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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.06.2017 Terrorismo islamico: per qualcuno è una forma di 'conforto' per giovani senza ideali
Lo scrive Carlo Mastelloni

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 giugno 2017
Pagina: 34
Autore: Carlo Mastelloni
Titolo: «I 'brigatisti' islamici, più ideologici che religiosi»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/06/2017, a pag. 34, con il titolo "I 'brigatisti' islamici, più ideologici che religiosi", la lettera di Carlo Mastelloni, capo della Procura di Trieste.

Secondo Mastelloni la religione musulmana ha poco a che fare con il fenomeno del terrorismo islamico. Il Procuratore della Repubblica di Trieste lamenta le condizioni difficili in cui vivono molti di coloro che diventano poi "radicalizzati", ovvero terroristi. Ma Mastelloni va oltre, scrivendo: "C’è anche da considerare che in questi ultimi decenni, per migliaia di giovani europei di cultura islamica emarginati, è venuto completamente a mancare qualsiasi altro riferimento di ribellione organizzato — in passato rappresentato dalla sinistra storica — e che quindi l’elemento ideologico, in questo caso religioso, è l’unico «conforto» rimasto in campo". Il terrorismo come forma di "conforto" di poveri giovani senza ideali: a tal punto giunge la mistificazione di un fenomeno ormai sotto gli occhi di tutti ma che qualcuno si ostina a non voler vedere e analizzare. Un 'qualcuno' la cui professione dovrebbe aver insegnato il senso della giustizia.

Ecco la lettera:

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Carlo Mastelloni

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Caro direttore, negli attentati attribuiti o semplicemente rivendicati da Isis in Europa colpisce tipologicamente la presenza di giovani cittadini francesi, belgi o inglesi figli di precedenti migrazioni dal mondo arabo o africano. Si tratta spesso di giovani che dimostrano una scarsissima sensibilizzazione religiosa, che conducono stili di vita del tutto non coerenti con i dettami del Corano e che frequentano poco, o per nulla, le moschee. Insomma, sono l’esatto contrario di ciò che ci si aspetterebbe. Sono inoltre soggetti talvolta coinvolti in vicende di spaccio o in reati contro il patrimonio e che ben difficilmente si potrebbero identificare e monitorare in base alla loro religiosità. Ad un certo punto della loro vita è intervenuta però una «presa di coscienza» radicale che li ha condotti all’eccidio così come al sacrificio della propria vita: evidentemente è una radicalizzazione che ha come contesto ed elemento unificante l’appartenenza alla comunità islamica ma che reca come motivazione profonda, come causa prima, una miscela esplosiva costituita dal desiderio di eversione sociale e dall’elemento, tutto ideologico, dell’Islam radicale.

Si può parlare perciò di una radicalizzazione eversiva di soggetti musulmani. Ma tutto questo non sarebbe ancora sufficiente senza la presenza di un modello alternativo di società; un modello concreto, raggiungibile, operante: il Califfato, vindice dei soprusi e delle diseguaglianze, emblema della giustizia islamica per i giovani europei di origine musulmana. Né può sfuggire l’immediato accostamento con le generazioni di comunisti europei che, pur abitando in paesi che offrivano alla fin fine un tenore di vita decoroso, combattevano contro le loro istituzioni statuali avendo come modello paesi arretrati dell’Oriente. Un fenomeno simile si era già verificato al tempo della guerra in Afghanistan contro i russi ma non aveva mai toccato, con queste dimensioni, la comunità islamica dei giovani europei.

C’è anche da considerare che in questi ultimi decenni, per migliaia di giovani europei di cultura islamica emarginati, è venuto completamente a mancare qualsiasi altro riferimento di ribellione organizzato — in passato rappresentato dalla sinistra storica — e che quindi l’elemento ideologico, in questo caso religioso, è l’unico «conforto» rimasto in campo. Se si trattasse solo di ciò, queste criticità sociali rifluirebbero in fenomeni criminali o nella endemicizzazione della precarietà. Ma la presenza del Califfato ha trasformato l’adesione ideologica in possibilità concreta di riscatto. E’ interessante osservare che tutti, o quasi, gli attentatori europei non erano riusciti a raggiungere i territori dell’Isis e che i loro gesti hanno rappresentato spesso una sorta di accreditamento a posteriori. Emblematici sono i video girati prima degli attentati dai loro esecutori: in quei tragici filmati l’unica preoccupazione consiste nell’affermare di essere «soldati dell’Isis», di appartenere a quella comunità sicuramente mitizzata ma di certo esistente.

L’elemento religioso quindi avrebbe una funzione importante ma non decisiva. Rappresenterebbe l’aspetto comunitario, socializzante, più che una scelta teologica. Il problema che ormai ogni giorno ci assilla non sarà di facile soluzione nemmeno dopo l’imminente sconfitta di Isis. E ciò non solo a causa del ritorno in Europa di centinaia di combattenti sconfitti e in preda alla nota sindrome del reduce, ma anche per la presenza di sacche di emarginazione alla ricerca di nuovi punti di riferimento ma con soggetti non meno disperati e disposti a qualsiasi avventura .

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