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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.02.2017 Aviv Geffen, modesto cantante, crescendo, è almeno diventato saggio
Lo intervista Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 febbraio 2017
Pagina: 11
Autore: Davide Frattini
Titolo: «A casa di Aviv, rockstar pacifista: io, nipote di Moshe Dyan, voglio liberare Israele dalla paura'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/02/2017, a pag.11, con il titolo "A casa di Aviv, rockstar pacifista: io, nipote di Moshe Dyan, voglio liberare Israele dalla paura", l'intervista di Davide Frattini a Aviv Geffen.

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Aviv Geffen                                                      Davide Frattini

Modesto cantante a 20 anni, oggi, a 44, Aviv Geffen (Aviv in ebraico vuol dire primavera), non è più il ragazzino 'rivoluzionario' di un tempo. In realtà incuriosiva chi andava sentirlo cantare, più per l'appartenenza a una famosa famiglia - come racconta Frattini- che per la voce, decisamente modesta. Impersonava però l'immagine del ribelle, niente esercito, anti tutti i valori del sionismo, a suo modo rendeva  bene lo stereotipo del 'giovane che protesta'.
Adesso, che dalla primavera si sta avvicinando all'autunno, come tanti suoi coetanei, sta diventando saggio, o, almeno, ci prova. L'esercito gli sta bene, per combattere il cattivo Netanyahu, che però ha contribuito a farlo crescere in un paese libero e sicuro,  sta con Yair Lapid, una scelta che un tempo non avrebbe fatto. Gli diciamo bravo, continua così, avrai un ottimo inverno.

Ecco il pezzo: 

II simbolo pacifista al posto del nome sul citofono è una provocazione in questo sobborgo elegante dove dagli anni Cinquanta abitano gli ufficiali dell'esercito. Tra le villette un po' ammuffite di Tzahala, in onore delle forze armate israeliane, si sono infiltrati i cubi ipermoderni costruiti per altri capitani: dell'industria tecnologica e di popolo, come la rockstar Aviv Geffen che la divisa non l'ha mai indossata. Nipote di Moshe Dayan, il generale donnaiolo tra i padri fondatori della nazione, e imparentato con un ex presidente (Ezer Weizman), è figlio del poeta Yeonathan e fratello della regista Shira, moglie dello scrittore Etgar Keret. Sa di essere parte dell'aristocrazia in una nazione giovane che non elargisce titoli nobiliari: «Siamo come i Kennedy per l'America, anche nella nostra famiglia invece del sangue blu scorrono l'alcol e la cocaina», dice mentre accende un'altra sigaretta. Da bambino trascorreva i pomeriggi a guardare le mani dello zio che trasformavano i frammenti di terracotta in tesori archeologici, un pezzo da aggiungere alla collezione dell'ex ministro della Difesa: «Un uomo fantastico, siamo molto diversi. Lui era macho, io sono gentile. Lui ha conquistato la parte araba di Gerusalemme, io voglio darla ai palestinesi». «Per sempre amico mio / Ti vedrò alla fine / Siamo i più legati dei fratelli / Sto per piangere per te». La sera del novembre 1995 è stato l'ultimo a cantare sul palco prima del discorso di Yizthak Rabin, l'ultimo ad abbracciare il primo ministro che poco dopo sarebbe stato ammazzato dall'estremista di destra Yigal Amir. Livkot Lecha (Piangere per te) è dedicata al migliore amico morto in un incidente d'auto a 18 anni, sarebbe diventata l'inno funebre per la generazione delle candele, i ragazzi abbracciati nella piazza di Tel Aviv a piangere il leader politico e la fine della speranza. «Adesso la parola pace è stata cancellata, il premier Benjamin Netanyahu l'ha sostituita con "paura", ha diffuso nel Paese la sua paranoia. Se ne deve andare». Oltre la siepe vive Isaac Herzog che guida il partito laburista e l'opposizione. Vista da casa Geffen l'erba del vicino non è più verde: «Herzog è troppo debole, non è in grado di battere Netanyahu». Così il cantore della sinistra radicale sceglie il centro rassicurante impersonato da Yair Lapid, l'ex conduttore televisivo in testa nei sondaggi di queste settimane: «È carismatico, pragmatico, non è un fanatico. Non posso restare sempre a sinistra e perdere sempre le elezioni», spiega il cantante che ha un album in uscita per l'Europa (Blackfield V), un altro tassello musicale del progetto iniziato nel 2001 con il britannico Steven Wilson, fondatore dei Porcupine Tree. È sorpreso dalla popolarità ancora più grande che gli è arrivata dalla televisione, giudice nella versione locale di The Voice: «Sfrutto quel microfono per discutere i problemi della nostra società, le disuguaglianze economiche, per sognare insieme la nuova Israele che vedo nel futuro. La gente ha scoperto che non sono pericoloso, l'artista maledetto non fa più paura, milioni di persone mi ascoltano e pensare al salto nella politica è inevitabile. Potrei essere un buon ministro dell'Educazione. Sono israeliano, ebreo: ci tengo a questo posto, anche se la destra mi accusa di essere un traditore». Una ventina d'anni fa è apparso in copertina per Yedioth Ahronoth, il giornale più letto, con la scritta nera sul petto nudo «è bello morire per se stessi», il rifiuto pacifista delle parole di Joseph Trumpeldor, eroe nazionale ucciso in battaglia nei 192o, che avrebbe sospirato prima di soccombere: «Non importa, è bello morire per la patria». Il tempo passa, Aviv Geffen compie 44 anni a maggio, non si presenta più ai concerti in gonna e forse indosserebbe la divisa dell'esercito: «Sono contro l'occupazione, il nostro controllo sui palestinesi è ingiusto. Ma rispetto la legge: ho due figli maschi, quando avranno l'età — se sarà ancora necessario — andranno a militare».

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