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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.07.2014 Quelle amicizie tra arabi e israeliani spezzate dalla guerra
Cronaca di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 luglio 2014
Pagina: 8
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Mohammed l'americano e gli (ex) amici ebrei»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/07/2014, a pag. 8, l'articolo di Davide Frattini,dal titolo "Mohammed l'americano e gli (ex) amici ebrei "
Ma qualcuno, a Mohammed, gliela racconterà mai questa guerra, chi l'ha cominciata e chi deve difendersi ? Forse quei 'semi di pace' farebbero meglio ad occuparsi d'altro..

Davide Frattini


L'associazione che aveva organizzato l'incontro tra giovani palestinesi ed israeliani


GAZA — La camicia a scacchi con le maniche corte, i jeans e le sneakers alte, è vestito come i ragazzi che ha conosciuto un’estate di due anni fa nel Maine. Adesso Mohammed porta appuntata sul colletto la bandiera palestinese, loro le mostrine dell’esercito israeliano. Nel 2012 ha passato 40 giorni negli Stati Uniti, un campeggio sulle rive del lago, a chiacchierare con una decina di adolescenti della sua età: avevano una lingua comune — l’inglese — non un linguaggio, un modo di comunicare, di capire le ragioni dell’altro. Il ritrovo collettivo sarebbe dovuto servire anche a quello. «Ho provato a far comprendere — racconta all’ombra delle tende di un mercato vuoto — che in questa terra c’eravamo prima noi e loro sono arrivati dopo. Mi hanno risposto: è il contrario». Era la prima volta che Mohammed Abu Aish incontrava i giovani israeliani, è stata anche l’ultima.
La vita in comune (un’iniziativa dell’organizzazione Seeds of Peace, Semi di pace) non sembra aver scalfito i preconcetti ideologici. Mohammed era l’unico palestinese da Gaza, gli altri arrivavano dalla Cisgiordania. Adesso rimpiange — in parte — di essersi lasciato prendere dalle discussioni politiche, di non aver chiesto come sia la vita a Tel Aviv o nelle altre città, come siano i ristoranti, le discoteche, le partite di calcio allo stadio. Di altre occasioni per un po’ non ce ne saranno. Il ragazzino arabo è rimasto in contatto via Facebook con qualche amico ebreo di quelle settimane. Ha chiuso i rapporti quando ha calcolato che hanno compiuto 18 anni come lui e potrebbero essere tra i soldati che adesso combattono dentro la Striscia. La generazione Facebook alza le barricate anche su Internet. «Sono deluso, ero convinto che avrebbero rifiutato di prestare il servizio militare, ho provato a convincerli. Gli ho spiegato che cosa significhi avere la nostra età e finire sotto le bombe ogni due tre anni».
Mohammed sta vivendo questi giorni di guerra in un altro accampamento, meno divertente e più affollato. La famiglia ha dovuto lasciare il villaggio di Shajaiya, verso est e il confine, dopo gli avvertimenti dell’esercito che ha intimato di evacuare le case. Sono ospiti in un appartamento nel centro della città di Gaza, con loro sono arrivati altri parenti da altre zone più pericolose: in totale abitano assieme in trenta. Ieri con il padre è tornato nella zona devastata dai bombardamenti, loro come migliaia di palestinesi che hanno approfittato della tregua umanitaria. «Rispetto ad altri edifici, ci è andata bene. Le finestre sono rotte, qualche calcinaccio è caduto dentro, per il resto sta in piedi».
Alaa sta seduto sul divano di casa ed estrae dalla custodia la chitarra comprata in Italia. Gli altri quattro componenti del gruppo musicale non ci sono, il ritmo è dato dalle esplosioni fuori dalla finestra. Alaa e i «Typo» non riescono a suonare in pubblico da un mese e mezzo: non li ha fermati il conflitto, la paura della gente di uscire di casa la sera. Lo spettacolo del 14 giugno è stato cancellato per ordine di Hamas. «Avremmo dovuto esibirci all’istituto culturale francese. Non che i capi del movimento siano venuti a minacciarci, però hanno lasciato capire che uno spettacolo dove i ragazzi e le ragazze stavano insieme era proibito». Le canzoni di Alaa, cinque anni in più di Mohammed, raccontano una generazione disillusa, tappata dentro Gaza dal blocco voluto dagli israeliani e dentro Gaza schiacciata dalle regole imposte dai fondamentalisti. E’ laureato in letteratura inglese, il padre vende auto negli Emirati («sta cercando di tornare da noi, è bloccato a Rafah dal lato egiziano»): un pezzo di borghesia in una terra dove oltre il 50 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà indicata dalle Nazioni Unite (1,50 euro al giorno).
Come gli altri giovani è disoccupato. «I nostri testi sono satirici, il nome Typo, l’errore di stampa, viene da un’espressione araba, Khata Matbai: la scusa classica, quando qualcosa non funziona. Noi diciamo a Hamas: non ci sono scuse... Per gli stipendi non pagati agli impiegati pubblici, per le buche nelle strade, per la fogna che tracima. Anche gli egiziani hanno la loro parte di colpa, tenere chiusa la frontiera è inaccettabile». La protesta di Alaa e del suo gruppo è sociale, la guerra la rende nazionalista, anche gli israeliani vengono sbeffeggiati dalle canzoni. «E’ normale di questi tempi, la società si ricompatta, anche se cerchiamo di restare indipendenti». Ripete un vecchio proverbio arabo: «Io contro mio cugino, io e mio cugino contro gli altri».

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