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Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.11.2015 Il pericolo più grande non è l'Isis, sono i Fratelli musulmani
Prima ce ne accorgiamo, meglio sarà: intervista di Francesco Battistini a Tariq Ramadan

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 novembre 2015
Pagina: 19
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «'C'è tanta frustrazione, dietro lo scontro religioso si cela la questione sociale'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/11/2015, a pag. 19, con il titolo "C'è tanta frustrazione, dietro lo scontro religioso si cela la questione sociale", l'intervista di Francesco Battistini a Tariq Ramadan.

A destra: il simbolo della Fratellanza musulmana è molto eloquente: due scimitarre e il Corano sono gli strumenti con cui imporre l'islamismo agli "infedeli". Cioè a tutti noi.

Continuare a intervistare Tariq Ramadan sul terrorismo islamico è un paradosso. Ramadan, infatti, fa parte della Fratellanza musulmana e di questa diffonde i principi: l'invasione silenziosa come strumento per sottomettere gli "infedeli" e creare un nuovo Califfato. I Fratelli musulmani sono egemoni nelle principali organizzazioni comunitarie islamiche in Europa, a partire dall'UCOII in Italia, e sono tutt'altro che "moderati", dal momento che intendono scardinare la società occidentale dall'interno, aggredendone i valori e tacciando di "islamofobia" le voci non allineate. Sarebbe ora di rendersi conto del pericolo che rappresentano, ma sarà difficile farlo fintanto che Ramadan godrà di autorevolezza su televisioni e giornali. Per approfondire la natura e i fini della Fratellanza, invitiamo a leggere gli articoli di Valentina Colombo pubblicati su Informazione Corretta.

Ecco l'articolo:

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Francesco Battistini

«La mia sensazione è che dopo vent’anni niente sia cambiato. Si fanno gli stessi discorsi di Bush dopo l’11 settembre». Tariq Ramadan esce dall’ennesima conferenza ed è quasi senza voce: difficile fare sentire la sua, in queste ore di raffiche e di bombe. Criticato in un certo Occidente, che l’ha spesso considerato troppo morbido coi fondamentalisti. Attaccato da un certo Islam, che non accetta la sua identità di musulmano europeo integrato — è nato in Svizzera e insegna a Oxford — e l’accusa di toccare gl’intangibili valori islamici. Io tocco le menti e non l’Islam, è la sua risposta di sempre: «Ma capisco che questa sia una discussione infinita…».

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Tariq Ramadan

Sono almeno quindici anni che parliamo d’Islam moderato. Prima della partita della Turchia, in quel minuto di fischi, è stato zittito per sempre? «Quei fischi non hanno molto a che vedere con questioni religiose. C’è una Turchia che manifesta contro la violenza e la subisce. Ma c’è un Sud del mondo dove ci si chiede: perché si piangono solo i morti di Parigi? E la Siria, il Libano? Perché non si fa un minuto di silenzio anche per loro?».

Per la verità, un mese fa il minuto c’è stato. E lo stadio ha fischiato anche quello… «Io non giustifico, sia chiaro. Ma questo non è estremismo: è una frustrazione che affiora. E con cui bisogna fare i conti».

Perché né l’Islam, né l’Occidente hanno prodotto leader capaci d’un dialogo? «Perché è un contenzioso storico che dura da secoli. Questioni enormi che non si cancellano in tempi brevi. Ma vorrei chiarire: dopo questi attacchi, il problema non è l’integrazione religiosa in Occidente, non è lo scontro fra laicità e religione. In Francia, l’integrazione s’è conclusa da tempo. L’Islam è una religione occidentale ed europea. Il problema è nella giustizia sociale. Una società multietnica si costruisce giorno per giorno, non solo stando uniti nel dramma».

Non starà dicendo che i terroristi sono solo vittime della società? «Non ho detto questo. È chiaro, c’è un’interpretazione religiosa di questi temi sociali. C’è una grave responsabilità dell’Islam fanatico, l’esigenza di un’autocritica, minoranze che non c’entrano col Corano. Ma questi estremisti vanno più su Internet che nelle moschee. E sia i fondamentalisti, sia i nazionalisti hanno interesse a eludere il problema sociale e a buttarla sullo scontro religioso».

Molti riaprono i libri di Oriana Fallaci e le danno ragione postuma. «Sono le reazioni di chi cade nella trappola della divisione. Di chi non guarda alla grande maggioranza dei musulmani che oggi s’oppone a questa violenza. I francesi di confessione musulmana non hanno problemi coi valori dell’umanesimo. Il problema, non solo dei musulmani, è che la Francia non sostiene i valori che ci tengono uniti. Non lo fa in Siria, in Iraq, con le petromonarchie del Golfo. Il loro problema non è la laicità: è l’esercizio del potere. Non bisogna cadere nelle strumentalizzazioni di chi ha interesse a dividere».

L’Europa comincerà ad affrontare in modo autonomo le questioni mediorientali? «Quel che vedo è il contrario del buon senso. Hollande sfodera la stessa politica di Bush: bombarda. Qual è la sua visione europea sulla Siria? Non c’è: E sul conflitto israelo-palestinese? Non c’è. La politica europea entra in un momento di disimpegno di quella americana. Però manca d’una visione internazionale. È in piena contraddizione con se stessa. Chi sono i francesi? Quelli che sostenevano la democrazia dei popoli e contemporaneamente Ben Ali o Gheddafi? È questo che nel mondo musulmano non si riesce a capire. Non è possibile appellarsi ai valori dell’umanesimo universale, quando ci si occupa di casa propria, e nello stesso tempo agire in questo modo se si va sulla scena internazionale».

Putin ce l’ha, una strategia? «Di sicuro. Si è mosso in anticipo, fa pesare il suo grande ruolo. Fa il suo gioco».

È arrivato il momento di tenersi Assad, rimpiangendo Gheddafi e tutti gli altri? «Il primo responsabile del terrorismo in Siria è Assad. Se ne deve andare. Non si può stare né coi terroristi, né con lui».

E poi? «E poi ci dev’essere una transizione democratica. Come s’è fatto altre volte nella storia e con altri Paesi. Non è facile, lo capisco, ma è l’unica strada».

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