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Rassegna Stampa
17.02.2017 Gli ebrei americani e Trump
Ma il commento di Umberto De Giovannangeli è parziale perchè disinformato

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Anche gli ebrei americani si ribellano a Donald Trump»

Riprendiamo dall' UNITA' di oggi, 17/02/2017, a pag. 9, con il titolo "Anche gli ebrei americani si ribellano a Donald Trump", il commento di Umberto De Giovannangeli.

UDG traccia un ritratto parziale perchè disinformato dell'ebraismo americano e dell'orientamento politico che lo contraddistingue. Secondo UDG, "la novità è che Trump è riuscito a unire gran parte degli ebrei americani contro di lui": nessuna novità, invece, dal momento che i sondaggi mostrano che solo il 21% degli ebrei americani ha votato per Trump, e che da decenni la grande maggioranza del voto ebraico americano va al partito democratico. I motivi sono numerosi e complessi, pesa certamente molto la politica interna.

UDG passa a commentare l'incontro Trump-Netanyahu, definendo come "insaziabile" il Primo ministro israeliano. Un giudizio immotivato, utilizzato solo per gettare cattiva luce su Netanyahu.

Ecco l'articolo:

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L'inversione a U di Donald Trump sul processo di pace israelo-palestinese non convince la comunità internazionale. Ma la novità è che Trump è riuscito a unire gran parte degli ebrei americani contro di lui. I leader liberali statunitensi hanno risposto con preoccupazione alla nuova linea intrapresa dall'amministrazione Usa dopo l'incontro col primo ministro Benjamin Netanyahu e hanno definito la volontà del presidente di abbandonare la soluzione dei due Stati «terrificante» e anche «bizzarra». Già i suoi ordini esecutivi in materia di immigrazione e rifugiati avevano scatenato proteste senza precedenti, tra cui gli arresti di circa 20 rabbini per aver bloccato le strade nei pressi della Trump Tower. Un conflitto che in realtà era emerso anche prima che il presidente assumesse la carica: a dicembre, otto gruppi ebraici liberali avevano rifiutato di partecipare a una festa per la festa di Hanukkah della Conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni ebraiche perché era ospitato presso un hotel di Washington di recente apertura da parte di Trump. Tra questi c'era l'Union for Reform Judaism, la più grande denominazione ebraica del Paese, la stessa che ora critica di più le posizioni sul percorso di pace: la soluzione dei due Stati rimane «l'unica via» per palestinesi e israeliani.

E' la stessa posizione del coordinatore speciale dell'Onu per il processo di pace in Medio Oriente, Nikolay Mladenov, che ne ha parlato in videoconferenza durante una riunione del Consiglio di Sicurezza. «Israele, la Palestina e la comunità intemazionale - ha aggiunto - hanno il dovere di evitare crescenti tensioni, astenersi da azioni unilaterali e lavorare insieme per difendere la pace».

Lo strappo di «The Donald non convince Parigi. II ministro degli Esteri francese, Jean-Marc Ayrault ha definito «molto confusa e preoccupante» la posizione della Casa Bianca sulla questione israelo-palestinese. Dopo un incontro con il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson a Bonn, il capo della diplomazia francese ha detto che «ho tenuto a ricordare che per la Francia non ci sono altre opzioni che la prospettiva dei due Stati. L'altra opzione, quella che Tillerson ha evocato (senza i due Stati) non è realista. E confusa e preoccupante».

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Sulla stessa lunghezza d'onda è la presa di posizione della Lega Araba che dal Cairo ha riaffermato l'esigenza di risolvere la questione palestinese con la soluzione dei «due Stati». Lo riporta l'agenzia egiziana Mena citando un comunicato del portavoce dell'organizzazione dei Paesi arabi emesso dopo un incontro al Cairo fra il segretario generale della Lega, Ahmed Aboul-Gheit, e quello dell'Onu, Antonio Guterres, in contrasto con le dichiarazioni dell'altro ieri del presidente americano. Aria pesante anche a Capitol Hill. David Friedman, durante una contestatissima audizione in Senato, si è scusato per la retorica di alcune sue affermazioni durante la campagna elettorale, assicurando toni più pacati se verrà confermato ambasciatore statunitense in Israele. Durante la campagna elettorale Friedman ha tra le altre cose sostenuto la legalità degli insediamenti in Cisgiordania e ha accusato gli ebrei progressisti di essere «peggio dei kapò» nel sostenere la soluzione dei due Stati.

«La soluzione dei due Stati, se fosse raggiunta, rappresenterebbe un beneficio enorme sia per gli israeliani che per i palestinesi. Ma lo scetticismo su tale soluzione dipende dall'atteggiamento dei palestinesi verso lo Stato ebraico», rimarca Friedman. «Gli Usa non pensano che gli insediamenti siano l'unico ostacolo alla pace», ha aggiunto. Quindi, ha criticato l'ossessione per Israele all'Onu, affermando che «ci sono tante altre questioni nel mondo che richiedono attenzione». Ma c'è anche chi prova a corrreggere il tiro. L'amministrazione Trump supporta la soluzione dei due Stati» per il processo di pace in Medio Oriente, «ma servono idee fresche: la soluzione verrà da israeliani e palestinesi». Lo ha detto l'ambasciatrice americana all'Onu Nikki Haley. Incassato il sostegno entusiasta di Trump, Netanyahu rilancia. "Bibi l'insaziabile" ha chiesto al presidente Usa di riconoscere la sovranità israeliana sulle Alture del Golan.

Ma per l'inquilino della Casa Bianca quello israelo-palestinese non è il solo fronte caldo. Ancora più esplosivo, almeno nell'immediato, rischia di essere quello degli 007. Le agenzie di intelligence americane non rivelano a Trump diverse informazioni sensibili temendo fughe di notizie o una loro compromissione. Lo riporta Wall Street Journal citando alcune fonti, secondo le quali la mancanza di comunicazione rivela la scarsa fiducia fra l'intelligence e il presidente Usa. Siamo al Watergate di Donald Trump? Se lo chiede sempre il Wall Street Journal, che in un editoriale evoca lo spettro dello scandalo del secolo riprendendo le parole postate su Facebook da uno dei guru della tv americana, Dan Rather, 85 anni, storico anchorman della Cbs: «II Watergate è stato il più grande scandalo della mia vita, fino ad ora forse».

II Wsj sottolinea quindi come si sia ancora lontani dai livelli di minaccia alla Casa Bianca che portarono al Watergate, ma la possibilità di un «impeachment» per Trump, come lo fu per Richard Nixon nel 1974, potrebbe materializzarsi se al posto dell'attuale caos nel team presidenziale non si tornerà sui fondamentali che hanno portato il tycoon al trionfo elettorale. «E Trump è alla Casa Bianca - conclude il Wsj - perchè gli elettori vogliono due cose: un cambiamento e Donald Trump». Certo è che tra "The Donald" e l'intelligence Usa non è certo scoppiato l'amore. Le gole profonde delle agenzie di intelligence «pagheranno, alla grande». II riferimento è alla diffusione del contenuto delle intercettazioni sulle conversazioni tra funzionari russi e il suo ex consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, costretto alle dimissioni. «Scoveremo le talpe e pagheranno un grande prezzo, avverte Trump dalla Roosevelt Room della Casa Bianca dove era in corso la riunione. «Da parte dell'intelligence vengono fatti trapelare documenti. È un atto criminale. Succede da molto tempo, da prima di me ma ora sta davvero succedendo troppo».

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