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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.01.2017 Gian Paolo Calchi Novati: è morto un odiatore di Israele
Il panegirico di Marcello Flores

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 gennaio 2017
Pagina: 33
Autore: Marcello Flores
Titolo: «Addio a Calchi Novati, un maestro degli studi sull'Africa»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/01/2017, a pag. 33, con il titolo "Addio a Calchi Novati, un maestro degli studi sull'Africa", la cronaca di Marcello Flores.

Gian Paolo Calchi Novati è sempre stato un fanatico estremista contro Israele, fino a considerare lo Stato ebraico al pari del nazismo e Menachem Begin un "nuovo Hitler". Posizioni beceramente antisemite, che però Marcello Flores ignora nel suo panegirico allo scomparso. Flores ( non capiamo perchè elimini D'Arcais dal suo cognome) è un alter ego dello scomparso. La sua dipartita non viene ricordata su nessun altro media oggi, ma siamo facili profeti se scriviamo che domani saranno in parecchi a lamentarne la scomparsa. L'Italia abbonda di "professori di storia" che hanno fatto dell'odio per Israele la ragione della propria vita. Ci chiediamo come l'ex Corrierone possa pubblicare un simile panegirico.

Ecco l'articolo:

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Marcello Flores

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Gian Paolo Calchi Novati

Se in Italia è stato possibile conoscere l’Africa e il Medio Oriente, la loro storia e il loro drammatico presente negli ultimi cinquant’anni è stato in gran parte merito di Gian Paolo Calchi Novati, scomparso all’età di 81 anni. Con pochissimi altri studiosi, aveva cercato di guardare al passato senza pregiudizi e senza accademismo, riuscendo a renderci partecipi del dibattito internazionale, storiografico e non, utile a comprendere mondi a noi vicini e sempre troppo poco conosciuti e indagati. L’interesse parallelo di Calchi Novati, da storico e da internazionalista, ha inizio nei primi anni Sessanta, quando sta terminando la decolonizzazione, che Calchi Novati individua da subito come un elemento centrale e autonomo di un mondo caratterizzato dalla guerra fredda e visto, in genere, solamente attraverso il filtro dello scontro Usa-Urss.

La speranza illusoria del neutralismo — quello nato a Bandung nel 1955 — che fu incapace di sottrarsi alla morsa delle due superpotenze e l’inganno dell’apparente indipendenza conquistata dall’Africa hanno costituito il punto di partenza di un’analisi che, molto politicizzata e con il forte segno ideologico degli anni Sessanta, si è rapidamente trasformata in ricerca storica a tutto tondo, delle eredità e delle permanenze, dei cambiamenti e delle perdite che hanno attraversato soprattutto le zone privilegiate nel suo studio curioso e ampio: il Corno d’Africa e l’Algeria, senza dimenticare la politica coloniale ed estera dell’Italia, le puntate sull’Indocina e il Vietnam, l’Africa nella sua globalità. La grande capacità di Calchi Novati, docente alle Università di Pisa, Urbino e Pavia, è stata quella di guardare alle dinamiche e alle tensioni internazionali che coinvolgevano i suoi territori di analisi con l’occhio dello storico, e di ricostruire la storia delle regioni analizzate situandole dentro il contesto internazionale più ampio, riuscendo con rara profondità a cogliere le influenze e i condizionamenti del contesto internazionale (della guerra fredda) sull’autonomia delle scelte nazionali e delle politiche di ogni Stato.

Negli ultimi anni la sua attenzione ai grandi protagonisti della politica mondiale in Africa — la Nigeria in primo luogo e, ancora, l’Algeria e il Corno d’Africa — si è intrecciata all’analisi del jihadismo, senza dimenticare l’eredità coloniale dell’Italia: verso cui ha sempre mantenuto un’attenzione critica nel valutare i nostri rapporti bilaterali e la nostra politica estera, e insistendo sulla necessità di conoscere il nostro passato di colonizzatori per sfuggire agli stereotipi di autoassoluzione sempre presenti nel nostro Paese. Storico delle relazioni internazionali, Calchi Novati è stato una figura di spicco per istituti di studio come l’Ispi e l’Ipalmo, ma anche un grande professore, alla cui scuola si sono formati e laureati decine di docenti e di studiosi, pronto a intervenire in colloqui e conferenze di diverso spessore, convinto che lo scarso rilievo che nella nostra cultura ha avuto e continua ad avere la conoscenza dell’Africa e del Medio Oriente fosse un limite strutturale da cui era difficile riuscire a liberarsi. Proprio per questo aveva guardato con interesse — ma anche con atteggiamento critico puntuale — alle iniziative del nostro governo verso gli Stati del Mediterraneo meridionale e dell’Africa.

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