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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.03.2017 Filastrocche infelici quasi segrete
Davide Frattini recensisce Yehuda Atlas

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 marzo 2017
Pagina: 22
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Filastrocche infelici quasi segrete»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA-LETTURA di oggi, 26/03/2017, a pag.22, con il titolo "Filastrocche infelici quasi segrete" la recensione di Davide Frattini al libro " E questo bambino sono io " di Yehuda Atlas.

Introduzione:

L'autore Lo scrittore israeliano Yehuda Atlas (81 anni: nella foto) ha pubblicato il primo di 33 libri di filastrocche a 37 anni. Da allora Ve hayeled Haze Hu Ani («E questo bambino sono io») ha venduto 275 mila copie solo in Israele ed è diventato una collezione di quattro titoli.
«Lavoravo come giornalista al quotidiano'Yedioth Ahronoth' — racconta a 'la Lettura' — e dopo la nascita del primo figlio volevo mettere insieme il nostro album dei ricordi. Invece delle fotografie ho raccolto i sentimenti di un bambino: le gelosie per un amichetto, i primi innamoramenti, la paura del buio, il dolore per un graffio. Ho raccontato gli scossoni normali di un'infanzia normale». Le rime da trovare con parole semplici gli costano fatica, non vuole rinunciarci «perché la cantilena è il ritmo di quando cresciamo». La sincerità e l'ingenuità (trasposta) delle filastrocche gli hanno dato la popolarità, hanno anche attirato l'attenzione oltranzista degli ultraortodossi che hanno ottenuto dal ministero dell'Educazione di bandire un suo libro dal curriculum delle scuole religiose. La ragazza che amo racconta il mondo degli adulti visto da un bambino delle elementari, il linguaggio senza censure e le punzecchiature contro i genitori sono stati considerati troppo poco rispettosi del comandamento «onora il padre e la madre» I testi Le filastrocche che pubblichiamo in questa pagina sono inedite e sono state offerte da Atlas a «la Lettura»

Davide Frattini: " Filastrocche infelici quasi segrete "

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Davide Frattini                          Yehuda Atlas

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La copertina dell'edizione israeliana

Lungo i marciapiedi, sui muri, con le lettere di colori diversi. Le sue filastrocche trasformate in graffiti accompagnano i bambini di Tel Aviv ogni primo giorno di scuola, rime che li prendono per mano e vorrebbero far passare la paura. Yehuda Atlas è lo scrittore che tutti in Israele hanno letto almeno una volta e che a tutti è stato letto: prima di addormentarsi, nei fine settimana con i nonni. Libri per i più piccoli che neppure gli adulti riescono a mettere da parte. Sul frigorifero tiene appuntati la lista della spesa e i versi che ancora non si vogliono incastrare. Perché — spiega seduto al tavolo della cucina — «lavoro molto lentamente, una parola dopo l'altra e nelle pause mi alzo per prendere un boccone da sgranocchiare, la dispensa è la mia la musa». Ancora più pause e ancora più lentezza quando lavora alle poesie che non ha mai pubblicato. Sono un centinaio, conservate in una cartellina trasparente, catalogate per temi bambini che subiscono abusi, bambini vittime dei bulli, bambini rinchiusi in istituto o rinchiusi in un corpo che non riescono ad accettare, figli di carcerati, figli di divorziati, famiglie allargate fino a strapparsi, famiglie senza padre o madre. «In Israele ci sono quasi 500 mila piccoli che crescono in queste condizioni, abitano in quartieri difficili dove gli insegnanti o gli assistenti sociali non riescono a intervenire. Succede anche qui, tra i palazzi eleganti del nord di Tel Aviv». Sono gli esperti, gli specialisti di questi drammi, ad avergli chiesto aiuto. «Giro tutto il Paese per conferenze, incontri nelle scuole. Tre anni e mezzo fa a Gerusalemme una pedagoga si è alzata dal pubblico e mi ha detto: "Non abbiamo nulla da leggere agli adulti che sono stati bimbi maltrattati, nulla per noi quando torniamo a casa con dentro il male che abbiamo incrociato, nulla per i genitori felici di figli felici che però devono sapere"». Così Yehuda ha cominciato a seguirli, a entrare nelle case e nelle storie atroci, a sedersi e ascoltare come un nonno (ha 81 anni), a riportare nella sua cucina quel dolore e a trasformarlo in filastrocche. Le parole, il linguaggio, il tono sono infantili, le esperienze quelle che a nessun bambino dovrebbero toccare. «Mi sono iscritto all'università della terza età, volevo provare a capire i traumi subiti da una ragazzina violentata dal papà e dal fratello o evitata in pubblico dalla madre che la considera troppo grassa. Ho raccolto le testimonianze delle adolescenti che si tagliano, gli squarci nella pelle come rivincita sul mondo, il caos emotivo di chi ha uno o tutt'e due i genitori in carcere in un Paese dove i detenuti sono 20 mila, il coraggio e il terrore di un bambino che si mette in mezzo per difendere la mamma dal padre violento e preferisce prenderle lui». Dice che la sua infanzia è stata tranquilla, «al massimo noiosa», cresciuto in un moshav, un villaggio agricolo nella piana che sale verso le colline della Galilea, dove aiutava il papà nei campi. «Siamo noi fortunati, quelli ai quali è andata meglio, a dover soccorrere gli altri, anche se sono ormai cresciuti ma il danno è cresciuto con loro dentro di loro». Da quando «Yedioth Ahronoth», il giornale più venduto in Israele, ha svelato il suo «secondo» lavoro, riceve le lettere, i messaggi, le telefonate di adulti che «vogliono spiegarmi la loro storia, in molti casi è la prima volta che tirano fuori l'orrore. Parte della terapia è proprio convincerli che il loro racconto servirà ad altri, che le botte pigliate da piccoli potrebbero aiutare gli psicologi a fermare un altro padre violento, almeno a individuarlo». Perché le cantilene di Atlas servono anche a sbloccare i ragazzini, li spingono a comporre la loro denuncia in rime, a raccontare quello che si tengono dentro. La cartellina trasparente cresce, un post-it di colore diverso a indicare una diversa mostruosità familiare. «Per ora non pubblico queste poesie, forse non lo farò mai, raccoglierle in un libro sarebbe come dichiarare che la missione è compiuta, il capitolo chiuso. Invece su queste pagine è purtroppo impossibile scrivere la parola fine».

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