giovedi` 28 marzo 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Rassegna Stampa
25.06.2016 Come definire uno che chiama gli americani unter-menschen ?
Fiamma Nirenstein recensisce Richard Millet

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Razzismo, un'accusa per tappare la bocca al pensiero 'scorretto'»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 25/06/2016, a pag.40, con il titolo "Razzismo, un'accusa per tappare la bocca al pensiero 'scorretto' "la recensione di Fiamma Nirenstein al libro "L'antirazzismo come terrore letterario" di Richard Millet.

Immagine correlata

Condividiamo le riserve espresse da Fiamma Nirenstein nel recensire il saggio di Richard Millet. Criticare gli effetti disastrosi del multiculti in Europa, respingere le accuse di razzismo sono difese più che lecite, ma non quando si definiscono gli americani 'sotto-uomini', la traduzione del nazista "unter-menschen" come Hitler definiva gli ebrei. Così come non basta definirsi amici di Israele o aver capito il pericolo che l'islam rappresenta per le società democratiche quando si usano parole come 'unter-menschen'.

Ecco la recensione:

Immagine correlata
Fiamma Nirenstein

Ci vuole coraggio a pubblicare Richard Millet, lo scrittore francese che è stato anche l'autore di un paradossale e provocatorio Elogio letterario di Andres Breivik, l'assassino di 77 ragazzi sull'isola di Utoya in Norvergia. Ne ha avuto a bizzeffe l'editore Liberilibri, mettendo fuori un libretto azzurro dall'apparenza accademica: L'antirazzismo come terrore letterario con una altrettanto audace introduzione di Renato Cristin, professore di Ermeneutica filosofica all'università di Trieste, di fatto un saggio parte del testo più che interpretazione dello scritto di Millet.
Forse la differenza maggiore sta nel fatto che l'intervento di Cristin, meno letterario, si può dire meno francese nella ridondanza grammaticale e risulta più vicino al lettore. Nel testo di Millet un lettore anche abituato ai testi più esoterici può imbattersi in aggettivi come «ipermnestico», in nome della ricchezza della lingua che l'autore vede come il centro della perduta identità europea. Pazienza.
Millet sarebbe il razzista-non razzista, perseguitato dal terrorismo di un immensa rete volenterosa e «devota» di attivisti della destrutturazione europea. In generale il ragionamento di Millet è interessante e in buona parte condivisibile, e soprattutto lo è la sua appassionata difesa di sé stesso. Millet si vede come un perseguitato, peggio ancora, un appestato, o ancora di più, un untore, che una società confusa, ideologica, bugiarda e anche feroce (quella sì, non lui, sostiene) ha condannato per avere detto la verità sul suicidio collettivo della mente, del cuore, della lingua, dell'identita europea. E proibito parlare del multi-culturalismo e dell'immigrazione se non in termini entusiasti, patetici, consenzienti. L'accusa di Millet non è generica, ma specifica: coloro che privano l'Europa delle sue culture specifiche per consegnarla nelle mani della confusione destrutturante delle teorie dell'accoglienza sono i gruppi che hanno acquisito il potere euro-comunitario. Millet è il teorico del disgusto per la supponenza funzionale e la ristrettezza visuale del burocrate, come dice Cristin, che, con l'indispensabile aiuto degli intellettuali e della borghesia politically correct, opera una de-strutturazione dei temi di identità, patria, radici, religione... per consegnare l'Europa, sadicamente, nelle mani della scelta di dissolversi in quello che chiama multiculturalismo, ma che in realtà è il buio della ragione.
Millet non è radicalmente contro l'accoglienza, ma pensa che debba essere misurata, forse temporanea, certamente tesa all'assorbimento e non alla distruzione dell'identità del popolo che accoglie. Rivendica il diritto a preferire una cultura a un'altra, chiama Lévi-Strauss a testimone della giustezza della sua scelta e del pericolo mostruoso in cui si sta cacciando chi ritiene che la poligamia sia come la monogamia o la cultura francese come quella dello Zambia, e denuncia la distruzione della cultura francese, scrittore dopo scrittore, parola dopo parola, l'obliterazione dell'eccellenza che caratterizza «Montaigne, Bossuet, Voltaire, Chateaubriand, Proust, Claude Simon, de Charpentier, Debussy, Fauré, Dutilleux, Philippe de Champaigne, Chardin, Corot, Manet, Balthus» e quanti altri Millet evocherebbe!
Con la loro perdita l'autore spiega la tristezza che lo prende in una Francia multirazziale e multiculturale in cui l'immigrato non sappia, e anche non voglia, nutrirsi di questo humus indispensabile. La parte migliore di Millet, che però non regge fino in fondo, è proprio il suo urlo di stupore di fronte all'irrazionalità del multiculturalismo accecato dall'ideologia: «E forse criminale» dice «pretendere di nominare le cose, e dire non solamente il colore delle persone, la loro etnia, la loro razza, il loro comportamento ma anche il dolore che è mio, nel constatare che ciò in cui sono stato educato viene dichiarato obsoleto, ovvero nocivo, e che non posso considerare che coloro che mi circondano non sono "come me" mentre sono presi dell'alterazione mimetica dell'altro e che essi non vogliono diventare "come me", né io ciò che loro sono, poiché essi non sono emigrati per diventare francesi ma in certi casi per trionfare sulla specificità francese in nome dell'islamocentrismo».
Il paradosso, dice Millet, è che io per loro non sono che «un non convertito all'Islam» e ai «valori» del Nuovo Ordine morale, un «eretico per difetto quanto per necessità». Insomma Millet dice che di fatto il mondo super aperto e iper tollerante che lo ha messo al bando e lo criminalizza, è il contrario di quel che pretende di essere, disegna una nuova dittatura sociale e culturale che, e lui ne è la dimostrazione vivente, ha già creato un apartheid. Non solo: si sentono lontano le cannonate e i rombi di un mondo ignorato, e fin'ora minoritario, che si prepara a una grande ribellione contro gli impettiti custodi della nuova moralità.
Millet dice che l'accusa di razzismo è una nuova grande accusa razziale, che anzi essa appartenga a un milieu fascistoide fatto di sindacati, associazione di scrittori, di leghe, di laboratori... e la rifiuta con tutto sé stesso, come rifiuta di essere quel fascista che è stato accusato di essere. Si vede come un sincero osservatore della realtà, cui è proibito di dirlo. E ha ragione. Ma la passione ideologica francese è il suo rischio, mi lasci Millet dire che la sua furiosa antipatia per gli americani, (parla addirittura di sotto-uomini americani), il vedere la cultura americana come un epifenomeno nel mondo occidentale e anzi un sanguisuga da cui liberarsi, il considerarla tout court un'alleata dell'islamismo, funziona poco nel ragionamento, come pochissimo funziona il suo prendersela con i nuovi diritti dei gay, con una lotta che non ha alcun tono anti-occidentale (il contrario, dato il modo in cui i gay sono considerati nel mondo islamico) e che non si capisce perché consideri come un elemento di de-strutturazione.
E Millet prende anche un bel granchio (e lui non è antiisraeliano) quando vitupera l'orrore delle cricche «devote» all'antisemitismo e la sacralizzazione della Shoah: beh, qui proprio vede doppio, dato che è proprio nella sinistra francese, la sua nemica, che non vige più nessun tabù sugli ebrei, basta che l'antisemitismo si travesta un pochino da critica a Israele e gli sghignazzi investono anche la Shoah.

Per inviare la propria opinione al Giornale, telefonare: 02/85661, oppure cliccare sulla e-mail sottostante 


segreteria@ilgiornale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT