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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.02.2017 Federica Mogherini: incompetenza, pregiudizio, arroganza
La intervista Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 febbraio 2017
Pagina: 9
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «'Fermare gli arrivi è solo un'illusione, vanno gestiti i flussi dai Paesi di partenza'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/02/2017, a pag. 9, con il titolo 'Fermare gli arrivi è solo un'illusione, vanno gestiti i flussi dai Paesi di partenza', l'intervista di Lorenzo Cremonesi a Federica Mogherini.

Le parole di Federica Mogherini non sorprendono, come sempre sono espressione di ignoranza e incompetenza. Ma anche di arroganza. Mogherini si attribuisce perfino il diritto di decidere come se fosse la titolare degli Esteri in Italia - mentre è rappresentante della politica estera per l'Unione Europea -, sostenendo che mai e poi mai la nostra ambasciata verrà trasferita da Tel Aviv a Gerusalemme. Esce così allo scoperto la sua ostilità a riconoscere come capitale di Israele la città che lo Stato ebraico ha eletto a proprio centro. E, in aggiunta, come se fosse un 'Fregoli' in sedicesimo, il doppio incarico di Ministra degli Esteri, europeo e italiano.

Ecco l'intervista:

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Lorenzo Cremonesi

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Federica Mogherini

È il momento delle grandi sfide per l’Europa e la sua politica nel mondo. Vedi le svolte di Donald Trump che mettono in dubbio i tanti decenni di alleanza Ue-Usa, l’espansionismo muscolare di Vladimir Putin, la Brexit, i migranti, Isis, l’incertezza economica, l’antieuropeismo montante tra gli europei: che cosa la preoccupa di più? «La mancanza di fiducia in noi stessi. I nostri partner internazionali, dall’Argentina al Giappone, continuano a dirmi che noi europei non ci rendiamo conto della nostra potenza. Mi preoccupa: siamo noi a non capire la nostra forza. In un periodo di totale stravolgimento degli equilibri geopolitici, il mondo guarda all’Europa come al partner affidabile su questioni centrali come quelle del commercio libero ed equo, diritti umani, multilateralismo, sostegno all’Onu, diplomazia che previene i conflitti, cambiamenti climatici, siamo il primo mercato mondiale, abbiamo 16 missioni militari all’estero e l’elenco è ancora lunghissimo. Insomma, siamo come una meravigliosa sedicenne che si guarda allo specchio e si vede brutta. La nostra salute fisica è perfetta, ma siamo labili di nervi, una vera crisi d’identità, di mancanza di consapevolezza. Se non conosci la tua forza, rischi di non usarla e ciò potrebbe alla lunga minare le basi della nostra potenza».

Trump glorifica la Brexit, è una minaccia? «No, l’America non è una minaccia per l’Europa. I nostri legami sono antichi e più profondi di qualsiasi amministrazione Usa. Ma la politica americana deve ancora definirsi, dovremo vedere cosa farà il Congresso, che criticava Obama per essere troppo dolce con Mosca. Questa è una crisi interna americana, non nostra».

Anche noi sposteremo la nostra ambasciata a Gerusalemme? «Assolutamente no. Spero però che il processo di pace in Medio Oriente possa presto essere affrontato con un coordinamento stabile tra Bruxelles, Mosca, le Nazioni Unite e Washington. A proposito di coordinamento, stiamo mettendo a punto la proposta di una conferenza di pace internazionale in primavera mirata ad avviare il processo di pacificazione in Siria. I costi della ricostruzione sono enormi, ma nessuno metterà un soldo senza la prospettiva solida del dialogo interno tra le componenti del Paese».

Servirebbe un esercito europeo, visto che Trump mette in dubbio la Nato? «La forza militare in parte l’abbiamo già mettendo insieme le forze armate dei nostri Stati membri. A volte la usiamo con un ottimo impatto, vedi l’operazione Sophia nel Mediterraneo o la campagna contro la pirateria nel Corno d’Africa. L’addestramento della guardia costiera libica lo fa l’Unione Europea e non la Nato. Così come le missioni di addestramento delle forze armate in Africa. Ci sono luoghi dove noi possiamo essere considerati meno problematici della Nato grazie alla dimensione umanitaria e diplomatica dell’Europa. Noi siamo prima di tutto un’alleanza politica e lavoriamo in partenariato con la Nato, che è fondamentale per la sicurezza non solo degli europei. Ma stiamo rafforzando la difesa europea, presenterò dei primi risultati concreti in occasione delle celebrazioni per il Trattato di Roma a marzo. Gli europei spendono il 50 per cento del budget Usa sulla difesa, ma il risultato è solo il 15 per cento di quello americano, per il fatto che è diviso in 28 amministrazioni nazionali. Occorre creare un meccanismo di cooperazione e integrazione della difesa».

