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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.10.2017 Difendiamo i kurdi
L'appello di Bernard-Henri Lévy

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 ottobre 2017
Pagina: 19
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Stop all’invasione di Kirkuk: difendiamo i curdi»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/10/2017, a pag. 19, con il titolo "Stop all’invasione di Kirkuk: difendiamo i curdi" l'appello di Bernard-Henri Lévy.

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Bernard-Henri Lévy

Ieri mattina, 16 ottobre, si è avverato quel che si temeva: unità paramilitari, appoggiate da alcuni elementi dell’esercito iracheno, hanno attaccato nella zona di Kirkuk. Il presunto esercito «federale» di Bagdad ha messo in atto le proprie minacce e, pur col rischio di rovinare per sempre le possibilità di una coesistenza con i curdi, ha risposto al referendum pacifico dell’ultimo 25 settembre con un’azione di forza vendicativa. Là dove ieri Saddam Hussein si era dato da fare con gas e deportazioni, oggi ci sono gli altri, i suoi successori sciiti al soldo di Teheran che inviano i carri armati, l’artiglieria e i katiusha contro le aree petrolifere e quindi contro il polmone vitale del Kurdistan.

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Oggi come ieri, lo scandalo raddoppia, grazie al fatto che i Paesi «amici» dei curdi, quelli che per due anni hanno fatto affidamento su di loro per tenere testa e mettere in scacco Daesh, mentre mi trovo a scrivere queste poche righe non rispondono in altro modo che con un silenzio assordante ed hanno l’aria di voler abbandonare alla propria sorte tutti questi uomini e donne che si sono battuti anche per loro. Che si sia favorevoli o meno a questo referendum, del quale il presidente Barzani ha sempre detto non essere altro che il preludio democratico ad un negoziato con Bagdad, non è accettabile che il prezzo da pagare sia un atto di forza che va ad aggiungersi al blocco aereo e delle frontiere, alle misure di ritorsione economica e alla trasformazione del territorio curdo da due settimane in una prigione a cielo aperto. Che si sia a favore o contro l’indipendenza del Kurdistan, a favore di una sovranità totale o limitata, una cosa va al di là dell’immaginabile: ovvero che si risponda a un’offerta di dialogo con l’invasione e che un Paese intero possa essere preso per la gola come nulla fosse. Anche se gli scontri dovessero segnare il passo nelle prossime ore, è necessario un avvertimento solenne per la comunità internazionale, affinché vada ad intimare all’Iraq (e anche ai suoi mandanti iraniani e al suo alleato di circostanza, il leader turco Erdogan): «Stop all’aggressione! Ritiro immediato delle milizie e delle forze regolari sulle linee attestatesi prima del 15 ottobre».

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In bianco, il Kurdistan iracheno

Nel momento in cui si parla di una avanzata volta ad accerchiare e quindi asfissiare la seconda città del Kurdistan, accompagnata dalla nona divisione corazzata irachena, dalla polizia federale e da unità del contro-terrorismo, è necessario che i Paesi occidentali e, in primo luogo, gli Stati Uniti e la Francia alzino la voce, e molto velocemente, per esigere un cessate-il-fuoco e denunciare al mondo questa Danzica del Medio Oriente. Se, poi, le forze irachene e le milizie Assai’B Ahl al-Haq non dovessero ottemperarvi, e se i Peshmerga, contrariamente alle regole di condotta che si sono imposti finora, dovessero contrattaccare, a quel punto sarebbe necessario che le forze internazionali presenti sul terreno per la lotta contro il Daesh andassero ad interporsi con la massima urgenza. Per anni i curdi sono stati quasi soli, su un fronte lungo mille chilometri, a svolgere le funzioni di nostro baluardo contro la barbarie. Nell’estate del 2014, quando l’esercito iracheno era allo sbando di fronte alle truppe del Califfato, sono stati loro a tenere le posizioni ed a riprendersi il terreno abbandonato. Se poi oggi sono a Kirkuk, sia chiaro che ci si trovano perché lì sono sempre stati la maggioranza fino all’arabizzazione forzata di Saddam Hussein, e soprattutto perché dobbiamo a loro e soltanto a loro che la città non sia diventata, come Mossul e Raqqa, un altro feudo degli islamisti. Andare a portar soccorso oggi è una questione, per dirla in altri termini, non soltanto d’onore, ma di giustizia. Da una parte un’inquietante banda dei quattro (Iran, Turchia, Siria, Iraq) con il collante dell’odio per la democrazia e i diritti umani; dall’altra un piccolo grande popolo che non aspira ad altro che alla libertà, la sua, ma anche la nostra, e senza mire di frazionamento degli imperi vicini.

Quale cecità o quali bassi calcoli potrebbero portarci a stare in equilibrio tra le due fazioni? Da un lato abbiamo un gruppetto di dittature con le quali siamo impegnati in un rapporto di forze che non può in nessun caso permetterci di abbassare la guardia e di cedere sui principi e, dall’altro, un popolo che resiste da un secolo a tutti i tentativi di sottomissione ed il cui crimine, oggi, è quello di esprimere il desiderio di vivere in una società fedele ai principi che noi consideriamo nostri. Chi è che si opporrà ad una risoluzione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza contro questa guerra lanciata da Bagdad mentre il cadavere di Daesh è ancora caldo? Non abbandoniamo il Kurdistan, che è l’unico vero polo di stabilità della regione. Non lasciamo che la sua popolazione venga presa in ostaggio assieme al milione e mezzo di rifugiati cristiani, yezidi, e arabi che vi hanno trovato asilo. Tendiamo velocemente una mano fraterna a questo popolo esemplare che dopo un secolo di sofferenza credeva di poter finalmente vedere la fine del tunnel.

(traduzione di Luca Calvi - Studio Effe)

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