioni poi, sono cresciute con un immaginario nuovissimo. Alle ragazze pare normale dopo le mestruazioni mettersi il velo. Ci sono riti di messa del velo anche molto carini».

La formula: libere di portarlo e libere di toglierlo la convince? Lei sembra non contestare una scelta individuale libera ma il fenomeno la preoccupa molto? «Il fenomeno preoccupa quando diventa di massa. Parliamo di integrazione ma c'è una polarizzazione che fa paura. E, sotto, un racconto che non sta né in cielo né in terra».

Quindi prende sul serio anche il divieto di burkini? «Certo, e dico alle burkinizzate e alle velate: se questo è un diritto, dovete scendere in piazza per il diritto di indossare il bikini. La minigonna è libera? Vai a indossarla in Iran oggi. Il problema è non ammettere questi diritti per le altre. Invece di fare proclami, se fossero coerenti farebbero una battaglia per le minigonne in certi Stati e per il bikini in certe spiagge. Se è a senso unico non mi sta bene».

Lei, estenderebbe al pubblico un divieto del genere? «Se pubblico lo stato ritiene di fare un'azione del genere bisogna vedere e comprendere bene i casi concreti. Non lo farei nel senso che non è una necessità, a meno che non ci siano particolari esigenze di servizio».

La sentenza è su tutti i simboli religiosi. Uno Stato laico cosa fa? Vieta tutto? «Se è laico li ammette tutti, a meno che non ci siano problemi di ordine pubblico. In questo caso c'è un servizio rivolto a tutti e l'azienda ritiene che debba essere svolto così».

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