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Shalom Rassegna Stampa
02.04.2017 100 anni fa la 'Dichiarazione Balfour'
Commento di Massimo Lomonaco

Testata: Shalom
Data: 02 aprile 2017
Pagina: 32
Autore: Massimo Lomonaco
Titolo: «100 anni fa la 'Dichiarazione Balfour: uomini e storie che la resero possibile»

Riprendiamo da SHALOM marzo 2017, a pag.32, con il titolo "100 anni fa la 'Dichiarazione Balfour: uomini e storie che la resero possibile" la ricostruzione storica di Massimo Lomonaco

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Massimo Lomonaco

100 anni fa la ‘Dichiarazione Balfour’. Uomini e storie che la resero possibile 32 Massimo Lomonaco I l 27 ottobre del 1916 in una Londra piovosa, resa ancora più cupa dalla guerra in corso contro la Germania, l’Austria e la Turchia, si incontrano due uomini la cui storia avrà un grande impatto sulla nascita di un ‘focolare ebraico’ in Palestina promesso dall’Impero britannico nella ‘Dichiarazione Balfour’ del 2 novembre 1917, 100 anni fa. Quell’impegno spianerà la strada, a distanza di un trentennio, alla Partizione dell’Onu del Mandato Britannico sulla Palestina e alla nascita, nel 1948, di Israele. Dei due uomini che si fronteggiano quella mattina al War Office, il primo è un devoto cattolico. Scaltro, ambiguo, ma decisamente intelligente e profondo conoscitore del Medio Oriente dove ha viaggiato in lungo e largo prima e durante il conflitto. Esponente conservatore della ‘upper class’ britannica, educato a Cambridge, è affetto da un antisemitismo tipico della classe sociale a cui appartiene. La sua preparazione e capacità di muoversi nella diplomazia internazionale lo hanno portato ad essere uno dei più influenti consiglieri del Foreign Office inglese ma soprattutto l’uomo che, come plenipotenziario della Gran Bretagna, ha trattato pochi mesi prima con il francese Georges Picot la divisione in sfere di influenza e la futura sistemazione del Medio Oriente (d’intesa con la Russia), una volta sconfitta la Turchia ottomana. Per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo – ancora segreto agli occhi del mondo – e sconfiggere gli Ottomani, Sykes come gran parte della leadership inglese assegna un ruolo decisivo agli Arabi e alla loro Rivolta, capitanata dallo Sceriffo della Mecca al-Hussein ibn Alì. Dalle stanze dell’Arab Bureau – l’ufficio che dal Cairo gestisce e finanzia la ribellione araba contro l’esercito turco nell’Hijaz - sarà presto inviato in quella terra arida, ma vitale a scopi militari per la lunga ferrovia che l’attraversa - un giovane tenente destinato a diventare un eroe anche se discusso: Thomas Edward Lawrence. La persona che siede davanti a Sykes ha uno sguardo risoluto, poco incline ai compromessi e alle tortuosità della politica. Imponente nella stazza e nella irruenza è tecnicamente un nemico. Ha la cittadinanza ottomana e si trova a Londra, come hanno scritto i giornali in quei giorni, in qualità di prigioniero di guerra dopo essere stato fermato dalle autorità britanniche alle Isole Orcadi su una nave diretta in America. L’uomo è tuttavia una celebrità nel campo dell’agronomia e della botanica. Anni prima ha trovato nei pressi di Rosh Pinna ai piedi del Monte Hermon (al confine di quelli che in futuro saranno Libano, Israele e Siria), una piantina di ‘Triticum dicoccoides’, considerata la ‘madre del grano’. Una scoperta straordinaria – e a lungo inseguita dagli scienziati - se si vuole riprodurre un grano che, a differenza di quello domestico oramai egemone, sia in grado di resistere ai climi più difficili. Il mondo scientifico lo ha acclamato come uno dei maggiori botanici viventi e gli Usa, interessati a piantare quel grano nei loro sconfinati territori ad est, ne hanno fatto un uomo ricco. Per lui hanno finanziato in Palestina, ad Atlit, sulla costa tra Haifa e Cesarea, la prima Stazione agricola sperimentale del Medio Oriente. Un gioiello tecnologico dove si fa rinascere la flora, il sistema di irrigazione e di coltura di quando la Palestina era il granaio dell’Impero Romano. Quell’uomo scontroso, dalla conoscenza enciclopedica dalla personalità vulcanica e da una spiccata volontà di bruciare i tempi, vuol fare la spia: ha 40 anni, si chiama Aaron Aaronsohn. E’ cresciuto, dalla Romania dove è giunto bambino, a Zichron Ya’acov un insediamento agricolo e vinicolo fondato nel 1882 dal Barone Edmond de Rothschild a sud di Haifa. Profondamente sionista, Aaronsohn è deciso a dare una patria agli ebrei come lui. Per realizzare il suo scopo non ha individuato che un mezzo: battere i Turchi, far vincere la guerra agli Inglesi e, sotto protezione britannica, far nascere una nazione ebraica. Dopo infiniti tentativi, è riuscito a contattare a Copenhagen, da dove si apprestava a partire via nave per gli Usa, il Consolato britannico e a convincere i funzionari inglesi ad ascoltarlo. ‘Arrestato’ per non destare sospetti nelle autorità ottomane e portato in Inghilterra ora siede, impaziente, in una stanza del War