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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.04.2015 Save the date: il 7 maggio il film sulla morte di Ilan Halimi, 'Je suis Ilan'
La storia di Ilan, rapito e torturato a Parigi perché ebreo nel 2006 da fondamentalisti islamici

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 aprile 2015
Pagina: 41
Autore: Emilia Costantini
Titolo: «Ucciso perché ebreo, in tv 'Je suis Ilan'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/04/2015, a pag. 41, con il titolo "Ucciso perché ebreo, in tv 'Je suis Ilan' ", la recensione di Emilia Costantini.

Il film "Je suis Ilan", sulla morte di Ilan Halimi, sarà presentato il 6 maggio all'Auditorium della Conciliazione e verrà trasmesso il 7 maggio su Rai 2 in prima serata. Un appuntamento che consigliamo (pur non avendolo ancora visto)

Ecco l'articolo:

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Emilia Costantini                  Ilan Halimi


La locandina del film

20 gennaio 2006. Un giovane ebreo, Ilan Halimi, viene rapito nella cittadina di Sceaux e ritrovato agonizzante il 13 febbraio lungo i binari della ferrovia a Sainte-Geneviève-des-Bois, periferia parigina. Ventiquattro giorni di torture, umiliazioni di ogni genere, ad opera di un gruppo di integralisti islamici, la cosiddetta «banda dei barbari». Il giovane ebreo muore, il commando verrà arrestato: resta la disperazione dei genitori che non hanno potuto salvarlo. Je suis Ilan si intitola il film che racconta quei terribili 24 giorni e che è tratto dal libro omonimo realizzato dalla scrittrice Emilie Frèche, in base alla testimonianza della madre della vittima, Ruth Halimi. Un duro film-denuncia con la regia di Alexandre Arcady che, non nascondendo le difficoltà incontrate per produrlo, afferma: «Il movente ormai riconosciuto del sequestro e dell’uccisione è l’antisemitismo.

Ilan è il primo giovane ebreo ucciso in Francia dopo la Shoah. Questo crimine antisemita non è stato un semplice fatto di cronaca, ma l’indice di un grave fenomeno sociale. E lo scopo di questo film è di scuotere le coscienze». Una serata speciale il 6 maggio all’Auditorium della Conciliazione per presentare il film, che andrà in onda il giorno dopo su Rai2 in prima serata: è prevista la presenza del presidente di Israele Reuven Rivlin, del presidente Mattarella, i familiari di Ilan, ma anche il musulmano che il 9 gennaio scorso ha salvato gli ostaggi del supermercato ebraico all’indomani dell’attentato a Charlie Hebdo. «Mi chiamo Ruth Halimi, ho tre figli. È incredibile quello che mi è accaduto a Parigi nel 2006, ma purtroppo è accaduto, è tutto vero», sono le prime parole sussurrate dalla madre di Ilan che danno il via al racconto. La frase, invece, con cui lo stesso personaggio chiude il film dice: «Vorrei che la morte di Ilan servisse a dare l’allarme».

Sì, perché la polizia, che pure si è impegnata oltre ogni limite, ha fallito. «C’erano 400 persone a occuparsi del caso, 24 ore su 24 — riprende Arcady — ma pensavano si trattasse di una banda di criminali comuni che mirava solo al riscatto. La polizia francese ha commesso un grave errore di valutazione. L’antisemitismo è radicato profondamente. Per i rapitori, Ilan era come un animale anche se aveva la loro età, la stessa nazionalità: siamo tornati ai vecchi schemi che credevamo scomparsi con il nazismo e la soluzione finale. Un ebreo che viene imprigionato, torturato, rapato a zero, abbandonato in un bosco e bruciato vivo».

Un rigurgito di antisemitismo che non si vuole ammettere ed è proprio il personaggio della madre ad intuire subito la verità: avverte gli inquirenti, senza essere ascoltata. E quando ormai la tragedia si è consumata e il procuratore, nelle sue dichiarazioni, si ostina a escludere il movente razzista, la donna sottolinea: «Mio figlio è stato ucciso una seconda volta. Mio figlio è stato scelto dai criminali perché era ebreo. Se non fosse stato ebreo non l’avrebbero assassinato». Ma nonostante il dolore, Ruth non cerca vendetta: nelle ultime sequenze del film, mentre fa trasportare la salma del figlio a Gerusalemme, «affinché i suoi carnefici, una volta usciti di galera, non vadano a sputare sulla sua tomba», la donna racconta delle tante lettere di solidarietà ricevute da musulmani.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

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