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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.10.2014 Kobane: il baluardo del mondo libero verso la capitolazione
Commento di Bernard-Henri Lévy

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 ottobre 2014
Pagina: 29
Autore: Bernard-Henry Lévy
Titolo: «Per salvare Kobane l'unica speranza è l'intervento turco»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/10/2014, a pag. 29, con il titolo "Per salvare Kobane l'unica speranza è l'intervento turco", il commento di Bernard-Henri Lévy.


Bernard-Henri Lévy


Barricate nelle strade di Kobane: l'ultima, disperata resistenza dei curdi

Kobane cadrà. Si tratta di ore. Forse di giorni. Ma Kobane cadrà, vittima di un Erdogan che ha sbagliato i conti, gioca con il fuoco o, più esattamente, con il diavolo, e che, lasciando il suo potente esercito lungo la frontiera turco-siriana, appena a pochi chilometri dalla città martire, sembra aver scelto, fra l'Isis e i curdi, l'Isis.
Kobane cadrà, vittima del doppio gioco di una Turchia che — dopo aver permesso il transito ai jihadisti della regione, dopo aver chiuso gil occhi sulle armi pesanti che gli uomini dell'Isis per settimane hanno trasportato verso la città assediata, e che oggi bombardano, ferma tutto, blocca tutto e fa la virtuosa impedendo non solo alle proprie truppe, ma ai diecimila volontari curdi accorsi in rinforzo di venire a salvare Kobane.
Kobane cadrà. Il miracolo insensato della resistenza di Kobane che è riuscita, finora, senza mezzi, con scontri di inaudita violenza, a ritardare l'avanzata dei folli di Allah, ormai non durerà a lungo. E la caduta di Kobane, la bandiera nera del Califfato issata, non più nei suoi quartieri Est e Sud, ma sulle ultime alture di quella città simbolo, sarà una catastrofe di cui non sempre, e non ovunque, si calcolano gli effetti.
Sarà una catastrofe per gli uomini e le donne che da settimane lottano, con stupefacente coraggio, contro legioni armate fino ai denti che non esiteranno a punirli duramente per la loro audacia. Sarà una catastrofe per la città stessa. L'Isis non si accontenterà, stavolta, di sottopone le donne a mutilazioni genitali, di decapitare i responsabili o di far convertire con la forza le minoranze, ma farà sì che Kobane entri nella lunga e terribile lista delle città martiri degli ultimi decenni: Guernica polverizzata dagli aerei della legione Condor; Coventry rasa al suolo dagli Heinkel dell'aviazione tedesca; Stalingrado e il suo milione di cadaveri; Sarajevo uscita viva, ma al prezzo di undicimila morti, da un assedio durato oltre mille giorni; Grozny, in Cecenia, rasa al suolo, trasformata in città fantasma dalla soldatesca di Putin; Aleppo, nella stessa Stria, con I suoi tesori di civiltà e di bellezza sepolti sotto le bombe di Bashar al-Assad. Sarà una catastrofe per il Kurdistan laico, incarnazione di quei valori di moderazione e di diritto che le Cancellerie auspicano nella terra dell'islam e di cui i peshmerga sono gli unici ad aver preso alla lettera l'ordine di mobilitazione mondiale contro le orde dell'Isis e a combattere, in prima linea, quello che si è autoproclamato Stato, e che minaccia, oltre al Kurdistan, l'umanità in quanto tale.
Poiché Kobane non è soltanto un simbolo, ma un ostacolo, la sua caduta sarà una catastrofe per la coalizione, di cui essa è l'avanguardia, che vedrà i barbari dell'Isis ritagliarsi una grande striscia di terra, lunga parecchie centinaia di chilometri, adiacente alla frontiera turca. Per impedire tale disastro restano pochissime ore e pochissimi mezzi. La coalizione può prevedere di intensificare gli attacchi: ma come attaccare, e chi, quando si lotta corpo a corpo, strada per strada, quasi casa per casa, nelle periferie della città? Può consegnare armi: anche senza l'aiuto turco, ne ha la possibilità logistica e, se non lo fa, se non si decide a ristabilire un minimo di equilibrio fra i jihadisti dotati di artiglieria pesante, lanciarazzi sofisticati, carri armati presi dagli arsenali di Mosul e di Taba, e i kurdi che dispongono solo di kalashnikov, di mitra e di qualche mortaio, resta ai semplici cittadini la libertà di fare quel che fecero in favore della piccola Bosnia che, anch'essa, difendendosi, ci difendeva.
Ma è il tempo che manca. No. All'ora attuale, per salvare quel che resta di Kobane c'è un solo modo: ricorrere alla Turchia. Bisogna ricordare a Erdogan, il cui giudizio è oscurato dal timore che un embrione di Stato curdo si stabilisca alle sue porte, che l'Isis è anche suo nemico e che anche per lui Kobane può segnare la fine. Occorre fargli capire che se al suo regime, sempre più autoritario, resta la possibilità di allacciare con l'Europa accordi economici e, un giorno, politici, tale possibilità passa per i soccorsi portati agli eroi di Kobane. Occorre andare oltre e dirgli che la lotta contro l'Isis è l'occasione, ora o mai più, di verificare l'affidabilità delle alleanze e del sistema di sicurezza collettiva stabilito nella regione all'indomani della Seconda guerra mondiale, di cui la Turchia è più che responsabile, poiché, dalla sua adesione alla Nato nel 1952, ne è il pilastro orientale. La Turchia si è associata controvoglia, nel 1991, alle operazioni di sostegno alle popolazioni civili dell'Iraq del Nord. La «Grande assemblea» turca, il 1° marzo 2003 ha votato contro il passaggio e lo stazionamento in Turchia di sessantaduemila militari americani diretti a Baghdad. Se la Turchia, per la terza volta, mancasse l'occasione, allora verrebbe messa in questione la sua stessa posizione in seno alla Nato. Bisogna che gli emissari di Obama appena arrivati ad Ankara lo dicano senza giri di parole. Bisogna che Hollande, dopo aver offerto alla Turchia promesse di amicizia, si faccla portavoce dei suoi partner per ricordare che Kobane è un baluardo per l'Europa. Anche in questa occasione dobbiamo dire: «Non passeranno».

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