Office. Sulla sedia di fronte a lui ha un uomo, Mark Sykes, fondamentale per il suo scopo. Aaronsohn – che condivide poco della politica ufficiale di neutralità del movimento sionista internazionale – è deciso a giocarsi il tutto per tutto in quell’incontro e non è giunto a mani vuote. Con sé ha informazioni preziose raccolte in patria nei mesi precedenti dai suoi uomini, guidati dalla sorella Sarah e dal suo migliore amico e assistente Absalom Feinberg. Parte da lì. Snocciola notizie sullo schieramento dell’esercito turco e di quello tedesco in appoggio, descritti minuziosamente nelle loro forze e capacità offensiva: uomini, mezzi, struttura di comando, disposizione sul campo. Uno spaccato del nemico che lascia di stucco il maggiore Walter Gribbon, uomo del Servizio segreto di Sua Maestà britannica che assiste al colloquio. Ma Aaronsohn non si ferma e va oltre: stravolgendo l’intera strategia militare messa a punto dagli Inglesi per penetrare in Palestina, denuncia l’inutilità di impossessarsi di Gaza, invitto bastione turco-tedesco che tiene in scacco da tempo l’intera armata britannica. Per rafforzare le sue parole stende una carta sul tavolo che lo separa da Sykes e punta il dito su Be’er Sheva, cittadina all’inizio del deserto del Negev. Da lì – insiste con un sorriso – è un passo arrivare a Gerusalemme. Gribbon scuote la testa: per prendere Be’er Sheva, obietta, occorre usare la cavalleria e in quella zona non c’è abbastanza acqua per abbeverare i cavalli. Bisognerebbe portarla dall’Egitto e questo appesantirebbe l’intera armata con il rischio che un contrattacco turco-tedesco tagli in due il fronte alleato. “A meno che non si sappia dove è l’acqua”, replica Aaronsohn a Gribbon che guarda interdetto Sykes. L’uomo venuto dalla Palestina affonda ora il colpo: con una matita indica sulla carta l’esatta ubicazione dei pozzi di acqua, fino allora in gran parte sconosciuti, dal confine con l’Egitto fino a Be’er Sheva. E le falde sotterranee dimenticate dalla notte dei tempi che ha ritrovato grazie ai suoi studi e agli amici beduini: un regalo per gli ingegneri inglesi. Sykes e Gribbon osservano affascinati l’inaspettata rete che si materializza sulla mappa: un passepartout che porta diritto al Negev e finisce a Be’er Sheva ad un passo da Gerusalemme. Aaronsohn aspetta che nei due si depositi la sorpresa dei pozzi e poi gioca il suo ultimo asso nella manica. Questa volta politico. Non converrebbe molto di più all’Impero britannico – dice rivolto al diplomatico - la prospettiva di una leale comunità ebraica in Siria-Palestina, sotto protezione inglese, ai fini del controllo dell’intera regione? Una zona che grazie alle capacità dei coloni ebrei diventerebbe florida e prospera, oltre che garanzia per la stabilità dei rifornimenti, attraverso il Canale di Suez, all’India, perla della Corona? La Gran Bretagna ne guadagnerebbe parecchio, insiste Aaronsohn nei minuti seguenti ricorrendo a tutta la sua capacità dialettica. Sykes non l’interrompe mai, ascolta in silenzio masticando il bocchino della pipa, quasi distratto. Ma è un’impressione. Capisce subito che uno stato ebraico di quel tipo è sicuramente più plausibile di uno governato dagli Arabi. Non solo: il piano di Aaronsohn gli consentirebbe di rintuzzare le pretese francesi che, dall’intesa con Picot, premono per intestarsi i territori di Siria e Palestina: ad un passo dal Canale di Suez. E quello sarebbe una iattura per l’Impero. Inoltre – rimugina Sykes – per i suoi fini quel piano, se accettato dalla Corona, gli porterebbe in dote l’appoggio del movimento sionista internazionale ancorato al momento alla neutralità assoluta nell’attesa di vedere chi vincerà la guerra. Quelle idee offrono una visione del tutto nuova non solo sul piano militare ma anche politico. “Credo dovremo vederci ancora nei prossimi giorni” dice alla fine ad Aaronsohn alzandosi in piedi per congedarsi. E manterrà la promessa. Da quell’incontro nella partita decisiva di come muoversi in Medio Oriente non ci sarà più solo un fronte britannico pro arabo ma anche uno pro sionista. L’Impero inglese non userà dunque unicamente la Rivolta Araba per battere i turchi e i loro alleati tedeschi in Palestina. Se l’epopea di Lawrence d’Arabia, costruita pezzo dopo pezzo nelle stanze dell’Arab Bureau al Cairo, splenderà nella leggenda, quella di Aaronsohn e del suo gruppo di spie ‘Nili’ (come sarà chiamato in seguito) risulterà invece meno visibile ma ben più sostanziosa come ritengono oramai gran parte degli storici. Sul perché poi la storia di Aaronsohn e di ‘Nili’ non sia nell’epopea che merita è una pagina ancora da scrivere del tutto. Anche in Israele. Ma del Rapporto finale che Aaronsohn scrisse per Sykes e per il vice Segretario alla Guerra William Ormsby-Gore, non poco passò nel Memo che quest’ultimo stilò nel novembre del 2016 per il Gabinetto di Guerra e che fu la base della ‘Dichiarazione Balfour’ di un anno dopo. Giusto 100 anni fa.

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