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Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.01.2015 Riscatti-ricatti: non dobbiamo piegarci ai terroristi
Editoriale di Angelo Panebianco

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 gennaio 2015
Pagina: 1
Autore: Angelo Panebianco
Titolo: «Non piegarsi ai tagliagole»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/01/2015, a pag. 1-29, con il titolo "Non piegarsi ai tagliagole", l'editoriale di Angelo Panebianco.

Finalmente una proposta concreta. Se l'Europa esiste è questo il momento di dimostrarlo. Se tutti i ministri degli Esteri europei adotteranno una politica comune, l'autofinanziamento del terrorismo derivante dai sequestri sarà un brutto ricordo del passato.


Le due italiane rapite in Siria, riscattate dallo Stato italiano

Ecco l'articolo:


Angelo Panebianco

Alle polemiche, più o meno inevitabili, è necessario, prima o poi, fare seguire la riflessione. Altrimenti, si finisce per polemizzare a vuoto. Con la certezza di ricominciare daccapo la volta successiva. Bisogna piegarsi sempre e comunque ai tagliagole e pagare i riscatti salvando così la vita dei rapiti? Oppure farlo significa sì riportare a casa quella singola persona ma anche finanziare nuove imprese criminali e, soprattutto, accrescere le probabilità che altre persone vengano successivamente rapite? Sappiamo che i governi italiani (di destra e di sinistra, senza eccezioni) hanno sempre pagato o almeno lo hanno fatto tutte le volte che hanno potuto. E sappiamo anche che molti altri governi europei fanno la stessa cosa. Solo gli anglosassoni no o, per lo meno, è quanto in genere affermano. Fino ad oggi, le scelte sono rimaste saldamente nelle mani dei governi nazionali. È quasi inevitabile che un governo, lasciato a se stesso, paghi per salvare la vita dell’ostaggio. Il costo dell’impopolarità sarebbe troppo alto se l’ostaggio venisse ucciso a causa del rifiuto di pagare. Ma è anche un fatto che in questo modo si alimenta l’industria del sequestro, si favoriscono nuovi rapimenti. Per non parlare dei possibili usi terroristici del denaro dei riscatti. Ricordava sul Corriere di ieri Marco Demarco che l’Italia sconfisse i sequestri di malavita, un tempo assai diffusi, ricorrendo al blocco dei beni, impedendo ai familiari di pagare per la vita dei loro cari sequestrati. Come se ne esce? C’è un solo modo possibile: bisogna usare l’Europa. Fare, per il caso dei sequestri, ciò che i governi europei hanno sempre fatto per tante altre cose. Non posso adottare una certa linea di condotta perché la mia opinione pubblica, il mio Parlamento, eccetera, me lo impedirebbero? Benissimo, faccio adottare quella linea di condotta alle istituzioni europee e ad essa mi adeguo. In seguito, di fronte alle eventuali proteste nazionali, potrò sempre dire «mi spiace, non è colpa mia. Me lo ha imposto l’Europa». È un giochetto che i governi europei hanno praticato per decenni anche in rapporto a cose assai meno importanti. È arrivato il momento di mobilitare l’Europa — che oggi riunisce il Consiglio dei ministri degli Esteri dei 28 Paesi membri — per una faccenda davvero seria. Occorre un’interpretazione creativa dei trattati che porti a uno scatto, a un salto di qualità, in materia di sicurezza.

 Non c’è solo da accrescere la cooperazione fra le agenzie di intelligence. C’è anche (fra l’altro) da elaborare, e imporre ai governi, una linea dura, e condivisa, in materia di sequestri: non si paga più. E occorre che il messaggio arrivi, forte e chiaro, e soprattutto credibile, agli «addetti» dell’industria del sequestro in Medio Oriente e altrove. Per stroncare finalmente il traffico. Con gli assalti a Parigi e la minaccia che incombe su tutta Europa siamo entrati in una nuova fase della guerra jihadista iniziata, se proprio si vuole scegliere una data emblematica, l’11 settembre del 2001. Di fronte alla nuova e sempre più grave situazione (almeno per l’Europa) non è più tempo di «fai da te». Ciò non vale solo per i volontari in zone di guerra. Vale pure per i governi nazionali. Anche in materia di sequestri occorre ormai un’azione concordata. Dopo tanto inutile bla bla sulla necessità di una «Europa politica», ecco che arriva davvero (purtroppo, data la terribile situazione in cui ci troviamo) l’occasione per far fare all’Europa un salto di qualità politico. Almeno se la politica ha a che fare (ed è proprio così) prima di tutto, e soprattutto, con la sicurezza. Si tratti di caccia alle cellule dormienti, o ai foreign fighters di ritorno, o ai reclutatori e ai propagandisti della guerra santa, si tratti di scambio di informazioni o si tratti, infine, di una linea comune da adottare sui sequestri, è arrivato per l’Unione europea il momento di dimostrare, ai tanti che vorrebbero sbarazzarsene, che essa ci serve anche per la sicurezza. Se è rimasto ancora qualche europeista asserragliato dentro le istituzioni europee farebbe bene a cogliere la palla al balzo.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante 


lettere@corriere.it

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