giovedi` 28 marzo 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.09.2014 Auschwitz 'crimine inespiabile': Martin Walser ci ripensa. Ma è credibile ?
Articolo di Paolo Lepri

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 settembre 2014
Pagina: 56
Autore: Paolo Lepri
Titolo: «Martin Walser: la Shoah è inespiabile»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/09/2014, a pag. 56, con il titolo "Martin Walser: la Shoah è inespiabile", l'articolo di Paolo Lepri.
I ripensamenti di Walser sono doverosi e, anche se tardivi, utili. Speriamo siano anche sinceri. Rimane il dubbio, date le sue dichiarazioni passate sulla Shoah e la sua presunta strumentalizzazione.


Paolo Lepri                     Martin Walser


Auschwitz

BERLINO — È nei fatti un'autocritica, compiuta da un uomo che nella sua lunga vita ha spesso cambiato idea ma non ha mai ammesso di aver sbagliato. Sarà anche per questo che non passerà inosservata. Martin Walser, 87 anni, il grande scrittore che aveva fatto discutere la Germania intera, parlando, nel 1998, di Auschwitz come «clava morale» e della memoria dell'Olocausto come «un esercizio che non dovrebbe essere obbligatorio», è giunto oggi a conclusioni differenti e ha rovesciato il suo pensiero come si può fare con una medaglia in una mano. A suo giudizio, «le dimensioni della colpa dei tedeschi nei confronti degli ebrei sono difficilmente immaginabili ed è grottesco parlare di espiazione». Si tratta di un debito perenne, assoluto e incondizionato. E non si può far niente, o quasi, per limitarlo. Parole forti, contenute in un saggio dedicato all'opera di uno dei più grandi interpreti della letteratura yiddish, Sholem Yankev Abramovich, che sta per arrivare nelle librerie tedesche e che «Die Welt» anticiperà domani. L'omaggio a uno dei fondatori della moderna letteratura ebraica è però lo spunto per una riflessione più ampia sul marchio indelebile della responsabilità tedesca nella Shoah. Quello che è stato compiuto non si potrà mai dimenticare, sostiene Walser, e domina la percezione del mondo e della storia. Sono passati sedici anni da quel giorno in cui l'autore di Un cavallo in fuga, ricevendo nella Paulskirche di Francoforte un riconoscimento tra i più prestigiosi come il Friedenspreis, aveva esordito dicendo: «Tremo per quello che sto per dire». Fu effettivamente un discorso controcorrente, in cui Walser stigmatizzava «d'esibizione permanente della vergogna», utile a suo parere per essere «strumentalizzata», e definiva Auschwitz un mezzo di intimidazione e una minaccia. Nel mirino anche il progetto del memoriale dell'Olocausto che sarebbe sorto a Berlino, giudicato «un incubo grande come un campo di calcio». La reazione dell'allora leader della comunità ebraica tedesca, Ignatz Bubis, che accusò lo scrittore di essere «un incendiario degli animi», fu molto dura. Ne nacque un dibattito ampio, che coinvolse non solo gli intellettuali ma un'intera nazione desiderosa di riflettere sul rapporto tra la ricerca di normalità del presente e la terribile eredità del passato. Di questo sicuramente Walser non si è mai pentito.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT