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Italia Oggi Rassegna Stampa
26.08.2017 Ricordare Jerry Lewis con un libro stravagante quanto lo era lui
Recensione di Diego Gabutti

Testata: Italia Oggi
Data: 26 agosto 2017
Pagina: 5
Autore: Diego Gabutti
Titolo: «Erano i tempi in cui Jerry Lewis, un ebreo allora diciannovenne, debuttava a Las Vegas esibendosi travestito da Carmen Miranda»

Riprendiamo da ITALIA OGGI del 26/08/2017, a pag.5, con il titolo "Erano i tempi in cui Jerry Lewis, un ebreo allora diciannovenne, debuttava a Las Vegas esibendosi travestito da Carmen Miranda" la recensione al libro "Jerry Lewis e James Kaplan, Dean e Me. (Una storia d'amore), Sagoma 2012, di Diego Gabutti.

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Giorni fa, quano Jerry Lewis è morto, non abbiamo pubblicato nulla, anche se è stato uno degli attori più grande del secolo scorso, non solo attor comico, ammirato dai più grandi registi europei. In Usa, pur essendo i suoi film record di incassi, non fu mai apprezzato dalla critica. I pezzi usciti sui giornali erno tutti buoni, sceglere era difficile. La soluzione ce la offre oggi Diego Gabutti, autore di una recensione a un libro stravagante quanto poteva esserlo Jerry Lewis - nato Joseph Levitch-  una biografia che racconta l'America dagli anni '50 in avanti dalla prospettiva Hollywood, perchè no, ebraica.

Era un'America brumosa, in bianco e nero, senza televisione, spaventata sia dalle spie atomiche che dalle bombe atomiche (ma anche un po' dagli Ufo e dai beatnik); un paese abitato da donne con i capelli cotonati e da uomini che portavano calzoni con la vita sotto le ascelle. In un'America così ai comici, agli attori e ai cantanti non bastava essere bravi. Dovevano essere anche originali, e interpretare lo spirito del loro tempo, per emergere dalla folla degli artisti soltanto bravi. E neanche questo bastava: dovevano saper coltivare le amicizie. In particolare l'amicizia dei malavitosi, all'epoca padroni incontrastati di casinò, grandi alberghi e night club, dove gli artisti s'esibivano sera dopo sera, quando non c'erano ancora i serial di Netflix né le pagine di film in streaming sul telefonino e la gente, se voleva divertirsi, doveva uscire di casa e cercarsi uno svago in carne e ossa. Bravi e originali, Dino Paul Crocetti (in arte Dean Martin, nato in Ohio nel 1917, morto nel 1995) e Jerry Lewis (nato nel 1926 a Newark, New Jersey, e scomparso qualche giorno fa a Las Vegas) diventarono una coppia comica quando bazzicavano il circuito degli hotel e delle case da gioco in odore di mafia. Accadde per caso. Martin, un cantante italiano che all'epoca imitava Bing Crosby e Frank Sinatra, aveva incontrato Jerry Lewis, un ebreo diciannovenne che s'esibiva travestito da Carmen Miranda, qua e là nel circuito degli artisti di mezza tacca. Anche Martin, come Lewis, era un comico nato, benché ancora non lo sapesse nessuno, e quando una sera, Marilyn Monroe, del maccartismo, di Elvis Presley e del Giovane Holden, di Kennedy presidente e del suo assassino, delle file di spettatori in attesa davanti ai botteghini dei teatri di Broadway mentre lui stava cantando, Lewis balzò fuori dalle quinte vestito da cameriere e, agitando nell'aria una bistecca infilzata in un forchettone, strillò: «Chi ha ordinato una bistecca?», Martin stette subito al gioco. Improvvisarono un numero (quello dell'«italiano belloccio» e della sua «scimmia», come li avrebbe definiti il tycoon hollywoodiano Louis B. Mayer) che in breve sarebbe diventato un classico. Martin cantava mentre Lewis saltava sui tavoli, tagliava le cravatte ai clienti dell'hotel, lanciava secchi d'acqua sul cantante in smoking, rubava il trombone ai musicisti. Questo numero, che oggi ci lascia perplessi, risultava irresistibile per il pubblico dell'epoca: l'equivalente anni 40 e 50 dei dialoghi dei Marx Brothers uno o due decenni prima. Avrebbe generato spettacoli televisivi, trasmissioni radiofoniche, canzoni di successo e film belli e brutti (tra cui almeno un classico del cinema,Artisti e modelle, firmato da Frank Tashilin nel 1954). Alla fine, dopo dieci annidi baraonda, Martin e Lewis si separarono. Fu un brutto divorzio, in stile Ragazzi irresistibili: i due non si rivolsero più la parola per vent'anni, quando la morte d'uno dei figli di Martin li riavvicinò (non molto ma un po'). Svanita l'allegria d'un tempo, l'ex diciannovenne era diventato un tossico di sessant'anni che abusava d'antidolorifici; l'«italiano belloccio» un vecchio ubriacone. Entrambi avevano, come si dice, un grande futuro dietro le spalle. Lewis, oltre che un comico di genio, era stato un grande regista (secondo Jean-Luc Godard e la nouvelle vague parigina, era un regista del calibro di Chaplin e Buster Keaton). Martin, oltre che un cantante d'immenso successo e un membro del «Rat Pack», il clan di Frank Sinatra, fu uno straordinario attore, sia di commedie che di film drammatici (Baciami stupido di Billy Wilder, Un dollaro d'onore di Howard Hawks). Ma dopo la metà degli anni 60 le carriere d'entrambi s'arenarono: Martin interpretò film sempre più dozzinali (la serie di Matt Helm, Airport) e Lewis uscì dal circuito delle grandi produzioni (The Day the Clown Cried, film del 1972 su un clown ebreo internato in un lager nazista, non fu mai nemmeno distribuito, anche se Roberto Benigni, autore di La vita è bella, deve averne sentito parlare). Dean e Me, l'autobiografia che Jerry Lewis scrisse con l'aiuto di James Kaplan, mette in fila tutti questi ricordi in una straordinaria storia d'amicizia, d'amore e tradimento. E anche una bellissima storia dell'America pre Internet e pretelevivisa, l'America dello show business gestito da uomini con la pistola sotto l'ascella e troppa brillantina nei capelli, delle serate al ristorante con Marilyn Monroe, del maccartismo, di Elvis Presley e del Giovane Holden, di Kennedy presidente e del suo assassino, delle file di spettatori in attesa davanti ai botteghini dei teatri di Broadway, d'Un dollaro d'onore, d'Artisti e modelle. Dean e Me, oltre che un libro di memorie, è anche e forse soprattutto un libro di storia. Jerry Lewis, «la scimmia», non poteva congedarsi meglio di così dai suoi fan.

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