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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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L'Espresso Rassegna Stampa
15.05.2015 'Charlie è reazionario': un'affermazione ignobile
Emmanuel Todd intervistato da Gigi Riva

Testata: L'Espresso
Data: 15 maggio 2015
Pagina: 70
Autore: Gigi Riva
Titolo: «'Charlie è reazionario'»

Riprendiamo dall' ESPRESSO di oggi, 15/05/2015, a pag. 70-73, con il titolo "Charlie è reazionario", l'intervista di Gigi Riva a Emmanuel Todd.

E' un'azione miserabile bollare "Charlie Hebdo" come se si trattasse di un giornale "reazionario" dopo l'attentato del 7 gennaio scorso, un atto criminale per distruggere la libertà di informazione. Ecco l'articolo:

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Gigi Riva

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Emmanuel Todd

Potrei scegliere la California, dove già si rifugiò in passato la mia famiglia. O la Svizzera francese, dove si parla la mia lingua. Oppure l'Italia per la sua bellezza e gioia di vivere... Scherza Emmanuel Todd, 64 anni questo 16 maggio, sulle possibili mete dell'esilio, dopo la bufera che si è scatenata a causa del suo libro fresco di stampa "Qui est Charlie?" (Seuil). Sa, in realtà, che non potrebbe mai lasciare l'amata Parigi, nonostante l'uragano di polemiche, con la maggioranza della stampa schierata contro ("Le Figaro": "Il falso profeta"; Io stesso "Charlie Hebdo": "Todd non è Charlie, tanto meglio"), i colleghi studiosi pure, il primo ministro Manuel Valls che gli attribuisce un «odio verso se stesso e verso la Francia» ed è la risposta all'accusa inudibile di «petainisme», cioè di avere posizioni simili a quelle del generale Philippe Pétain, capo del governo collaborazionista dei tedeschi di Vichy: quanto di peggio per un uomo pubblico.

Un furibondo dibattito di idee come solo Oltralpe, insomma, più estremo persino di quello che accompagnò, a gennaio, l'uscita del libro di Michel Houellebecq ("Sottomissione") perché qui si toccano i monumenti su cui si regge l'identità collettiva della Francia dopo gli attentati. Un'analisi vissuta come una bestemmia ripetuta per 252 pagine scritte in un mese e in stato febbrile, alzandosi alle 3 del mattino («e non è comodo per un uomo della mia età»), per consegnare una sorta di testamento intellettuale. Ora che si è sgravato e che può finalmente sorseggiare con calma un bicchiere di vino («bevo solo rosso») chez "Le Select" a Montparnasse, Todd non rinuncia all'ironia su se stesso col quel sorriso malandrino di chi sa di averla combinata grossa.

Nel volume sostiene, nientemeno, che la grande manifestazione dell'11 gennaio dopo la macelleria islamista è stata «una grande menzogna», orchestrata da quel François Hollande, il presidente della Repubblica, che sarebbe il capo del «blocco egemone» MAZ. Acronimo che sta per classe Media, persone Anziane, cattolici Zombie. Un'accozzaglia reazionaria «brutale» che tiene il Paese sotto scacco e opprime due gruppi sociali svantaggiati: gli operai e i francesi di origine magrebina. E dunque Todd ha la risposta alla domanda retorica del titolo "Chi è Charlie?". Cioè chi ha gridato e sventolato lo slogan "Je suis Charlie" nelle piazze. E' appunto il MAZ retrogrado e ipocrita, espressione di quella provincia controrivoluzionaria che lentamente ha permeato di sé tutto "l'Hexagone" ed è approdata all'Eliseo per difendere prebende e privilegi. Perché il MAZ dice di battersi per la libertà ma non è affatto per l'uguaglianza, l'égalité che è la seconda parola d'ordine su cui si regge la République. 

UNA TESI TANTO ERETICA avrebbe meritato una noncurante alzata di spalle se non si trattasse di Emmanuel Todd. Benché inviso all'Accademia, lo storico e demografo non si può liquidare con superficialità, causa precedenti eloquenti. Aveva 25 anni quando nel 1976, da giovane ricercatore, pubblicò tra lo scetticismo generale "La chute finale" in cui sosteneva che l'Unione Sovietica sarebbe implosa perché nessuna società sopravvive a se stessa con dati così alti sulla mortalità infantile e così bassi sulla natalità. E non si meravigliò quando agenti della Cia si finsero giornalisti per "intervistarlo" circa le sue fonti. Poi all'altro gigante della Guerra Fredda, gli Usa, dedicò, nel 2002, "Dopo l'impero", previsione del declino di Washington analizzando indicatori e tabelle. Tradotto in 25 lingue, dovette arrivare nelle caverne o chissà diavolo dove si era rifugiato Osama bin Laden, se lo sceicco del terrore lo citò nel videomessaggio in cui implicitamente rivendicava l'11 settembre.

