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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.09.2017 L'islam: la negazione dei diritti umani. Due voci coraggiose
Interviste di Stefano Montefiori a Leïla Slimani, di Alessandra Coppola a Nabil Ayouch

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 settembre 2017
Pagina: 13
Autore: Stefano Montefiori - Alessandra Coppola
Titolo: «'Il mio Marocco e il sesso rubato nelle auto, nei cantieri' - 'Alla donna è concesso di avere potere solo a casa'»

Riprendiamo dal CORRIERE DELLA SERA di oggi, 04/09/2017, a pag. 13, con il titolo "Il mio Marocco e il sesso rubato nelle auto, nei cantieri", l'intervista di Stefano Montefiori a Leïla Slimani; con il titolo "Alla donna è concesso di avere potere solo a casa", l'intervista di Alessandra Coppola a Nabil Ayouch.

I due intellettuali intervistati non sono rappresentativi della maggioranza del mondo islamico, ma esprimono le opinioni moderate di una piccola minoranza. Per questo è importante ascoltare la loro voce, con la flebile speranza che la ascoltino i fedeli dell'islam.

Ecco l'articolo:

Stefano Montefiori: 'Il mio Marocco e il sesso rubato nelle auto, nei cantieri'

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Stefano Montefiori

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Leïla Slimani

 

«Quando difendo i diritti umani e la parità tra uomo e donna mi sento in trappola. I conservatori in Marocco mi accusano di dare una cattiva immagine del Paese all’estero e di usare dei valori stranieri, occidentali. E in Francia mi capita di essere accusata di razzismo, di islamofobia, perché rinnegherei la mia cultura. Ma i valori dei Lumi sono universali. Siamo noi a plasmare la nostra cultura, non il contrario». Leïla Slimani è la scrittrice del momento in Francia: dopo avere vinto l’ultimo Prix Goncourt con il romanzo «Ninna Nanna» (Rizzoli) ha appena pubblicato il saggio «Sexe et mensonges - La vie sexuelle au Maroc» (Les Arènes). Nata 35 anni fa a Rabat da madre francese e padre marocchino, doppio passaporto, da tempo parigina, Slimani affronta la questione della sessualità nel mondo arabo-musulmano (e non solo) attraverso le testimonianze dirette di tante donne e uomini incontrate nel Paese di origine: da Zhor che ha conosciuto il sesso con lo stupro subito a 15 anni, al poliziotto Mustapha che è chiamato ad applicare leggi (contro le relazioni prematrimoniali, l’adulterio, l’omosessualità) che gli sembrano assurde.


La copertina

 

Come è nata l’indagine? «Ho cominciato a interessarmi del tema quando ero giornalista a Jeune Afrique , un po’ prima delle primavere arabe. Poi ci sono stati gli episodi di molestie a Piazza Tahrir al Cairo, e altri fatti di attualità che hanno imposto la questionedella donna nello spazio pubblico. Quando ho presentato il mio primo romanzo Nel giardino dell’orco in Marocco tante donne venivano a parlarmi. Non ne potevano più di tacere. Vivono in una società che si sta modernizzando a una velocità straordinaria, ma ci sono ancora grandi resistenze».

Lei descrive donne oppresse e uomini infelici. L’ipocrisia regna su tutto. «Perché entrambi sono vittime di una situazione schizofrenica. Tutti vanno a letto con tutti ma l’unica sessualità possibile è rubata: bisogna nascondersi, andare a fare l’amore nei cantieri abbandonati, nelle auto, con la paura di essere scoperti dalla polizia o aggrediti da qualcuno. È una sessualità di rapina, non c’è vero erotismo o intimità. I ragazzi hanno il culto della virilità ma non possono esprimerla se non con le prostitute, e le ragazze non hanno diritto al piacere: quelle che si concedono al loro innamorato saranno lasciate per avere perso all’istante il loro capitale più prezioso, la verginità. L’uomo è ossessionato dal sesso, ma disprezza chi può offrirglielo».

Anche per questo gli aborti, vietati dalla legge, sono così numerosi? «Tra 500 e 600 al giorno, senza contare i neonati abbandonati per strada o nella spazzatura. Essere una ragazza madre in Marocco è impossibile perché un figlio fuori dal matrimonio resta il frutto del peccato, marchiato a vita come “bastardo”».