Capita però che l’Italia in Libia stia con Fayez al Serraj a Tripoli e la Francia con Khalifa Haftar a Bengasi. Oltretutto Serraj appare debolissimo, i suoi guardiacoste sono divisi tra diverse milizie in lotta tra loro: è l’uomo giusto cui affidare la nostra politica per il controllo dei migranti? «Non sta a noi scegliere il leader libico. Il nostro compito non è interferire ma sostenere un processo in cui i libici riescano a unirsi e governare il Paese. La Libia è profondamente divisa. Né Tripoli né Tobruk possono governare da soli. Ma è un Paese strategico, che può e deve restare unito. Noi sosteniamo le scelte sancite dall’Onu e la legalità internazionale».

Serraj vorrebbe un summit al Cairo, ma Haftar è riottoso, si sente più forte. Dove sta l’Europa? «Sostiene e riconosce il governo di accordo nazionale e incoraggia il dialogo. Mezzo secolo di Gheddafi e sei anni di crisi in Libia sono difficili da superare. Siamo davvero certi che un uomo forte possa governare da solo la complessità di quel posto? Mi sembra più logica la strada di un accordo politico in cui ognuno accetti i propri limiti per una forma di cooperazione e condivisione delle responsabilità».

Come controllare i migranti? «Primo: con l’azione in mare. Il nostro addestramento della guardia costiera è iniziato a settembre e comporta anche l’applicazione dei diritti umani, i diritti delle donne. In acque internazionali negli ultimi tempi abbiamo salvato più di 32.000 persone, ma 4.500 sono morte. E questo anche perché nelle acque libiche non entriamo. A ciò si aggiunge la necessità del controllo sulla frontiera verso il deserto. Per questo abbiamo lavorato in particolare con il Niger, ad Agadez, per assistere, informare e spesso aiutare i migranti a tornare al loro Paese, creando posti di lavoro con l’aiuto dell’Onu. Ad Agadez siamo riusciti a ridurre il numero dei passaggi da 76.000 a 11.0000 in pochi mesi».

Ma come selezionare i rifugiati perseguitati politici con diritto d’asilo dai migranti illegali? «È proprio quello che vogliamo fare. Ma questo significa che se sei un eritreo con diritto d’asilo internazionale l’Europa deve accoglierti. Purtroppo non sempre avviene così. E ciò perché nei nostri Paesi prevale spesso l’illusione per cui la migrazione si possa fermare. Impossibile. Oltretutto l’economia europea senza migranti sarebbe paralizzata, la nostra demografia ci porta al collasso. Sarebbe il crollo delle nostre società. Dovremmo fare uno studio sul costo della non migrazione. Così, per inseguire la falsa convinzione dell’immigrazione zero in alcuni Paesi non si fanno le scelte corrette per gestire al meglio i flussi. Due anni fa la Commissione europea ha fatto questa proposta. Ma poi i nostri Paesi membri non le hanno dato seguito. Il punto vero non è fermare, ma gestire».

Anche Trump paralizza questa politica. «Certo, ha compiuto un passo gravissimo vietando l’accesso anche a coloro che avevano già il visto. La crisi dei rifugiati non è solo europea è globale, oltre 70 milioni di persone, un record storico e si può gestire insieme, globalmente».

Che cosa fa l’Europa di fronte al nuovo asse Trump-Putin e una Russia forte, vincente in Siria, amica dei dittatori in Medio Oriente? «Io avrei qualche dubbio sulla forza reale della Russia, un Paese minato dalla crisi economica. Le sue difficoltà interne sono ben mascherate da una dinamica politica internazionale e militare. L’Europa non ha interesse a una Russia debole e in crisi. Sono molto preoccupata da ciò che avviene in Ucraina. Gravissimo, perché si continua a violare il principio per cui le frontiere non si devono cambiare con la forza. Però, Europa e Russia hanno lavorato e lavorano benissimo assieme su molti dossier come il nucleare iraniano. E invece su altri temi come l’Afghanistan o il processo di pace in Medio Oriente non sono così sicura che le agende Trump-Putin collimino».

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