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Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.09.2017 Gerusalemme si tinge di rosa, ecco le tre tappe del Giro d'Italia 2018
Due servizi di Paolo Tomaselli

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 settembre 2017
Pagina: 52
Autore: Paolo Tomaselli
Titolo: «La Gerusalemme in rosa - E il team israeliano punta tutto sul corridore turco: 'Lo sport unisce'»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/09/2017, a pag. 52, con i titoli "La Gerusalemme in rosa", "E il team israeliano punta tutto sul corridore turco: 'Lo sport unisce' ", due servizi di Paolo Tomaselli.

Ecco gli articoli:

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Paolo Tomaselli

"La Gerusalemme in rosa"

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Le tre tappe previste in Israele nel Giro d'Italia 2018

Le mura della città vecchia ne hanno viste tante, più di ogni altro posto al mondo. Ma Gerusalemme in rosa, sinceramente no. Non se la sarebbero mai aspettata. Eppure qui, appena fuori dal perimetro più denso di significati che ci possa essere, venerdì 4 maggio 2018 verrà assegnata la prima maglia rosa del Giro d’Italia numero 101. E a indossarla dopo la cronometro di apertura sarà un corridore che lotterà per la vittoria finale: i 10.100 metri fatti di saliscendi e curve di Gerusalemme sono esigenti, complicati e spettacolari. Come questa sfida, che per la prima volta porterà una grande corsa a tappe fuori dai confini dell’Europa, in una terra affamata di ciclismo, ma soprattutto determinata a dare un’immagine di sé diversa attraverso lo sport. Non a caso, con le altre due tappe in programma, Israele verrà attraversata da Nord a Sud: la Haifa-Tel Aviv passerà per Cesarea, avrà le prime salite, ma si chiuderà sul lungomare; la lunghissima Be’er Sheva-Eilat invece si addentrerà nel deserto del Negev, per arrivare in riva al Mar Rosso. Da Eilat, i charter con i ciclisti voleranno verso la Sicilia, da dove la corsa ripartirà dopo il giorno di riposo supplementare. Uno sforzo, tecnico e logistico, al quale il Giro è già preparato dalle tante partenze all’estero recenti. Ma Israele rappresenta una sfida ulteriore e non solo perché è più lontana di Belfast o di Amsterdam. La presenza di tre ministri sul palco della presentazione nel cuore della Gerusalemme moderna lo testimonia: «Grazie al ciclismo e allo sport uniamo idealmente i nostri due Paesi — dice Luca Lotti, ministro dello Sport —. Questo Giro sarà una sfida sportiva, ma anche culturale: un ponte ideale tra Italia e Israele».

Su quel ponte sale anche il governo e per la corsa rosa è un altro passo importante, considerato che la distanza col Tour è testimoniata anche dal rapporto stretto tra le istituzioni e la Grande Boucle. Ma tra Italia e Israele, in maniera assolutamente non artificiale, campeggia anche la figura di Gino Bartali, il cui nome dal 2013 è iscritto nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme, per aver contribuito a a salvare centinaia di ebrei italiani. E l’applauso per i due nipoti di Ginettaccio presenti, Gioia e Giacomo, è stato uno dei più coinvolgenti. Mentre la ministra della Cultura e dello Sport, Miri Regev, ammette che «mai è stato stanziato un budget così alto da Israele per un evento sportivo», il direttore generale di Rcs Sport, Paolo Bellino, sottolinea come dopo la storica edizione 100, servisse un cambio di pagina ancora più evocativo: «Non potevamo immaginare un posto migliore per iniziare una nuova era. È il miracolo del ciclismo e di un’icona come il Giro». È evidente che la partenza da Israele rappresenta per tutti una sfida extra anche dal punto di vista della sicurezza. «Ma negli incontri fatti con squadre e corridori non ci sono state nemmeno domande sul tema — spiega Vegni —. Ci sono difficoltà logistiche, ma non politiche. In questo momento storico mi sentirei meno tranquillo a partire dall’Europa. Le strumentalizzazioni saranno all’ordine del giorno. Ma non siamo mai andati oltre la linea politica del nostro governo. E ovviamente non oltrepassiamo i limiti riconosciuti dello Stato di Israele». Stavolta i confini da superare saranno altri. Le vecchie mura sono pronte a godersi lo spettacolo. E a colorarsi di rosa.

"E il team israeliano punta tutto sul corridore turco: 'Lo sport unisce' "

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Ahmet Orken

Questa squadra fa sul serio. E non solo dal punto di vista sportivo. La Israel Cycling Academy tira fuori il colpo a sorpresa nel giorno giusto e presenta uno dei suoi nuovi corridori di punta, Ahmet Orken. Che è turco. E prima di chiedere un selfie a Ivan Basso posa per le foto con la mezzaluna di campione del suo Paese, accanto ai nuovi compagni che hanno la stella di David sul petto. Un messaggio fortissimo, per una squadra che probabilmente riceverà la wild card a gennaio per correre il Giro sulle strade di casa. «Se avessi paura di una reazione in patria per la mia scelta — dice il musulmano Orken, professione velocista — non sarei qui adesso. Ci sono stati dei problemi tra i nostri Paesi, ma qui non mi sento straniero. Ho visitato Gerusalemme per la prima volta e assomiglia a Istanbul. Adesso corro con gli israeliani e ci aiuteremo a vicenda per vincere le corse, perché credo che la fratellanza dello sport passi oltre i problemi politici. E fa capire al mondo quale deve essere la strada giusta da seguire». Questa allora è la squadra giusta su cui percorrere quel tragitto. Non solo perché «se saremo al Giro non ci accontenteremo di partecipare, ma vogliamo vincere delle tappe» come sottolinea Sylvain Adams, uno dei mecenati che sostiene l’unico team al mondo no profit. Ma anche perché «vogliamo fare la storia di una Nazione, non solo della nostra squadra». Il giovane manager della Cycling Academy, l’ex professionista Ran Margaliot, parla apertamente di «diplomazia sportiva per cambiare l’immagine di Israele».

E racconta le peripezie in giro per il mondo dei suoi corridori, alcuni dei quali fanno ancora il servizio militare obbligatorio (di tre anni) o sono cresciuti nei kibbutz: «Roy Goldstein al Giro dei Paesi Baschi è stato insultato per la questione palestinese da un tifoso. È un simbolo ed è orgoglioso di esserlo». Guy Sagiv, campione nazionale a cronometro, un anno fa ha disubbidito all’esercito israeliano, del quale faceva ancora parte, ed è andato lo stesso al Mondiale in Qatar: «Se voglio fare il corridore mi sono detto che non potevo mancare, anche se in quel Paese non potremmo entrare. Ma grazie al ciclismo non ci sono stati problemi e ho gareggiato. E poi ho evitato anche la galera in patria, anche se ci sono andato molto vicino. Lo sport non deve dividere». A cominciare dal meccanismo di reclutamento (tre anni fa agli albori del progetto) di una squadra che ha 24 corridori di 17 nazionalità, 5 continenti e 3 religioni differenti: un «bando» via Facebook che invitava i giovani di tutto il mondo a presentare la candidatura e a sottoporsi a un test di tre giorni a Peschiera del Garda. A Margaliot arrivarono 628 curriculum per 16 posti di lavoro. E oggi l’ossatura della squadra è più che dignitosa, dato che nel 2017 sono arrivate finora 22 vittorie. Il 28enne canadese Guillaume Bovin, secondo alla spalle dell’azzurro Colbrelli alla Bernocchi, la settimana scorsa, è il più competitivo del gruppo. Ma il turco Orken promette battaglia.

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