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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.01.2017 Le sfide politiche ed economiche di Donald Trump
Federico Fubini intervista Niall Ferguson

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 gennaio 2017
Pagina: 15
Autore: Federico Fubini
Titolo: «'La sua geopolitica è molto razionale, e lancia una sfida a Cina e Germania'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/01/2017, a pag. 15, con il titolo 'La sua geopolitica è molto razionale, e lancia una sfida a Cina e Germania', l'intervista di Federico Fubini a Niall Ferguson.

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Federico Fubini

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Niall Ferguson

Niall Ferguson rappresenterebbe la quintessenza dell’intellettuale conservatore britannico, se non fosse per un dettaglio: vive dall’altra parte. Formatosi a Oxford, professore di Storia economica a Harvard, da qualche tempo Ferguson ha deciso di vivere a Stanford. Sulla costa degli Stati Uniti che guarda verso l’Asia e l’innovazione tecnologica più radicale. Dalla sua prospettiva, la politica estera di Donald Trump — che la si condivida o meno — appare meno dilettantesca e più strategica di come venga descritta a Bruxelles o nei circoli colti di Boston o di New York.

Theresa May, la premier di Londra, sarà da Trump oggi stesso. Quanto sostegno può dare l’amministrazione americana alla Gran Bretagna nel negoziato di uscita dall’Unione europea? «Theresa May ha avuto fortuna. Quando la Brexit ha vinto nel referendum pochi avrebbero scommesso che a Washington si sarebbe insediata un’amministrazione così propensa a correre in soccorso. Così anglofila, in un certo senso. Senza questa svolta, il divorzio sarebbe stato ancora più difficile. Con Trump ci sono delle possibilità che la special relationship fra Stati Uniti e Gran Bretagna, che Obama aveva tanto disdegnato, trovi nuova vita».

Ma in concreto che cosa può cambiare? «Cambia qualcosa in termini simbolici e politici, ma non può sostituire il ruolo che ha l’Europa per il Regno Unito in termini commerciali. È la stessa idea di quando la Gran Bretagna scelse di restare fuori dalla Comunità economica europea nel 1957, nell’idea che si sarebbe appoggiata sull’integrazione con gli Stati Uniti. Già allora si rivelò un’illusione: gran parte degli scambi britannici sono con l’Europa».

Non trova che la visione delle alleanze di Trump sia essenzialmente una sfida a Germania e Cina, oltre che al Massico, cioè ai Paesi con i maggiori surplus commerciali con gli Stati Uniti? «Ha molto senso pensare alla sua politica estera in questi termini. Forse sfugge ai commentatori che credono nell’ordine mondiale emerso negli anni 80 e 90 del secolo scorso e trovano difficile immaginarne un altro, in parte perché questo li ha favoriti. O magari sfugge alle élite che trovano Trump stupido perché non parla come loro e non dichiara che lo status quo è il migliore dei mondi possibili. Eppure questo status ha generato diseguaglianze, rafforzato regimi autoritari, prodotto conseguenze ambientali pesanti in Asia Orientale. Peraltro, dopo otto anni di Barack Obama lo stato del Medio Oriente e del Nord Africa è catastrofico, con la Russia che emerge come beneficiario principale. Difficile criticare Trump se pensa di poter fare di meglio».

Lei pensa davvero che possa fare meglio? «In Medio Oriente credo di sì. L’Iran passerà dall’essere una controparte a essere di nuovo nemico. Anche la Turchia rischia di perdere posizioni. Trump lavorerà con gli alleati tradizionali, Israele e gli Stati arabi sunniti. Ci saranno miglioramenti in tutto il Medio Oriente e forse persino la pace in Siria».

Resta la questione delle tensioni politiche che vengono a galla con attori più grandi come la Germania e la Cina. Che cosa ne pensa? «I cinesi sono sotto choc per l’impatto di uno scenario che loro credevano per loro preferibile, la vittoria di Trump su Hillary Clinton. Non avevano preso sul serio ciò che diceva sul protezionismo, e questo è il problema. Trump sta cercando di riscrivere le regole dell’ordine economico internazionale, perché secondo lui la Germania e la Cina hanno basato la loro crescita sul deficit commerciale degli Stati Uniti. Si sono servite della domanda americana per vendere i loro prodotti, senza contraccambiare».

Non è stato semplicemente legittimo, da parte dell’industria cinese e americana? «Forse, ma la sostanza è che di fronte a un cambio di atteggiamento degli Stati Uniti la posizione della Cina e della Germania adesso è abbastanza debole. L’America può minacciare misure commerciali, forse solo per ottenere concessioni. Ma non c’è molto che i cinesi e i tedeschi possano fare, dipendono troppo dall’accesso al mercato statunitense. Avrebbero dovuto fare di più in questi anni per sviluppare la loro economia interna e esprimere domanda per i prodotti degli altri Paesi».

Eppure Trump chiude anche al Messico, che non è una grande potenza economica. Sta dicendo che gli Stati Uniti, autosufficienti nell’energia, in vantaggio tecnologicamente, non hanno più bisogno del resto del mondo? «In parte può esserci questa idea negli Stati Uniti: il timore che, se la globalizzazione degli scambi continua a espandersi al ritmo attuale, l’economia cinese supererà per dimensioni quella americana tra venti o trent’anni. La leadership globale passerebbe da una democrazia liberale e a una dittatura, almeno di nome, comunista».

«Fermate il mondo, voglio scendere» non è mai stata una strategia vincente, non trova? «C’è un precedente storico, a dire il vero: la Gran Bretagna del ‘700. Aveva la leadership tecnologica di gran lunga, aveva l’indipendenza energetica grazie al carbone e non era affatto propensa a tenere i mercati aperti come si pensa. Era mercantilista verso il resto del mondo: basta chiedere agli indiani. Così puntava a gestire e conservare il suo vantaggio. Gli Stati Uniti oggi potrebbero essere in una posizione simile».

Lei vede in Trump una strategia, tanti lo considerano un improvvisatore. Com’è possibile? «Perché si fanno sviare dai tweet . Non capiscono che le polemiche su Meryl Streep o su quante persone erano in piazza a Washington nel giorno dell’inaugurazione sono disegnate per distrarre. Consiglio di ignorare le querelle e concentrarsi su quello che questa amministrazione fa veramente. Si renderanno conto che Trump non è la reincarnazione di Benito Mussolini, semmai è più come Silvio Berlusconi. Anche con lui bisognava distinguere ciò di cui parlava da ciò che faceva davvero».

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