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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.04.2016 Chi è Zubin Mehta ? Il Corriere censura Israele
La memoria labile di Gian Mario Benzig

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 aprile 2016
Pagina: 53
Autore: Gian Mario Benzig
Titolo: «Festa per gli 80 anni di Mehta, direttore 'rivoluzionario'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/04/2016, a pag.53, con il titolo "Festa per gli 80 anni di Mehta, direttore 'rivoluzionario'", l'articolo di Gian Mario Benzig.

Zubin Mehata è il direttore dell'Orchestra Filarmonica di Israele dal 1971 e lo è tuttora. Averlo ignorato nell'articolo è forse non voluto, ma rimane una grave dimenticanza, essendo il fatto noto in tutto il mondo musicale. Benzig l'ha ignorato, e questo avrà pure un significato.

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Zubin Mehta con l'ex Capo dello Stato d'Israele Shimon Peres

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Ecco il pezzo:

Firenze - Ormai è praticamente un rivoluzionario, Zubin Mehta, tanto iper-tradizionalista appare il suo stile. Come domenica scorsa, all’avvio del Maggio Musicale Fiorentino: e dove la senti più una Nona Sinfonia di Beethoven diretta così, grandiosa come in epoche lontane, senza le secchezze e i tempi isterici che oggi segnano buona parte della norma esecutiva spacciata per giovanile originalità?. Nel distretto viennese (o salisburghese?) di Florenz am Arno, dove il Festkonzert per gli ottant’anni di Mehta inizia alle sei di sera, il maestro indiano distende respiro e maestà, tempi larghi (tranne l’Adagio, in 13’55), fusione morbidissima; una lezione di equilibrio timbrico che va dagli splendidi corni ai timpani del «Molto vivace», in realtà vivace neanche un po’, fino al possente Coro del Maggio; e che solo esclude, mal assortiti, i solisti di canto, un baritono tutto impeto nasale, un tenore pallidissimo e un soprano slabbrato su vari La acuti. Standing ovation, 8’55 di applausi e il Coro che tuona «Tanti auguri a te». E questo dopo i brividi della prima parte: un Concerto «Imperatore» in cui Mehta sfida le leggi della statica, tenendo in equilibrio, sul cashmere di un’orchestra avvolgente e sontuosa, il pianoforte di un András Schiff in modalità «folletto spietato». Nelle lunghe pause, il grande ungherese tiene le mani stese sopra il pianoforte, come in preghiera sull’altare del genio; poi, di colpo, tutto trasparenze e lampi, sbalza i temi eroici come cristalli accecanti. Mai un pensiero affettuoso. E più il cashmere di Mehta lo accarezza, più lui scava polifonie nascoste, inauditi galoppi della sinistra e staccati radiosi. Libero, ardito. E da questo mix, all’apparenza «impossibile», il Maggio fiorisce brillantissimo.

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