FORTE DI QUESTA credibilità, accumulata anche con diversi saggi sulla Francia,Todd si è cimentato nella nuova impresa, spettacolarmente controcorrente, non dopo un tormentato travaglio. E qualche irritazione anche nei confronti di alcuni amici «i quali mi hanno detto che non sono un vero francese. Non mi era mai successo». Un'accusa particolarmente grave per chi ha un'identità plurale, avendo l'autore radici ebraiche e inglesi, oltre che francesi e si sente «fedele a tutte le sue origini». Motivo dei bisticci? «Sostenevo che la blasfemia di Charlie Hebdo non mi piace, loro hanno il diritto di farla ma non è elegante. E il giorno della grande marcia me ne sono stato a casa». Non poteva, argomenta, parlare subito dopo quell'onda emotiva che tutto travolgeva : «Non avrei avuto orecchie che mi potessero ascoltare». Ha dunque atteso il tempo necessario perché decantasse quell'unanimismo «di facciata». E perché crescesse in lui un bisogno insopprimibile, questo sì molto politico, di denunciare «la passiva accettazione dell'antisemitismo come un fatto scontato. Volevo mettere in guarda chi come me ha origini ebree sui motivi che lo hanno rilanciato».

E la frase merita una spiegazione che sta in una concatenazione logica: «Nella confusione religiosa globale che caratterizza la società si possono individuare quattro elementi fondamentali. La mancanza di fede generalizzata. L'ostilità verso l'Islam del gruppo dominante. L'aumento dell'antisemitismo in questo gruppo dominato (gli islamici). La relativa indifferenza del mondo laico dominante verso l'aumento e la forza dell'antisemitismo. In questo contesto, la definizione dell'Islam come problema centrale della società francese non può che produrre una crescita dei rischi fisici, non già per la maggioranza dei francesi, ma per gli ebrei».

È UTILE RICORDARE che sono circa cinque milioni i musulmani in Francia, e 500 mila gli ebrei. L'indignazione di Todd deriva anche dal diverso grado di condanna che hanno avuto i due attacchi che si sono susseguiti tra il 7 e il 9 gennaio, il primo alla redazione del giornale satirico il secondo all'hypercacher ebraico: «E da un punto di vista morale il secondo, che ha colpito le persone per la loro razza, è almeno di due gradi più grave del primo». Così ha ripreso le mappe su cui ha sudato per una vita, ne ha aggiunte di nuove per capire chi sono i quattro milioni di francesi delle marce dell'11 gennaio nelle diverse città. Poi le ha messe a confronto. Arrivando a una scoperta stupefacente: i cortei sono stati più copiosi e partecipati, in percentuale sugli abitanti, nella Francia che si oppose alla Rivoluzione, la Francia profonda e reazionaria, la Francia "vandeana"e ultracattolica, piuttostoche nelle aree rivoluzionarie e repubblicane che si identificano nel bacino parigino e nella fascia mediterranea. Dunque a difendere la "laicità" c'erano piuttosto cittadini rappresentanti di un mondo per cui non è mai stata un valore, anzi un'aberrazione da combattere.

Per validare l'assioma, bisogna accettare il presupposto che esistano delle idee persistenti, legate ai luoghi, alla geografia, più che agli umani. Per fare un paragone, sappiamo che l'Italia centrale, ad esempio, vota a sinistra e che questa tradizione si perpetua nonostante le varianti temporali e storiche. Così, secondo Todd, anche se è venuta meno la fede, i «cattolici zombie» diffondono una cultura della disuguaglianza e della restaurazione, intrinsecamente reazionaria, che ha visto in quelle adunate di massa l'opportunità non già di lottare per la laicità, ma di sfogare la propria islamofobia. «E non mi stupirebbe se parallelamente crescesse anche in quelle realtà l'antisemitismo».

