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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.09.2014 Turchia e Isis: 'ambiguità' è dire poco
Commento di Antonio Ferrari

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 settembre 2014
Pagina: 17
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: «Le ambiguità di Erdogan e i legami con i fanatici»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/09/2014, a pag. 17, con il titolo "Le ambiguità di Erdogan e i legami con i fanatici", il commento di Antonio Ferrari.
Ferrari mette in luce le ambiguità della Turchia verso l'Isis, con cui il regime di Ankara tratta e fa affari (quasi tutto il petrolio controllato dall'Isis viene venduto in Turchia). Inoltre la Turchia ha negato l'accesso delle basi Nato sul proprio territorio alle forze Usa impegnate nei bombardamenti contro lo Stato islamico.
A fronte di tutto questo, e di quanto Ferrari sottolinea nel proprio articolo, come è possibile che definisca Erdogan un leader "moderato"?
Se è moderato un leader che sta facendo scivolare la Turchia, un tempo l'unico paese musulmano laico, verso l'islamismo, che appoggia i Fratelli Musulmani e Hamas, un'organizzazione terroristica riconosciuta che si pone l'obiettivo della distruzione di Israele, e infine che ostacola la guerra al Califfato islamico... ci si chiede come sarebbe se non fosse moderato!

Ecco il pezzo:


Antonio Ferrari              Recep Tayyip Erdogan        Abu Bakr al Baghdadi


Il "sultano" Erdogan

E' logico e comprensibile l'entusiasmo per la liberazione di 49 cittadini turchi, tra diplomatici, personale della sicurezza, impiegati e i loro famigliari, che erano stati catturati a Mosul dai criminali dello Stato Islamico nello scorso giugno. Gioia, d'accordo, ma anche un nugolo di domande: alcune decisamente imbarazzanti. Perché, se è doveroso aver riportato a casa decine di innocenti, è altrettanto imperativo chiedersi che cosa sia accaduto e quale sia stato il prezzo di quello che tutti ormai chiamano «swap», che significa scambio.
C'è stato uno scambio, allora? Si, anche se probabilmente nessuno ha pagato (con denaro sonante) il riscatto. La verità è probabilmente più complessa e per certi aspetti inquietante.
Occorre quindi fare un passo indietro, e tornare ai momenti più drammatici della guerra civile siriana, quando Recep Tayyip Erdogan, allora primo ministro e oggi presidente della Repubblica, dopo aver sostenuto Bashar al Assad, cambiò strategia e abbracciò l'opposizione.
Ma quale opposizione? Si riteneva che l'astuto leader islamico moderato turco volesse distinguere tra le forze ribelli ma riformiste, quindi degne di sostegno, e le avanguardie dell'islamismo più feroce e assassino. Non è stato così. In pochi mesi Erdogan ha guardato ai fanatici, e pur di colpire Assad è stato pronto a compiere passi avventati. Quei passi che furono denunciati dalla magistratura, dalle forze di sicurezza e dai politici interni al partito di maggioranza Akp, preoccupati dalla disinvoltura dell'uomo forte del Paese. Dalla porosa frontiera turco-siriana in quel periodo entrava di tutto, dalle armi ai sostenitori stranieri. Non solo. Ospedali e cliniche della Turchia furono aperti ai massimi dirigenti dell'Isis, cioè dello Strato Islamico di Al Baghdadi, rimasti feriti negli scontri, sia in Iraq sia in Siria.
E' chiaro che il sequestro collettivo di tutto il personale del consolato turco a Mosul, conquistata dall'autoproclamato Stato Islamico, era sconcertante. Anche perché, nonostante i pressanti avvertimenti del ministero degli Esteri di Ankara, che invitava i dipendenti, a cominciare dal console generale, ad abbandonare la città, il capo della diplomazia aveva deciso diversamente, sostenendo che non vi erano rischi per la comunità turca. Vi e stata molta comprensione, fra i Paesi della Nato, per la decisione della Turchia di non concedere le basi del Paese per gli attacchi aerei allo Stato Islamico. Tuttavia, le polemiche che stanno infiammando il dibattito politico nazionale stanno confermando che vi è stato un patto segreto, che non si vuole ammettere ma che nessuno è in grado di negare. Ostaggi in cambio dei ribelli islamici feriti e curati. Erdogan dice che è stato un grande successo riportare a casa i suoi 49 connazionali. Ma non risponde a chi gli contesta non soltanto lo scambio, ma il fatto che la Turchia si sia seduta al tavolo per trattare con lo Stato Islamico. Di fatto, riconoscendolo.

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lettere@corriere.it

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