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Informazione Corretta Rassegna Stampa
06.02.2017 IC7 - Il commento di Lia Levi: La sfida di un ebreo romano alle bande nazifasciste. Moretto, la leggenda continua
Dal 29 gennaio al 4 febbraio 2017

Testata: Informazione Corretta
Data: 06 febbraio 2017
Pagina: 1
Autore: Lia Levi
Titolo: «IC7 - Il commento di Lia Levi: La sfida di un ebreo romano alle bande nazifasciste. Moretto, la leggenda continua»

IC7 - Il commento di Lia Levi
Dal 29 gennaio al 4 febbraio 2017

La sfida di un ebreo romano alle bande nazifasciste. Moretto, la leggenda continua

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Pacifico Di Consiglio, detto Moretto

Leggenda viene suppergiù definito un racconto eroico in cui i fatti reali vengono nutriti, amplificati ed esaltati dalla fantasia individuale. E’ per questo che non possiamo fare a meno della leggenda. Lì c’è il nostro apporto, ci siamo noi. Si basava su questa considerazione il timore che avevo vagamente percepito quando si è saputo che al mitico personaggio di Pacifico di Consiglio, detto Moretto, si sarebbe dedicato un libro per mano di due analisti storico-politici del livello di Maurizio Molinari e di Amedeo Osti Guerrazzi .

Un libro ricco di nuovi dati e rigorose annotazioni, tratto da archivi pubblici e privati, non avrebbe finito in qualche modo per schiacciare la fantasia? In altre parole temevo per la “leggenda”. Niente di più sbagliato. Nel Duello nel Ghetto – la sfida di un ebreo contro le bande nazifasciste nella Roma occupata- questo aspetto ne esce addirittura rinforzato perché accanto ai fatti narrati palpita quel comunicare per “altre vie” che è specifico del mito. Quell’ombra di mistero che circonda un personaggio nelle sue tante enigmatiche sfumature, qualcosa nel fondo che non si riuscirà mai completamente ad afferrare è stata resa la massima potenza.

Un ribelle Moretto, uno spirito turbinosamente libero, indomito, un po’ guascone, irridente al potere che appare e sparisce fra i vicoli del Ghetto come un fantasma mentre i nazifascisti gli danno la caccia. C’è qualcosa in comune fra questa Primula Rossa ebraico-romana e l’altrettanto straordinaria figura di stampo genovese: Massimo Teglio. Anche Teglio, seppur ripetutamente messo in guardia, non abbandonava mai la zona centrale della sua città. Cercava solo di non avere orari precisi, così diceva, e di scegliere sempre le strade vuote all’ora del pranzo perché anche i tedeschi mangiano. In una delle case in cui si nascondeva aveva una corda attaccata alla finestra del bagno con cui calarsi in un vicolo. Regola fondamentale: non entrare mai in ristoranti e caffè. Moretto sì, nei locali pubblici ci compariva all’improvviso, faceva parte del suo gioco.

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La copertina del libro (Rizzoli ed.)

Certo la differenza fra i due personaggi non si limita a questo piccolo particolare. Massimo Teglio agiva nell’ambito della DELASEM (Delegazione Assistenza Emigrati Ebrei) in una situazione fortemente strutturata e da ex asso dell’aviazione aveva moltissimi contatti personali. Suo ardito compito era di portare in salvo più ebrei possibile. Pacifico di Consiglio agiva da solo. Era lui il proprio esercito personale. Il suo esistere e sfidare da singolo ebreo gli aguzzini, con la certezza di aver partita vinta, prendeva forza da una spinta profonda e inconsciamente mirata a lanciare un messaggio alla propria gente. Non era certamente stato esente da traversie personali. Si era trovato in estremo pericolo per avere aggrediti arroganti squadristi armati, ma era sempre riuscito a fuggire. Era scappato anche dal carcere, aveva combattuto a porta San Paolo impugnando una pistola che non sapeva usare, aveva cercato per le campagne i partigiani per unirsi a loro, ma gli erano mancati i contatti. Li aveva trovati solo dopo la liberazione di Roma e aveva combattuto con loro. Ma non è questo il mito. Per comprendere occorre alzare ( come il libro ha fatto) uno dopo l’altro i neri sipari della storia degli ebrei del Ghetto al tempo del nazifascismo.

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L'ingresso del Ghetto di Roma

Le leggi razziali che cadono come una mazzata sulla testa del piccolo gruppo ebraico radicato da secoli in quel quartiere, l’euforia per l’effimera caduta del fascismo, l’invasione tedesca di Roma, il 16 Ottobre, le fughe disperate. Un capitolo a parte, su cui forse finora non si è puntata l’attenzione, è quello degli ebrei di Piazza costretti a ritornare nei loro luoghi. Erano quelli miracolosamente riusciti a scappare dalla razzia dell’Ottobre, ma non avevano trovato un rifugio, avevano vagato senza sapere dove andare. E c’è anche un altro motivo a premere. Senza guadagni non avevano più alcun mezzo per comprarsi anche un pezzo di pane. Erano così ritornati alla chetichella, ai loro piccoli commerci improvvisati su qualunque pezzo d’appoggio, fosse pure il coperchio rovesciato di una scatola. Se ne stavano lì, fra i vecchi vicoli, poveri ed eroici a lottare per sopravvivere, perché fuggire non basta. Ed ecco fra quelle strade a rappresentarli apparire così, senza particolare necessità una figura che si prende gioco dei persecutori in una partita agile e astuta che lo vede sempre vincente.

“E’ questa la sfida di Moretto. E’ braccato sia dai fascisti che dai nazisti, il suo nome campeggia sulla lista dei più ricercati. Eppure continua a girare nella zona (…) sfida la sorte facendosi vedere in giro con il suo impermeabile bianco in pieno giorno, fra le strade frequentate da camicie nere, come una bandiera, un monito vivente che si può ancora tenere la testa alta e restare liberi. La sua sopravvivenza (…) testimonia la possibilità di evadere la cattura, resistere ai persecutori e, in ultima analisi, consentire al popolo ebraico di sopravvivere.”

E’ in questo riscatto che si riverbera sui “combattenti per la vita” del Ghetto romano, il senso mitico e simbolico del Moretto che Molinari e Osti Guerrazzi, con profonda immedesimazione, ci hanno ora riconsegnato.

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Lia Levi, scrittrice. Le sue opere, tra cui il bestseller "Una bambina e basta", sono pubblicate dall'editore e/o


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