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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.08.2016 Informare senza prendere posizione: se fatto seriamente si può
Viviana Mazza intervista Michael Walzer, Elisabetta Rosaspina Philippe Portier

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 agosto 2016
Pagina: 5
Autore: Viviana Mazza-Elisabetta Rosaspina
Titolo: «Walzer: sui simboli religiosi accettiamo grandi differenza, ma si rispetti la costituzione- Portier: dalle radici cristiane alla difesa della Repubblica contro il multiculturalismo»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/08/2016, a pag.5,due interviste, in una pagina titolata "DELLA TOLLERANZA", parola ambigua, che poco ha a che vedere con giustizia e libertà che preferiamo. La linea che unisce i due articoli, la scelta degli intervistati, ha però un suo senso, non prende posizione, ma si richiama a informare su 'pluralismo' e 'laicità'. Il primo in America, il secondo in Francia.  Obbligatorio aver dimenticato l'Italia, dove siamo ancora alle prese con le direttive di una religione che non dovrebbe essere più di Stato, ma che detta ancora le proprie regole come se lo fosse. 

Ecco le interviste:

Viviana Mazza: " Walzer: sui simboli religiosi accettiamo grandi differenze, ma si rispetti la Costituzione"

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Viviana Mazza                     Michael Walzer

«È strano voler liberare le donne dai vincoli all’abbigliamento della loro religione imponendo le regole di abbigliamento della nostra non religione. Non è una posizione che conquisterà i cuori e le menti». Michael Walzer, uno dei massimi filosofi politici americani, autore di «Sulla tolleranza» (Laterza), parla al Corriere da Princeton, dove è professore emerito. Non ha ancora letto l’editoriale del New York Times che critica la scelta «farsesca» in Francia di bandire il burkini col rischio di «stigmatizzare e marginalizzare i musulmani », ma vede le cose in modo simile. Secondo il Times, la battaglia sul burkini in Francia non è solo una questione di libertà di abbigliamento. È una battaglia sull’ identità, legata al terrorismo e alla paura del multiculturalismo, che porta a vedere l’assimilazione a una identità rigida come una questione di sicurezza nazionale. Perché in America non è così? «Capisco l’importanza della laïcité e ovviamente tutti i francesi e la maggior parte degli americani preferisce vedere donne poco vestite sulla spiaggia... Ma in questo caso non capisco la risposta francese. Una volta, ho fatto una lezione in un’università britannica: dopo, si sono avvicinate delle ragazze in burqa con gli occ hi visibili da una fessura, e ho pensato che sarebbe difficile essere l’insegnante di queste giovani,
perché non riuscirei a distinguerle l’una dall’altra. Il velo sul volto lo posso capire, fa una grossa differenza se pensiamo ai rapporti tra persone, ma non capisco perch é il
foulard sulla testa dovrebbe dare fastidio. Deve essere spiacevol e nuotare con tutti quei vestiti. Ma sono affari loro. E lei dice che la mia è una risposta americana?». Penso sia legata al modo di vedere la libertà in America... «Come società di immigrati, vogliamo che le persone rispettino regole americane nell’economia e nella politica, ma dal punto di vista culturale e religioso siamo pronti ad accettare grandi differenze. Non importa che cosa indossi sulla testa, ma vogliamo che rispetti la Costituzione. Se la rispetti, sei americano». E cosa c ’è alla radice di questa differenza con la Francia? «Penso che abbia a che fare con lo Stato-nazione: a differenza della Francia, l’America non è uno Stato che appartiene a una singola nazione. È multinazionale. I coloni anglosassoni, benché con riluttanza, accettarono di diventare una minoranza in quello che consideravano il loro Paese. Negli Anni 40 e 50 abbiamo avuto il comitato sulle attività antiamericane, definite puramente in termini politici, mentre sarebbe difficile immaginare che i comunisti francesi vengano definiti non-fr ancesi. Invece un ebreo ortodosso con un abito po lacco ottocentesco a New York può essere un americano». In futuro, la paura del terrorismo potrà portare a considerare antiamericane alcune scelte culturali? «Può succedere, Trump rappresenta questa possibilità. Ma l e cose possono cambiare in Europa in modo opposto . C’è una lotta su come affrontare il radicalismo islamista e può andare in direzioni diverse. Se abbiamo successo nello sconfiggere il radicalismo islamico o se i focolai religiosi si estinguono, ci saranno nuove opportunità per il multiculturalismo in Europa».

