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Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.06.2017 Gli armeni e il Medio Oriente
Maurizio Caprara intervista il ministro degli esteri armeno

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 giugno 2017
Pagina: 15
Autore: Maurizio Caprara
Titolo: «Il Medio Oriente multireligioso in crisi: minoranze a rischio»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/06/2017, a pag.15, con il titolo " Il Medio Oriente multireligioso in crisi: minoranze a rischio" l'intervista di Maurizio Caprara al ministro degli esteri armeno Edward Nalbandian.

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Maurizio Caprara

«Non si possono ignorare i rifugiati e chiudere le porte o gli occhi davanti alle catastrofi umanitarie, sofferenze di gente comune. L'argomento è delicato, riguarda i diritti umani. Allo stesso tempo, nei flussi di profughi e migranti potrebbero penetrare terroristi. Ci sono stati attentati in Gran Bretagna, in Iran e molti Paesi. E un pericolo vero, ma per questo l'importante è occuparsi delle radici dei fenomeni di rifugiati e migrazioni», dice il ministro degli Esteri dell'Armenia, Edward Nalbandian. Alle spalle una lunga carriera in diplomazia, cominciata quando il suo Paese apparteneva all'Unione Sovietica, Nalbandian è stato a Roma per incontrare II collega Angelino Alfano e dare impulso ai rapporti economici con l'Italia. L'Armenia si trova tra Europa e Medio Oriente, ha poco più di tre milioni di abitanti, rapporti difficili con la Turchia almeno da quando il suo popolo fu vittima nel XX secolo di massacri che non soltanto Erevan considera genocidio. Edward Nalbandian, nato nel 1956, è stato diplomatico dell'Unione Sovietica in Libano. Dopo l'indipendenza guerra mai del tutto spenta con l'Azerbaigian sul controllo del Nagomo Karabakh, regione abitata soprattutto da armeni. Nalbandian lavora insomma tra assetti geopolitici sottoposti a tensioni e capaci di irradiare scosse lontano.
II Corriere della Sera lo ha intervistato.
Ministro, quando sostiene che occorre occuparsi delle radici dei fenomeni di rifugiati e migrazioni intende dire che e necessario contrastare le guerre, le persecuzioni, la miseria?
«Sì. Occorre affrontare le cause che sono all'origine dei fenomeni nel senso ampio, ma anche chiudere i canali di rifornimento e finanziamento dei gruppi terroristici».
Voi ne ricevete, di ingressi dall'estero?
«Rispetto alla popolazione, pro capite noi risultiamo il terzo Paese in Europa a ricevere profughi provenienti dalla Siria. Siamo dopo Germania e Svezia. Ne abbiamo 22 mila. Prima della guerra in Siria, in quello Stato la nostra comunita era di 140 mila persone. Adesso è di circa 30 o 25 mila. Molte sono fuggite, come tante di altre minoranze». Alcuni partiti e ampi settori dell'informazione presentano rifugiati e migranti soltanto come fattori di rischio. Lei di recente ne ha parlato come patrimonio. Perché?
«A causa del genocidio armeno, due terzi della nostra popolazione vivono sparsi in cento Paesi diversi del mondo. E il motivo per cui sappiamo come trattare i rifugiati, che cosa significa esserlo, come affrontare i loro problemi. Ne sono arrivati da noi non solo dalla Siria. Anche dall'Iraq. Dall'Azerbaigian, per effetto del conflitto in Nagomo Karabakh, ne vennero circa 400 mila. Tutti gli Stati europei conoscono le conseguenze del flusso di rifugiati e migranti, forse la più grande tragedia umanitaria dopo la Seconda guerra mondiale».
E, a suo avviso, non soltanto tragedia?
«Non è esclusivamente una tragedia, certo».
Perché gli scambi di conoscenze e cultura darebbero benefici ai Paesi nei quali i profughi arrivano?
«I rifugiati possono anche arricchire le società che li ospitano. L'Armenia era parte del mosaico multietnico e multireligioso del Medio Oriente, il quale costituiva una ricchezza. Oggi purtroppo questo carattere multietnico e multireligioso sta cambiando. Con tutti i possibili effetti negativi che possono derivarne dal punto di vista di intolleranza e odio, in particolare verso le minoranze».
In che cosa potrebbero consistere quegli effetti?
«Ogni Paese dell'area ha svariate minoranze. E il clima attuale può causare nuove guerre».
Secondo l'international crisis group, un'organizzazione non governativa, nel Nagorno-Karabakh «Armenia e Azerbaigian sono più vicine alla guerra rispetto a ogni momento dal cessate il fuoco del 1994».
«Sarebbe meglio non mettere carburante sul fuoco e tener presente innanzitutto che cosa affermano i soli mediatori con mandato internazionale, i co-presidenti del "gruppo Osce Minsk": Usa, Russia e Francia. L'Azerbaigian sta ignorando gli accordi sul cessate il fuoco e gli appelli dei co-presidenti a raggiungere la soluzione in base a tre principi del diritto internazionale: non uso della forza né minaccia di impiegarla, autodeterminazione del popolo, integrità territoriale. La comunità internazionale dovrebbe essere unita con i co-presidenti per porre l'Azerbaijan sulla via di una soluzione esclusivamente pacifica».

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