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Libero Rassegna Stampa
24.05.2015 Arabia Saudita contro Assad: come l'islam sta distruggendo il Medio Oriente
Analisi di Carlo Panella

Testata: Libero
Data: 24 maggio 2015
Pagina: 10
Autore: Carlo Panella
Titolo: «Riad vuole la testa di Assad a costo di scatenare l'Isis»

Tutti i quotidiani pubblicano oggi, 24/05/2015, cronache e commenti sull'avanzata dello Stato Islamico. Cronache e commenti che nulla giungono di nuovo a quanto già letto. Assente oggi sulla STAMPA Maurizio Molinari, l'unico commento che si distingue nel tentativo di far capire la guerra non più tanto segreta nel mondo arabo-musulmano è quello di Carlo Panella, su LIBERO, a pag.10, con il titolo " Riad vuole la testa di Assad a costo di scatenare l'Isis ", che riprendiamo.

a destra: alleanza Arabia Saudita/Turchia
contro Assad

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Carlo Panella

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L'attentato di venerdì nella moschea sciita di Kudehi, in Arabia Saudita (20 morti e 100 feriti), segna un ulteriore è drammatico passo nell'espansione non contrastata del Califfato Nero. E la prova di una operatività piena dei miliziani del Califfato anche in un Paese sottoposto a una sorveglianza poliziesca frenetica, tanto che è stato approntato un immenso muro elettronico ai confini con l'Iraq. Ma segnala anche una sua diabolica e intelligente strategia. Come obbiettivo infatti, non è stato scelto, come fece al Qaeda nel 2002 e nel 2003 un compound dove abitavano americani, o un edificio della sicurezza saudita. Il massacro degli sciiti ha un diverso obbiettivo, preciso e inquietante: sobillare una rivolta sciita contro le autorità saudite. Il tutto, nella principale regione petrolifera saudita, dove sono i principali campi di estrazione. Kudehi è nella regione nord orientale del Qatif, a ridosso del Golfo arabico ed è abitata dalla minoranza sciita (il 10-15% della popolazione saudita) sempre sul punto di rivoltarsi.
Rivolta che ha salde e concretissime ragioni: per il wahabismo saudita, gli sciiti infatti non sono musulmani, ma idolatri, perché non adorano un Dio unico, Allah, ma anche i 12 Imam (la moschea colpita è dedicata al più importante, l'Imam Ali, nipote del Profeta).
Per questo, sia dalla fondazione del regno saudita nel 1932, gli sciiti del Qatif sono trattati da Riad come dei veri e propri paria. Hanno diritti civili dimezzati, non possono sposarsi con i wahabiti, vengono pagati molto meno degli altri (in larga parte lavorano nell'industria estrattiva e nelle raffinerie) e sono sottoposti a una sorveglianza poliziesca capillare e feroce. Più volte. A partire dagli anni '30, si sono ribellati e sono stati repressi nel sangue; negli anni '50 e '60 hanno dato vita a grandi scioperi - ugualmente repressi - nell'industria estrattiva.
Contagiati dalla vittoria della rivoluzione sciita di Khomeini in Iran nel 1979, hanno ripreso a rivoltarsi. Oggi sono considerati dalle autorità saudite una «quinta colonna» del regime di Teheran su suolo saudita, nell'eterna ricerca di un abbattimento della dinastia regnante degli al Saud, considerata dagli sciiti khomeinisti «indegna di esercitare la Custodia dei Luoghi Santi».
L'ultima rivolta sciita del Qatif è scoppiata nel 2011, in non casuale contemporaneità con la rivolta degli sciiti del Bahrein, che stava per detronizzare l'Emiro (sunnita). Repressa con l'invio di una colonna di carri armati la rivolta del Baharein, le autorità saudite hanno usato per l'ennesima volta ii pugno di ferro anche contro i loro concittadini sciiti.
In questi ultimi giorni, la tensione stava di nuovo montando nel Qatif, a causa della condanna a morte di un religioso sciita, Nasr al Nasr, accusato da Riad di essere il responsabile di quella «sovversione». Pochi giorni fa, l'inviato di Le Monde dava conto di una riunione convocata dal governatore saudita del Qatif, con alcuni i maggiorenti e capi tribù sciiti del Qatif, per intimidirli e per convincerli - con le minacce - a sedare gli animi.
Ora, il Califfato, entra con questa sua sanguinaria provocazione in questo ginepraio di tensioni, con l'evidente scopo di spingere gli offesi e non protetti sauditi a una nuova rivolta.
Contemporaneamente, sviluppa la stessa strategia contro gli sciiti Houti dello Yemen, facendo saltare in contemporanea quattro loro moschee. Una strategia e una forza di penetrazione e di attacco che dimostrano la capacità del Califfato di al Baghdadi non solo di avanzare con la guerra tradizionale, con strategiche vittorie in Siria (a Idlib e Palmira, dove ieri i jihadisti hanno issato la bandiera nera sul castello medievale e hanno distrutto alcune copie di statue nel museo)
e in Iraq (a Ramadi), ma anche di aprire nuovi fronti di destabilizzazione interna in Arabia Saudita e nello Yemen.
Ennesima, sconfortante, prova, della vacuità della strategia della Coalizione contro il Califfato di un Obama, che nei giorni scorsi, non a caso, ha dovuto subire l'affronto del rifiuto del re saudita Salman e di altri sovrani del Golfo a partecipare alla riunione da lui convocata a Wahington per concordare l'azione contro Califfato.
Alla vigilia della possibile caduta di Assad (anche grazie al l'appoggio saudita a miliziani siriani anti regime, che peraltro combattono anche contro il Califfato, nonostante quanto si crede), questo attentato è un segnale inquietante del caos in cui tutto il Medio Oriente precipita Obama regnante.

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