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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.04.2014 La cultura, colonna portante dell'ebraismo
Paolo Salom intervista Riccardo Calimani, commento di Stefano Jesurum

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 aprile 2014
Pagina: 33
Autore: Paolo Salom-Stefano Jesurum
Titolo: «Nella nostra cultura una vitalità contagiosa-Quell'orto che ricompone un grande affresco»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/04/2014, a pag33. lintervista di Paolo Salom a Riccardo Calimani, con il commento di Stefano Jesurum.

Paolo Salom: " Nella nostra cultura una vitalità contagiosa"

Paolo Salom   Riccardo Calimani

Riccardo Calimani, 67 anni, è un autore prolifico, uno studioso che ci ha regalato saggi capaci di raccontare con passione e precisione il percorso — insieme accidentato e affascinante — degli ebrei in Europa e, anche, della loro interazione ora feconda ora problematica (quando non tragica) con il mondo cristiano circostante. Citiamo dunque opere, tutte pubblicate da Mondadori, come «Ebrei e pregiudizio» (2000), «Non è facile essere ebreo» (2004), «Ebrei eterni inquieti» (2007) ma anche «Gesù ebreo» (1998) e «Paolo» (1999). Oggi Calimani presiede la Fondazione Meis (Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah) di Ferrara e naturalmente è uno dei pilastri su cui si regge la fortunata iniziativa che ogni primavera, da cinque anni a questa parte, vede rifiorire — attraverso i libri e i loro autori — la secolare anima ebraica della città estense che per l’occasione si fa capitale culturale di un mondo antico e moderno assieme. Dunque, Ferrara, «città di terra e acqua», la città dei Finzi-Contini, torna ad appropriarsi della sua storia, il vecchio Ghetto rivive grazie alla Festa del libro ebraico. Che rapporto lega il luogo e l’iniziativa? «Non è solo il Ghetto a rianimarsi ma l’intera città di Ferrara. Questa iniziativa, nata da un’intuizione “banale”, ha infatti conquistato per primi i ferraresi, che sono i veri protagonisti della festa. Ho detto “banale” perché noi abbiamo un museo in parte inagibile (è l’antico carcere, in via di lento restauro). Proprio per favorirne il completamento, e visto l’interesse nazionale e internazionale per la cultura ebraica, abbiamo pensato di riempire il vuoto con una festa non solo per gli ebrei, ma per tutti i lettori italiani. Ora Festa e città sono una cosa sola». Se è vero che il Libro è la colonna portante della storia degli ebrei, è anche vero che l’ebraismo in Italia, e in Europa, vive la contemporaneità con grande fatica: una kermesse come quella di Ferrara in che cosa può essere d’aiuto? «In tanti modi. Prima di tutto il mondo culturale italiano può trarne vigore recependo dalla vitalità ebraica spunti di riflessione e originalità. Come? Agli ebrei manca un principio unico di autorità, cosa che da sempre facilita la discussione, anche accesa. Questo è insieme un pregio e un difetto. Perché l’assenza di un vertice uniformante può contribuire a rendere il dibattito pieno di domande e risposte, che si perpetuano. Senza fine». Gli ebrei e Israele: a Ferrara è presente un’autrice come Lizzie Doron, in rappresentanza di una letteratura, quella israeliana appunto, che ha regalato al mondo tanti capolavori. La rinascita della cultura ebraica è legata all’ebraico moderno? O c’è spazio per romanzi vitali anche in Europa, in Italia magari? «Il mio auspicio, il mio desiderio, in quanto ebreo diasporico, è che ci siano ancora romanzieri ebrei europei. Mi rendo conto tuttavia che la letteratura ebraico-israeliana è un polo nuovo, un germoglio fecondo. Noi qui viviamo soprattutto di rendita, molta della letteratura europea risale a decenni fa. Ora mi auguro che non si sia persa la possibilità di vedere più poli nel mondo. La nostra è sempre stata una realtà frammentata, mai unitaria. Lo spero: ma tra speranza e realtà...». A Ferrara si parlerà di libri, si ascolterà musica, ci saranno dibattiti e molte iniziative diverse. Si parlerà anche di «conversos», di marrani, cioè di quegli ebrei che accettarono una conversione di facciata nei tempi cupi delle persecuzioni, come nella Spagna del 1492, pur di salvare le loro esistenze in Europa. Cosa rimane di questa tragica esperienza? «Il marrano è una metafora della complessità contemporanea. Nella società moderna la storia di quel gruppo può essere la chiave per far capire meglio le sfaccettature delle identità, che spesso travalicano i confini delle nazioni, delle culture». Quest’anno giungiamo alla quinta edizione della Festa del libro ebraico: è legittimo farne un bilancio «preventivo»... «Il bilancio è ottimo. Questa iniziativa non interessa tanto o solo gli ebrei, ma soprattutto chi ebreo non è. È questa la chiave: non è un festival chiuso nel Ghetto ma un festival che apre il Ghetto alla società italiana. Quello che mi rende orgoglioso è che Ferrara è sempre più coinvolta. Se un giorno non me ne occupassi più, sarebbero i ferraresi a prenderne le redini».

Stefano Jesurum: " Quell' orto che ricompone un grande affresco "

                                     Stefano Jesurum

Certo, Il giardino dei Finzi Contini. Certo, il faticoso crescere del Meis (Museo nazionale dell’Ebraismo italiano e della Shoah). Certo, le sinagoghe. Certo, la Festa del libro ebraico. E le viuzze, le biciclette, quel respirare la Storia. Ma Ferrara — come molte nostre comunità ebraiche (un tempo si chiamavano università) prosperate e poi rinsecchitesi tra splendori, massacri e abbandoni — racconta soprattutto la vita e la cultura midòr ledòr , di generazione in generazione. Di questo racconto plurisecolare è cicerone commovente e vivissimo l’Orto dove sepeliscono gl’Ebrei , inaugurato nel XVII secolo dopo la scomparsa cinquecentesca dei più antichi luoghi di sepoltura. Il silenzio, l’odore del fieno d’estate, e l’ombra dei grandi tigli, dei castagni, degli olmi. I vialetti che girano tra le lapidi, quei cognomi autoctoni e «foresti», quei nomi — i medesimi — che riposano in mezza Italia. Gli epitaffi rivendicano a gran voce saggezze rabbiniche, fedi incrollabili, sapienze talmudiche, l’essere patrioti in prima linea nel Risorgimento, nella Grande guerra, nella Resistenza. Il cimitero ebraico di Ferrara, icona di noi ebrei italiani, luogo dell’anima, rivive nei versi che gli dedicò Alberto Vigevani:«Sanno, sappiamo / di non poter tornare a queste / stagioni che c’illudono / con sempre nuovi fiori / nuove foglie. / Sanno, sappiamo / che il sonno senza sogni / sotto la silenziosa neve / o il terso verde / è il nostro destino / meno impietoso».

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