Elisabetta Rosaspina: " Portier: dalle radici cristiane alla difesa della Repubblica contro il multiculturalismo

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Elisabetta Rosaspina

 La discussione sul burkini, vietato da quasi venti sindaci sui litorali francesi, ha riportato l’attenzione sull’evoluzion e di una caratteristica fondante della Repubblica, la sua distanza da tutte le religioni, sancita dalla legge del 9 dicembre 1905, ormai inadeguata alla nuova realtà: «La Francia ha riscoperto recentemente le sue radici cristiane e, se questa idea prevale sul rispetto di una legge nata in contrapposizione alle appartenenze religiose, si rischia di cadere nella discriminazione», avverte Philippe Portier, direttore del Gruppo Società, Religioni e Laicità del Centro nazionale di Ricerca Scientifica. Esiste u na laicità «alla francese» diversa da quella praticata dai Paesi anglosassoni? «La laicità francese si fonda sulla legge del 1905, che separa lo Stato dalla Chiesa, introducendo due elementi: la neutralità dello Stato d a qualunque espressione religiosa, poiché la
Repubblica non riconosce nessun culto, quindi i funzionari pubblici non possono esibire alcun distintivo religioso nell’esercizio delle loro funzioni. Questo ci ha differenziato da Paesi come Gran Bretagna o Canada. Il secondo elemento risiede nella libertà di culto e coscienza che la Repubblica riconosce a chiunque, anche i funzionari pu bblici purché al di fuori dal loro ufficio. Mentre ai cittadini privati la legge permetteva di velarsi o portare una croce o una barba islamica ovunque». Che cosa è cambiato? «Il cambiamento riguarda gli spazi sociali ed è avvenuto negli ultimi 20 anni. È intervenuta la legge su l burqa, che proibisce il velo integrale non soltanto negli uffici pubblici, ma dappertutto escluse le abitazioni e le moschee. Spazi un tempo liberi sono diventati controllati. Prima erano sanzionati solo i dipendenti pubblici, adesso anche gli studenti che vanno in classe indossando croci, kippah o velo. La legge El Khomri consente alle aziende private di vietare ai dipendenti segni distintivi religiosi se pregiudicano il buon funzionamento dell’attività». Perché è avvenuto? «Per una crescente diffidenza verso la multiculturalità. Gli Anni 80 e 90 in Francia  sono stati molto liberali, poi si è anda a rafforzando, molto più che in altri Paesi, la tradizione di unità politica e culturale. La nazione è diventata un “blocco” e non si poteva più accettare nello spazio pubblico la diversità di comportamenti tollerata fino a quel momento». Una forma di intransigenza? «All’intransigenza cattolica del XVI II e X IX secolo era subentrata l’intransigenza della Repubblica. Ma quando la comunità musulmana è diventata sempre più importante, la reazione è stata quella di ricercare una coesione culturale e c’è stata un’inedita sovrapposizione tra i discorsi sulla laicità e quelli sulle radici cristiane. Aveva cominciato l’estrema destra, ma da una decina d’anni la questione si è riproposta con forza anche a sinistra». Paura dell’Islam? «Non solo. Anche delle fratture interne. E della decadenza». Se la Francia avrà l’Olimpiade del 2024 vieterà alle atlete musulmane di gareggiare con velo e burkini? «No, non infrangerà le regole internazionali . Inoltre c ’è un’ambivalenza nella laicità: lo Stato ha scoperto di avere bisogno dei culti religiosi per gestire la società».

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