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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.10.2014 Marocco: dove il fanatismo non riesce a sfondare
Analisi di Ernesto Galli della Loggia

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 ottobre 2014
Pagina: 15
Autore: Ernesto Galli della Loggia
Titolo: «L'eccezione Marocco»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/10/2014, a pag.15, con il titolo "L'eccezione Marocco", il commento di Ernesto Galli della Loggia.

E.Galli della Loggia   Mohammed VI re del Marocco

Come può una società povera e tradizionale del mondo islamico corompiere un tragitto verso la modernizzazione e la partecipazione politica senza cadere in uno dei due opposti pericoli classicamente in agguato su questa strada: la dittatura militare da un lato (tipo Egitto e Algeria) o il plebiscitarismo islamo-populista (tipo Iran) dall'altro? In Marocco si toccano con mano i fattori che rendono possibile una simile impresa (impresa che visto il panorama generale ha quasi del miracoloso), anche se al tempo stesso ci si rende conto di come questi fattori siano spesso irriproducibili, dipendendo soprattutto dalla storia. La storia del Marocco ne ha messi in campo almeno due di questi fattori, entrambi rivelatisi decisivi: innanzitutto la circostanza che il Paese — tra l'altro il solo del mondo arabo a essersi sottratto al dominio ottomano — gode da oltre tre secoli dell'ininterrotta presenza di un'effettiva statualità sotto una medesima dinastia, capace a suo tempo di rivendicare l'indipendenza nazionale anche contro il colonialismo francese. In secondo luogo il fatto che da tempo il re, in quanto insignito del titolo di «Signore dei credenti» si considera non solo il capo religioso dei suoi sudditi islamici, ma anche il protettore dei sudditi che si riconoscono nelle altre due grandi fedi monoteiste. Ciò che non solo permette l'esistenza di una tolleranza religiosa a favore di cristiani ed ebrei (la comunità ebraica in Marocco è antichissima con molti discendenti degli ebrei scacciati dalla Spagna nel 1492) — oggi, a differenza di ogni altro Paese della regione, garantita anche dalla nuova Costituzione del 2011- ma che, cosa forse ancora più importante, costituisce la premessa perché il sovrano (e cioè lo Stato) eserciti una forte funzione di guida e di controllo sull'intera sfera religiosa islamica e in particolare sul clero. In questo antico Stato, governato da una specie di «giuseppinismo» arabo, il fondamentalismo, insomma, trova un muro difficilmente valicabile. Protetta su questo versante decisivo, e legittimata nazionalmente dalla sua storia, la monarchia, con l'attuale re Mohammed VI di orientamento decisamente liberaleggiante, mira a svolgere un suo forte ruolo nel processo di democratizzazione, cercando di porsi intelligentemente come istanza di garanzia, di mediazione e di moderazione. Da questo punto di vista if Marocco si presenta come un caso da manuale circa la funzione che può avere un «potere neutro» in una situazione di elevata potenzialità conflittuale, qual è certamente quella di un Paese impegnato in una transizione complessa. Nel quale oggi si assiste, per l'appunto, al rodaggio appena timidamente iniziato di un sistema costituzionale pluralistico e pluripartitico, e contemporaneamente — sullo sfondo di una notevole crescita economica e di uñ altrettanto forte emigrazione in Europa — a un'impetuosa trasformazione culturale e sociale (nascita di una nuova borghesia, diffusione dell'istruzione anche femminile, crollo del tasso di fertilità, urbanesimo, abbandono dei valori tradizionali, ecc...). Nonostante la presenza di un governo a base parlamentare regolarmente eletto (dominato da una lista ispirata a un islamismo moderato), il potere appare tuttora saldamente nelle mani del monarca, non per nulla fatto puntualmente oggetto su quasi tutta la stampa di altisonanti formule di omaggio. Che a orecchie occidentali possono certo dare un suono alquanto stridulo, ma che qui servono soprattutto a ribadire il ruolo che il re esercita, avendo cura di apparire peraltro quanto più possibile super partes. Un ruolo protetto sì da una capillare vigilanza poliziesca (lungo le strade nazionali vi è un posto di blocco in pratica ogni decina di chilometri) e intinto certamente di una buona dose di paternalismo, anche se di un paternalismo esplicitamente illuminato, dal tono quasi progressista, volto in ogni modo a promuovere la crescita del Paese. Si veda per esempio la fondazione di una modernissima università residenziale come quella di Al Akhawayn, o quella di un Istituto di studi strategici, a Rabat, impegnato a esplorare in maniera indipendente gli scenari futuri del Paese e a farne oggetto di periodiche discussioni allargate ai rappresentanti di tutti i partiti. La scommessa principale è, come si capisce, quella dello sviluppo economico. Ma anche qui, sospinto dalle rimesse dei suoi oltre tre milloni di emigranti in Europa (di cui oltre mezzo milione in Italia) e dalle entrate apportate dalla decina di milioni di turisti che arrivano ogni anno, il Marocco sembra poter guardare con un certo ottimismo al suo futuro, avendo fatto segnare dall'inizio del Duemila una crescita del Pil tra il 3,5 e il 6 per cento annuo. Chi visita oggi il Paese si trova di fronte a un fervore d'iniziative, una voglia diffusa di migliorare, a scenari di grandi lavori in corso (come quelli per il gigantesco nuovo porto commerciale alle porte di Tangeri), che ricordano un po' l'Italia degli anni 50-60. II che non toglie che si tratti tuttora di un Paese alle prese con gravi problemi di disoccupazione, con circa un quarto della popolazione in condizioni di povertà, con un'agricoltura troppo spesso in balia degli eventi meteorologici e gravata da troppi addetti, con un livello di importazioni che è quasi il doppio di quello delle esportazioni. Per il suo futuro esso guarda sì all'Europa (anche all'Italia, oggi tuttavia decisivamente latitante), ma soprattutto all'Africa, pur dovendosi guardare attentamente dalle ondate migratorie provenienti da Sud, nelle quali può nascondersi di tutto, a cominciare dalle cellule del terrorismo fondamentalista, mentre sempre a Sud, nel Sahara occidentale ex spagnolo (la cui annessione da parte del Marocco non è mai stata riconosciuta da alcuno Stato) è sempre più o meno latente la rivolta del Fronte polisario, appoggiata dall'Algeria, con la quale i rapporti diplomatici sono interrotti da decenni, anche se negli ultimi tempi non mancano segnali di riconciliazione. Proprio alla riscoperta di una vocazione africana — a lungo messa un po' daparte dalla non partecipazione all'Unione Africana a causa della questione del Sahara—parallela però al mantenimento di una posizione sostanzialmente filo-occidentale nel quadro di uno sviluppo intemo in senso costituzionale, proprio a questo peculiare equilibrio, il Marocco sembra affidare oggi il suo futuro, singolarmente diverso 'da quello di tutti gli altri Paesi della regione.

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