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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.01.2017 'The Displaced', le sofferenze terribili degli ebrei sopravvissuti
Recensione di Aldo Grasso

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 gennaio 2017
Pagina: 47
Autore: Aldo Grasso
Titolo: «'The Displaced', le sofferenze terribili degli ebrei sopravvissuti»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/01/2017, a pag. 47, con il titolo " 'The Displaced', le sofferenze terribili degli ebrei sopravvissuti", la recensione di Aldo Grasso.

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Aldo Grasso

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Fra le varie proposte che Rai Storia ha dedicato al Giorno della Memoria, una s’impone per i fatti che racconta, per la drammaticità degli eventi, per la sofferenza indicibile che molti ebrei sopravvissuti hanno dovuto patire una volta liberati. Il documentario di Flaminia Lubin si chiama «The displaced» ed è anche ricco di immagini inedite. Se «La tregua» di Primo Levi descriveva il lungo rientro a casa del protagonista dopo la liberazione di Auschwitz, il suo lungo viaggio dalla Polonia alla Bielorussia, dalla Romania all’Austria, ma s’interrogava soprattutto sulla sospensione del proprio destino (di «tregua», appunto), qui è peggio, molto peggio. Molti ebrei non poterono fare ritorno alle loro case in Polonia, e in altri Paesi d’origine, perché nel frattempo erano state occupate. Ovunque si rivolgessero incontravano rifiuti, ostilità, violenza (eccetto che in Italia). Ed erano soli, lasciati ancora più soli.

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La condizione di questi ex internati venne indicata dagli Alleati con la formula Displaced Persons (DPs), coniata dal sociologo e demografo di origine russa Eugene M. Kulisher, un termine tecnico per definire coloro che si trovavano al di fuori dei confini dei propri Paesi di origine, persone «spostate» di cui la comunità internazionale doveva occuparsi e che dovevano essere «ri-locate». Da un inferno all’altro, spesso mischiati con i loro ex aguzzini. Il documentario di Flaminia Lubin denuncia con coraggio l’ostilità degli inglesi a permettere loro di raggiungere la Palestina, il diniego degli americani a concedere loro il visto d’ingresso (presidente era Harry Truman che, per ragioni di politica «reale», faceva intanto entrare centinaia di scienziati complici delle SS), l’antisemitismo del generale George Patton. Paradossalmente il posto più sicuro era restare nei campi di concentramento, nel frattempo sorvegliati da organizzazioni umanitarie. Gli ebrei americani farebbero bene a ricordarsene, anche ora.

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