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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.08.2015 Tra le violenze si sfalda la Turchia di Erdogan
Commento di Antonio Ferrari

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 agosto 2015
Pagina: 10
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: «Fra violenze e crisi politica si sfalda la Turchia di Erdogan»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/08/2015, a pag. 10, con il titolo "Fra violenze e crisi politica si sfalda la Turchia di Erdogan", il commento di Antonio Ferrari.

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Antonio Ferrari

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il primo ministro Ahmet Davutoglou hanno sempre esaltato l’idea di una «sicurezza ontologica», nel senso di dare certezze e continuità agli eventi della propria vita. Almeno fino a qualche mese fa, quando il sogno si è sgretolato e la Turchia ormai non è più la stessa. L’audace attacco, a colpi di mitra, allo storico palazzo di Dolmanbahce a Istanbul, meta di turisti e sede di uffici governativi, e l’attentato nel Sudest a maggioranza curda a un convoglio militare (otto soldati morti) sono il segno, ormai quasi quotidiano, di un costante degrado politico e sociale. Amplificato dall’ormai certezza di nuove elezioni, visto che nessuno, dopo il voto del 7 giugno, è in grado di formare un governo. Il motivo è semplice: il partito del presidente, l’islamico-moderato Akp (Giustizia e sviluppo), non ha più la maggioranza assoluta.

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Recep Tayyip Erdogan

E in sostanza è avaro sia di giustizia sia di sviluppo. Nel 2002, quando Erdogan si affacciò sul palcoscenico come il salvatore della patria, deciso a stabilizzare il Paese, promettendo diritti alle minoranze, libertà religiosa e crescita garantita e costante, nessuno credeva al miracolo in una Turchia indebolita per decenni da conflitti e scelte inconcludenti. Le promesse invece sono state mantenute per oltre un decennio. Adesso, improvvisamente, i capisaldi della dottrina-Erdogan sono crollati, tutti insieme. Mai, dall’inizio del Terzo millennio, si erano visti e respirati, con inquietante sincronia: incapacità di dare al Paese stabilità politica, violenza inarrestabile, clima di ricatti e intimidazioni, decine di giornalisti in galera, rallentamento preoccupante della crescita, crollo del prestigio internazionale, rapporti non buoni con i Paesi confinanti. Il tutto avvolto nell’involucro di una ormai prossima campagna elettorale che rischia di diventare la palestra ideale per scorribande terroristiche.

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Dalla Turchia di Atatürk a quella di Erdogan: trovate le differenze

Erdogan ha giocato col fuoco, senza valutare con attenzione i rischi connessi all’apertura contemporanea di troppi fronti. Ha cominciato dichiarando guerra al suo amico-alleato del passato, il predicatore Fetullah Gulen, che vive in esilio negli Usa. Ha usato e abusato del suo potere, prima come premier e poi presidente, attaccando tutti coloro che osavano contrastarlo. Non ha certo combattuto contro lo Stato Islamico: per lui erano molto più pericolosi i ribelli che protestavano per lo scempio del parco di Gezi. Si è ammalato di megalomania, facendosi costruire, sulle alture di Ankara, un palazzo più grande della reggia di Versailles, con 1200 stanze. Ha perduto la sfida con un piccolo partito curdo, che in realtà rappresentava parte dell’intera opposizione alle elezioni del 7 giugno. Il presidente contava che l’Akp le stravincesse e poi approvasse la riforma della Repubblica, regalandogli tutto il potere. Il suo partito ha perso anche la maggioranza assoluta. Infine, ha accettato di aprire le sue basi alla Nato per la «guerra al terrore», me se per gli alleati il terrore è lo Stato Islamico, per lui i nemici sono i curdi e gli estremisti di sinistra.

Ora si prepara lo scenario del voto anticipato, che ormai pare quasi inevitabile. L’idea è di varare un esecutivo pre elettorale, ma non sarà facile. Logico domandarsi: quanti attentati e quante vittime mancano al giorno dell’appuntamento con le urne?

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante 


lettere@corriere.it

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