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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
23.11.2014 Conferenza sulle sanzioni all'Iran: la torva logica del 'business is business'
Analisi di Alberto Negri

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 23 novembre 2014
Pagina: 1
Autore: Alberto Negri
Titolo: «Dopo 12 anni di trattative Usa e Iran obbligati all'intesa»

Riprendiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 23/11/2014, a pag. 1-10, con il titolo "Dopo 12 anni di trattative Usa e Iran obbligati all'intesa", l'analisi di Alberto Negri.

Alberto Negri si schiera con decisione a favore di un accordo che ritiri le sanzioni contro l'Iran e lasci libero il regime sciita di procedere speditamente nella corsa al nucleare.
Fedele al principio "business is business", Negri ripulisce l'immagine della dittatura religiosa che opprime da 35 anni la Persia.
Come se non bastasse, quando viene il momento di elencare le malefatte del regime degli ayatollah - ridotte a peccati veniali dal giornalista - definisce Hamas e Hezbollah "gruppi radicali". Invece di affermarne l'evidente natura di organizzazioni terroristiche che hanno al primo punto della propria agenda la distruzione di Israele.
Ci auguriamo che le sanzioni vengano mantenute. In caso contrario, il successo dei negoziati equivarrà al fallimento del contenimento dell'Iran.
Un regime, non dimentichiamolo, che minaccia di distruzione Israele e propugna l'imposizione della legge del Corano.

Ecco il pezzo:


Alberto Negri

Too big too fail, troppo grande per fallire, questa sarebbe la logica che guida l'ultima tornata di negoziati sul nucleare iraniano del «5+1» che si dovrebbe concludere, salvo sorprese, domani a Vienna. Con il Medio Oriente in fiamme, la questione, dice il senso comune, è troppo strategica per sprofondare verso un insuccesso.

Più probabile un'ennesima proroga, comunque percepita come un mezzo fallimento. Ma per comprendere questi negoziati in corso da 12 anni la logica non basta e gli scenari sono tutti aperti, senza esclusione di colpi di scena. L'Iran, con la sua storia millenaria e le origini indoeuropee, non è un nemico implacabile dell'Occidente come viene spesso dipinto ma su Teheran pesano i 35 anni dalla rivoluzione dell'Imam Khomeini del '79, il sostegno ai gruppi radicali islamici come Hezbollah e Hamas e la rottura dei rapporti con gli Usa per il sequestro degli ostaggi nell'ambasciata americana di Teheran. Per questo un eventuale accordo avrebbe una portata storica nelle relazioni tra americani e iraniani con ricadute importanti sugli equilibri internazionali.

Ma dietro i pur importanti dettagli tecnici su centrifughe nucleari, arricchimento dell'uranio e sanzioni, si nasconde il vero problema che è politico e ideologico: la Repubblica islamica si considera la guida dell' "asse della resistenza", l'America il guardiano dell'ordine occidentale. Ai due massimi decisori, il presidente Barack Obama, e la Guida Suprema Ali Khamenei, l'intesa farebbe comodo per uscire dall'impasse. Tutti e due hanno lo stesso problema: come venderlo all'interno e all'esterno. Il primo non può dare l'impressione di avere concesso troppo, il secondo, insieme al pragmatico presidente Hassan Rohani e al conciliante ministro degli Esteri Javad Zarif, deve sbandierare l'accordo come una vittoria senza cedimenti. Obama è sotto tiro del Congresso che non controlla più, Khamenei, pur avendo l'ultima parola, non è un dittatore ma un arbitro che deve tener conto di complicati equilibri tra politici, religiosi, militari.

La politica interna iraniana, come disse Churchill a proposito di quella russa, «è un indovinello avvolto in un mistero all'interno di un'enigma». Obama ha bisogno di un successo per riprendere vigore dopo la batosta elettorale, questa è la sua prova del nove in Medio Oriente dove ha già fallito con il negoziato israeliano-palestinese. L'Iran sciita gli serve per fare fronte comune contro la barbarie del Califfato ed è fondamentale per la stabilizzazione dell'Iraq. Non solo. Se c'è un'intesa sul nucleare forse è possibile averne una per la transizione politica nella Siria di Assad, alleato di Teheran. Inoltre l'Iran è protagonista sul quadrante afghano dove Obama in vista del ritiro nel 2015 avrebbe anche dato ordini segreti per continuare la guerra contro i talebani.

Khamenei e il presidente Hassan Rohani puntano su un'intesa che tolga le sanzioni e a fare uscire dall'isolamento un'economia quasi in caduta libera (-5% quest'anno) consentendo all'Iran di tornare da protagonista sul mercato dell'energia: Teheran non ha solo il petrolio ma le seconde riserve al mondo di gas dopo la Russia. È un'alternativa di rifornimento energetico per l'Europa - Italia compresa - che per le sanzioni all'Iran in questi anni ha perso 350 miliardi di dollari di commesse.

Per avere un accordo occorre risolvere due problemi. Il primo sono i limiti da imporre alle capacità nucleari dell'Iran in modo che se Teheran provasse a fare un'atomica servirebbero tempi lunghi (almeno un anno) dando alla comunità internazionale il tempo di reagire. II secondo punto è la cancellazione delle sanzioni: tutto e subito chiedono gli iraniani, mentre gli occidentali vogliono un calendario graduale e sottoposto a verifiche.

Contro questo accordo c'è chi rema contro, oltre ai falchi del Congresso e all'ala dura dei Pasdaran iraniani. Il presidente americano deve convincere i suoi due principali alleati in Medio Oriente, Israele e l'Arabia Saudita. Israele considera Teheran una minaccia vitale alla sua esistenza, non si fida degli ayatollah, ritiene che se non ci fosse un accordo potrebbe continuare a tenere la pistola puntata sulla repubblica islamica ed è assai irritato dagli scambi di lettere tra Obama e Khamenei. I sauditi, custodi dell'ortodossia sunnita, vedono nell'Iran un concorrente all'egemonia nel Golfo, un avversario assai pericoloso per la sua influenza religiosa e militare in Medio Oriente.

Ma anche nel famoso Cinque più Uno ci sono potenze che soppesano con diffidenza un'intesa. La Russia è favorevole ma in caso di fallimento Teheran, che ha appena firmato un accordo con Mosca sul nucleare civile, cadrà nelle sue braccia. Mentre la Francia si è votata a sostenere le posizioni saudite: le andrebbe bene un rinvio per continuare a lucrare sui contratti di armamenti nel Golfo. L'Italia, dove nei prossimi giorni è invisita la vicepresidente iraniana Masumeh Ebtekar, avrebbe potuto dire la sua a Vienna se anni fa avesse accettato l'invito a entrare nel negoziato nucleare che invece fece cadere con inspiegabile imperizia. A noi comunque un accordo farebbe gioco perché il mercato iraniano è sempre stato uno dei più promettenti. Ma sarebbe anche importante politicamente in quanto riaprirebbe spazi di manovra per la diplomazia italiana che ha sempre avuto un canale aperto con l'Iran e i suoi alleati nella regione.

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