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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.11.2014 Le nuove brigate internazionali per fermare lo Stato islamico
Commenti di Lorenzo Cremonesi, Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 novembre 2014
Pagina: 9
Autore: Lorenzo Cremonesi - Davide Frattini
Titolo: «I fanatici occidentali ancora più feroci degli stetssi miliziani - Motociclisti olandesi e veterani americani i 'patrioti' filocurdi»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/11/2014, a pag. 9, con il titolo "I fanatici occidentali ancora più feroci degli stessi miliziani", il commento di Lorenzo Cremonesi; con il titolo "Motociclisti olandesi e veterani americani i 'patrioti' filocurdi", il commento di Davide Frattini.

Lorenzo Cremonesi: "I fanatici occidentali ancora più feroci degli stessi miliziani"


Lorenzo Cremonesi


"Jihadi John": il decapitatore dell'Isis proviene dal Regno Unito

Sono ormai la forza trainante dello Stato Islamico, ma a ben guardare possono anche diventarne il tallone d’Achille. Parliamo dei volontari: quella variegata, motivata, spesso fortemente ideologizzata ed intrinsecamente estremista componente che accompagna le guerre di ogni tipo e in qualsiasi Paese. C’erano in tutti gli eserciti della Prima guerra mondiale; furono il nerbo internazionalista della Guerra di Spagna; le avanguardie comuniste, naziste e fasciste del Secondo conflitto mondiale; erano l’essenza delle milizie sioniste e palestinesi nel 1948. C’erano volontari in Corea, in Vietnam, in Algeria pro e contro il regime coloniale francese. Difficile trovare una guerra in cui non vi siano volontari.

La peculiarità di Isis però è che le brigate internazionali della Jihad sono necessarie e tuttavia viste con timore dagli stessi sunniti che sono venute ad aiutare. In Iraq il fenomeno è macroscopico. «Noi vecchi baathisti e legati alle tribù sunnite di Al Anbar non abbiamo nulla da spartire con gli integralisti religiosi afghani o con gli estremisti wahabiti arrivati da Arabia Saudita, Giordania e Algeria. Li useremo sino a quando ci serviranno per battere gli sciiti. Poi però ce ne disferemo», mi dicevano in giugno i militanti a Bagdad del «Muttahidun», uno dei maggiori movimenti sunniti rappresentato al Parlamento. I volontari della jihad, molto più violenti e intolleranti dei qaedisti locali, sono cresciuti per numero e importanza. Secondo la Cia sarebbero oltre 20 mila. Un recente rapporto interno segnalato dal Washington Post sostiene che ne arriverebbero ormai in media un migliaio al mese. Oltre 3 mila sarebbero tunisini, il singolo gruppo nazionale più numeroso. I cristiani fuggiti da Mosul affermano che i più pericolosi sono afghani, pachistani e soprattutto ceceni. Senza parlare di «ceffi» del tipo «John il Jihadista», noto anche come «John il Beatle», il terrorista dal perfetto accento inglese assurto a notorietà mondiale con il video della decapitazione del giornalista americano James Foley in agosto. A metà settembre la stampa anglosassone riportava che sarebbe stato identificato dai servizi inglesi come il rapper Abdel-Majed Abdel Bary. Due mesi fa a Erbil i profughi cristiani fuggiti da Karakosh, nella regione di Ninive attorno a Mosul, parlavano con paura di un altro rapper, questa volta tedesco, il quarantenne Denis Mamadou Gerhard Cuspert, meglio noto come Deso Dogg. «E’ lui che predica l’Islam con più convinzione. Dice che è bello morire per la guerra santa. Prima parla con dolcezza, ma poi passa alle minacce di morte. I jihadisti iracheni e siriani sono meno duri con i cristiani», sostengono. A Raqqa, la capitale di Isis, i volontari stranieri hanno preso le redini del potere. Ma tanti di loro hanno perduto la vita nella battaglia per la città curda di Kobane.

Davide Frattini: "Motociclisti olandesi e veterani americani i 'patrioti' filocurdi"


Davide Frattini


Gill Rosenberg, israeliana, si è unita ai peshmerga curdi che difendono Kobane

Tutti addormentati nel profondo, profondissimo sonno dell’Inghilterra, da cui a volte temo non ci sveglieremo mai finché non ne saremo strappati di colpo dal boato delle bombe (George Orwell, «Omaggio alla Catalogna»).

Le guerrigliere curde sono raggruppate nella milizia YJA Star (l’Unione delle donne libere) che ricorda le Mujeres Libres della Spagna di Orwell, se non fosse per quella stella, un riferimento a Ishtar, antica dea della Mesopotamia. Gli occidentali che vanno a combattere nel Nord delle Siria proclamano le stesse motivazioni dello scrittore britannico: i fondamentalisti dello Stato Islamico, come alla fine degli anni Trenta i fascisti, vanno fermati qui, prima che il conflitto diventi mondiale.

Le brigate internazionali postmoderne mettono insieme bande di motociclisti olandesi, veterani americani delle guerre che non finiscono, soldatesse in congedo dello Tsahal israeliano. Jordan Matson, 28 anni, prima non era mai rimasto coinvolto in uno scontro a fuoco: 24 mesi nell’esercito, nessuna missione fuori dagli Stati Uniti, un lavoro da impacchettatore di surgelati nel Wisconsin. Adesso zoppica per i frammenti di un proiettile di mortaio, è arrivato nel Levante dopo aver visto le immagini della caduta di Mosul in Iraq e aver contattato i gruppi curdi su Facebook, dove prova a convincere altri ex militari canadesi, europei, australiani, americani, «patrioti che non vogliono restare seduti in poltrona».

Jeremy Woodward in Afghanistan e Iraq c’è stato, non poteva rimanere in Missouri — racconta lo zio — mentre quello per cui ha combattuto viene distrutto. E’ quello che pensa il generale Buford Blount, l’uomo che guidò la presa di Bagdad nel 2003: «Qualsiasi aiuto ai curdi è positivo, i fondamentalisti vanno eliminati». E’ quello che pensa David Graeber, anarchico e docente di Antropologia alla London School of Economics: «Nel 1937 mio padre partì come volontario in difesa della Repubblica spagnola. La regione autonoma controllata dai curdi è uno dei pochi esperimenti democratici emersi dalla ribellione contro il regime di Bashar Assad e va protetta».

Sono le ragioni che hanno spinto i gruppi radicali femministi turchi a passare il confine o i no global italiani come Tommaso Cacciari, nipote del filosofo, a esportare solidarietà e sostegno. Gill Rosenberg — di origine canadese, istruttrice nell’esercito israeliano, tre anni di prigione per truffa — ha lasciato Tel Aviv per la Siria accompagnata dal motto in ebraico ripetuto dai comandanti di Tsahal: « Aharai , seguitemi. Facciamo vedere ai fondamentalisti quel che vuol dire».

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