I terroristi islamici influenzano la società? «Questo può accadere ma anche per i conservatori le azioni e le prediche degli islamisti sono inaccettabili. Le prossime vittime potrebbero essere loro, perché per i fanatici non è mai abbastanza».

Il suo libro parla a tutti, sesso e ipocrisia sono questioni in parte irrisolte anche in Occidente. «Credo sia così, basti pensare alle donne maltrattate fino a essere uccise, in Italia e anche in Francia. Il corpo della donna è un problema ovunque».

Lei è musulmana? «Penso che sia una questione intima, mi rifiuto di dichiarare la mia religione».

Alessandra Coppola: 'Alla donna è concesso di avere potere solo a casa'

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Alessandra Coppola

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Nabil Ayouch


La locandina

Sono stati anni di riconoscimenti e minacce per il regista franco-marocchino Nabil Ayouch. Il suo acclamato Much Loved (2015), vicenda di quattro prostitute a Marrakech, ha scatenato «un sentimento di isteria collettiva», in Marocco e nel resto del mondo arabo, tra censure e aggressioni. Il nuovo lavoro Razzia , che andrà al Festival di Toronto e l’anno prossimo arriverà in Italia, promette la stessa «provocazione» con il personaggio di Selima, in lotta per la sua indipendenza. «È un tema che è rimasto a lungo tabù — spiega Ayouch al telefono da Casablanca — e adesso disturba: sollevarlo è più che mai necessario».

Qual è la ragione di questa violenta resistenza ad accettare la libertà delle donne nel mondo arabo? «Nel chiuso delle abitazioni, alle madri e alle mogli è concesso di avere potere. Il problema si pone nello spazio pubblico. Quando una donna decide di vestirsi come vuole e camminare per strada libera; quando si mette un costume da bagno e va in spiaggia. Può sembrare incomprensibile in Europa, ma da noi ci sono sempre maggiori limitazioni».

Perché una donna che si veste come vuole spaventa? «Io credo che la donna faccia paura all’uomo perché occupa uno spazio che l’uomo vuole essere l’unico a occupare. Che sia economico, sociale, culturale o semplicemente di libertà. È una paura ansiogena, irrazionale e allo stesso tempo strutturata, organizzata nei secoli, per questo così difficile da scardinare. La religione assieme alle leggi e alla mentalità fanno sì che oggi sia qualcosa di radicato. Ed è drammatico perché ci sono generazioni di ragazze che crescono nell’idea che il proprio posto non sia al centro ma ai margini. Ma ci sono anche donne molto coraggiose, che lottano contro questi stereotipi. Per me sono eroiche».

Anche lei, però, è cresciuto in un contesto arabo-islamico, benché a Parigi. Come ha maturato questa visione divergente? «Io non sono cresciuto in Marocco, ma alla scuola laica in banlieue parigina, con nella testa dei valori fondamentali di rispetto, giustizia e uguaglianza, che si applica per me in primo luogo ai sessi. Certo che conosco questo squilibrio. Ogni volta che da bambino andavo in vacanza in Marocco osservavo la società, vedevo queste disfunzioni, ma non ho mai cercato di accettarle. Sin da piccolo mi colpiva questo paradosso: la capacità in una società patriarcale come quella mediterranea di avere uno spazio privato dominato dalle donne e uno pubblico in cui la donna è esclusa».

Come lo spiega? «Per me è il punto nodale: la trasformazione dell’uomo. Come sia possibile che un uomo nella sua stanza, nell’intimità, accetti di dare ruolo alla donna, e non appena esce si trasformi, il suo ego, la sua mascolinità, il suo machismo si impongano di nuovo. Questo indica che non è un problema della persona, ma della struttura sociale che favorisce questa specie di schizofrenia».

Le sembra di osservare dei passi avanti o al contrario un peggioramento? «Non c’è mai stata un’età d’oro della libertà delle donne nel mondo arabo. Vedo a volte immagini degli anni Settanta di donne in gonna, si dice che erano libere: falso. Era una minoranza occidentalizzata, che esiste in parte ancora. Oggi, nel 2017, bisogna constatare che la situazione che prima non era buona è addirittura peggiorata. Dopo la revisione del codice della famiglia in Marocco nel 2003, dopo aver creduto in avanzamenti dei diritti fondamentali, dobbiamo constatare che la mentalità è più forte dei testi di legge, ed è profondamente retrograda. Se ci sono stati degli sprazzi di luce, ora si riannuvola sempre più».

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


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