I cattolici zombie, avverte, «non stanno solo in Francia, sono un fenomeno europeo e voi italiani lo sapete bene perché lo stesso avviene nel vostro Nord». Nelle terre che furono democristiane e che si sono riconvertite rapidamente alla Lega. Dove le chiese saranno anche vuote ma un certo profilo identitario resiste. In Francia il partito socialista ha coltivato un'illusione: « Dopo essere diventato la principale formazione della sinistra, ha mietuto successi elettorali nel sud-ovest in regioni che non hanno mai creduto all'uguaglianza pensando di poter conquistare il Paese grazie alle aree che uscivano dal cattolicesimo. Mentre in realtà stava avvenendo esattamente l'opposto: sono le regioni cattoliche che hanno conquistato la sinistra». E François Hollande altro non è che il più alto rappresentante di questo inganno.

Emmanuel Todd sa bene che non è corretto e quasi se ne scusa, ma gli fa un Dna politico: «E del resto, come si chiede costantemente conto ai musulmani delle loro origini, perché non farlo col capo dello Stato? Hollande viene dal Corrèze, è un tipico cattolico-zombie, con un padre cattolico di estrema destra e una madre cattolica di sinistra. Lo stesso Manuel Valls, e non lo sapevo quando ho scritto il libro, arriva da un milieu catalano cattolico-duro». E dietro di loro quella classe media feroce «non ancora particolarmente toccata dalla crisi economica, che ha deciso di escludere le fasce più svantaggiate della popolazione gli operai, che votano Front National, e i musulmani, relegati nelle banlieue, che l'11 gennaio non c'erano».

Nelle banlieue, esattamente dieci anni fa, ci fu la famosa rivolta e Todd traccia un parallelo con l'oggi: «Allora, nel 2005, la richiesta che saliva forte dai ragazzi figli di immigrati era di essere più francesi. II blocco MAZ glielo ha impedito, li ha tenuti in una situazione di povertà, non hanno più speranze. È così che si passa dalle auto bruciate alla carneficina dell' "hyper cacher"». II demografo identifica il blocco MAZ nello stesso gruppo che «allora trainato da Mitterrand, nel 1992 si batté per il sì al trattato di Maastricht, che poi ha sposato la causa dell'euro, che massacra gli operai, accetta il 10 per cento di disoccupati, esclude i giovani, soprattutto se di origine magrebina». E che ora, allargando lo sguardo oltre il suo Paese, ha deciso di farsi servo sciocco di Angela Merkel: «Se la Francia non avesse supinamente accertato i diktat della Germania, quest'ultima non potrebbe vessare ed opprimere le nazioni del Sud Europa, la Grecia, la Spagna, il Portogallo, la stessa Italia. Parigi ha deciso di stare col grande potere economico. Questo, se volete, è il messaggio che vorrei lanciare agli italiani attraverso il mio lavoro. Attenti, perché se volete costruire, come ha detto di voler fare Matteo Renzi, un asse con Hollande, scegliete la Francia delle disuguaglianze, quella cattiva, gerarchica, periferica, che sta coi tedeschi allo stesso modo in cui con loro si alleò Pétain».

SIAMO STATI IN MOLTI, L'11 GENNAIO, a essere idealmente quando non fisicamente in quella marcia parigina, pensando di condividere valori e diritti universali, eredità della Rivoluzione che ha cambiato per sempre la faccia del Continente. Quel segno di testimonianza, quelle intenzioni individuali, valgono a prescindere. E se l'analisi di Todd ha un fondamento per la parte scientifica di carotaggio della società francese, forse non si adatta a quel momento eccezionale in cui era impossibile sottilizzare. Salvo trovarsi, certo, dal giorno dopo, con le questioni irrisolte di una società piena di contraddizioni e dove l'uguaglianza è una chimera, nell'Europa iperburocratica e consegnata a banchieri e finanzieri. In quest'Europa che continua ad arrancare, la Francia, con la sua composizione così delicata ed eredità del colonialismo, deve porsi qualche interrogativo in fatto di integrazione.

L'autore, nell'ultimo capitolo, disegna uno scenario pessimista di scontro col mondo musulmano: «La beatitudine egoista di Charlie, i risultati del Front National e l'antisemitismo delle banlieue mi fanno dubitare circa un cambio positivo di traiettoria». Ma apre la strada alla speranza che lo scontro muti in accettazione. Perché la Francia veramente repubblicana non ha ancora giocato la sua arma segreta: «La mancanza di serietà dei francesi in fatto di razzismo e in questo siamo simili agli italiani. Tra una bella donna esotica e una racchia nazionale (traduzione libera di "boudin national", ndr) il francese universalista farà sempre la buona scelta. E le donne altrettanto».

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