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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.07.2014 Facile esortare alla pace, ma quando Daniel Barenboim dirigerà un concerto a Sderot ?
vi potrebbe misurare la distanza tra le buone intenzioni e la realtà mediorientale

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 luglio 2014
Pagina: 2
Autore: Daniel Barenboim
Titolo: «Solo quando capiremo la tragedia degli altri faremo passi avanti»
Riprendiamo dal  CORRIERE della SERA di oggi, 26/07/2014, a pag. 2 l'articolo di Daniel Barenboim dal titolo "Solo quando capiremo la tragedia degli altri faremo passi avanti ".

A Daniel Barenboim ci piacerebbe rivolgere una semplice domanda: al di là di esortazioni alla pace che appaiono inefficaci perché non tengono conto della realtà, a quando un gesto concreto ? Come per esempio un concerto di solidarietà a Sderot, città israeliana costantemente bersagliata, per anni, dai razzi di Hamas.

Di seguito, l'articolo:



Daniel Barenboim



Sderot  sotto attacco

Scrivo queste parole come titolare di due passaporti, israeliano e palestinese. Le scrivo con il cuore affranto, mentre i tragici eventi di Gaza nelle ultime settimane hanno riconfermato il mio profondo convincimento che non può esserci una soluzione militare al conflitto israelo-palestinese. Non è questo un conflitto politico, bensì umano, tra due popoli che nutrono la medesima, e in apparenza irriconciliabile, convinzione di avere diritto esclusivo allo stesso minuscolo lembo di terra. Ed è proprio perché si è trascurato questo particolare in tutti i negoziati che ogni tentativo per trovare una soluzione al conflitto fino ad oggi è fallito. Anziché riconoscere la vera natura del conflitto, e risolverla, le due controparti hanno cercato soluzioni facili e veloci. Sfortunatamente, non esistono scorciatoie se si vuole arrivare a una soluzione. La scorciatoia funziona solo quando conosciamo bene il territorio che attraversiamo — ma in questo caso nessuno possiede quella conoscenza, proprio perché il nocciolo e l’essenza del conflitto rimangono entità sconosciute e inesplorate. Provo profonda partecipazione per il terrore in cui vivono oggi i miei concittadini israeliani: il rombo continuo del lancio dei razzi, il timore di venire colpiti o di veder dilaniati i propri cari. Ma provo altrettanta e profonda compassione per la sorte dei miei concittadini palestinesi di Gaza, che vivono nell’angoscia e piangono le loro perdite spaventose giorno dopo giorno. Dopo decenni di devastazione e morte da una parte e dall’altra, l’odierno conflitto ha toccato un livello di efferatezza e di disperazione fino ad ora inimmaginabile. Mi azzardo quindi ad avanzare una proposta: che non sia proprio questo il momento migliore per cercare una vera soluzione al problema? Certo, il cessate il fuoco è indispensabile, ma non basta. L’unico modo per uscire da questa tragedia, l’unico modo per evitare nuove tragedie e nuovi orrori è proprio quello di sfruttare la disperazione del momento e costringere tutti a parlarsi. Non ha senso che Israele si rifiuti di negoziare con Hamas o di riconoscere il governo di unità nazionale. No, Israele deve ascoltare quei palestinesi che vogliono parlare con un’unica voce. La prima risoluzione da raggiungere è un accordo comune sul fatto che non esiste più l’opzione militare. Solo allora si potrà cominciare a discutere di una soluzione equa per i palestinesi, che aspettano da decenni, e della sicurezza di Israele, anch’essa sacrosanta. Noi palestinesi ci aspettiamo una soluzione giusta, altro non chiediamo che giustizia e gli stessi diritti garantiti a ogni popolo sulla terra: indipendenza, autodeterminazione, libertà e tutto ciò che ne scaturisce. Noi israeliani vogliamo vederci riconoscere il diritto a vivere sullo stesso territorio. La spartizione della terra potrà farsi solo dopo che i due contendenti avranno non solo accettato, ma profondamente compreso, che possono vivere uno accanto all’altro, non volgendosi le spalle. Alla base stessa di un riavvicinamento da tanto tempo auspicato si avverte il desiderio di condividere gli stessi sentimenti di empatia e di compassione. A mio parere, la compassione non è solo il sentimento che nasce dalla comprensione delle esigenze dell’altro, a livello psicologico, bensì incarna un vero obbligo morale. Solo attraverso lo sforzo di capire la tragedia dell’altro potremo muovere i primi passi gli uni verso gli altri. Nelle parole di Schopenhauer: «Nulla ci ricondurrà così celermente sul sentiero della giustizia come l’immagine mentale del dolore, del lutto e delle lacrime del perdente». In questo conflitto, siamo tutti perdenti, e potremo superare questa drammatica situazione solo iniziando ad accettare e a riconoscere la sofferenza e i diritti dell’altro. E sulla base di questa comprensione reciproca potremo sperare di costruire un futuro insieme.
Daniel Barenboim, Direttore musicale del Teatro alla Scala
(Traduzione di Rita Baldassarre)

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