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Il Messaggero Rassegna Stampa
22.08.2016 Dall'Italia con la divisa di Tzahal
Due corrispondenze di Marco Pasqua

Testata: Il Messaggero
Data: 22 agosto 2016
Pagina: 12
Autore: Marco Pasqua
Titolo: «La fuga dei giovani italiani: Noi, i soldati di Israele- Amo Roma e tornare è sempre unico, ma questo Paese è veramente speciale»

Riprendiamo dal MESSAGGERO di oggi, 22/08/2016, a pag.12, due servizi di Marco Pasqua, particolarmente interessanti, vista la poca cura del quotidiano romano verso gli esteri. Qui, i protagonisti sono italiani, ma le loro storie si svolgono in Israele, un paese che sul Messaggero ha sempre subìto le ostilità di un pessimo corrispondente, andato poi in pensione. 

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Marco Pasqua

Ecco gli articoli:

La fuga dei giovani italiani: Noi, i soldati di Israele

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Hanno scelto di lasciare gli affetti, la sicurezza della loro casa, di congedarsi da genitori, parenti e amici, per rischiare la vita, ogni giorno. Si chiamano "chayal boded" ovvero "soldati soli" (lone soldiers, in inglese), ragazzi e ragazze ebrei italiani che, già all'età di 18 anni, decidono di arruolarsi nell'IDF, le forze di difesa israeliane. Scelgono con la testa e il cuore, perché vogliono difendere la terra dei loro padri. E' un moto quasi spontaneo, quello che li ha portati a imbracciare I'M 16 in dotazione alle truppe israeliane e a combattere, per un periodo che varia da uno a 3 anni. Perché dei 6300 "soldati soli" arruolati nell'IDF, la metà ha ruoli operativi. Ragazzi che sanno di poter morire durante un attentato o un'operazione militare. In quattro anni, il numero di soldati soli nello Tsahal, l'esercito, è aumentato del 24%. Gli italiani che hanno lasciato la loro famiglia a casa, secondo i dati dell'IDF, sono circa 60. I soldi non sono mai il motore, vista la paga riservata ai militari: dai 200 ai 300 euro.
VITA IN COMUNE Molti vivono nei kibbutz, altri condividono appartamenti per risparmiare. Quello che li guida, a sentirli parlare, mentre si prendono una pausa durante l'orario di servizio, è l'amore per Israele. «Venivo spesso in vacanza a Tel Aviv - racconta Nancy Saada, 24 anni, originaria di Milano - e ho sempre avuto un forte attaccamento a questa terra. I miei nonni sono dovuti fuggire, per sopravvivere, dal Libano e dalla Libia». Nancy, oggi, è istruttrice di carri armati: nello specifico, insegna a guidare il "Nagmash", un mezzo da 11 tonnellate, relativamente rapido (viaggia fino a 60 Km/h), che viene usato per trasportare soldati e feriti nelle zone di guerra. Niente volante, ma solo due bastoni, gli "stikim". Si è arruolata nel dicembre del 2014 e il suo servizio terminerà a dicembre di quest'anno. «Questo è un esercito in cui credo tanto, dove c'è una moralità molto alta - dice, parlando al telefono dalla base di Eliat - Lavoriamo molto, la mia giornata inizia alle 7 e si chiude a sera tardi, ma qui ho trovato la mia dimensione». L'Italia è il Paese in cui è cresciuta e dove torna, in vacanza, per salutare parenti e amici. Da giovane, ricorda, è stata vittima, con la famiglia, di alcuni episodi di antisemitismo: «Durante la festa delle capanne, disegnarono nel mio giardino delle svastiche. Altre volte, alle fermate del bus sono apparse le scritte Juden raus'. Episodi che non posso dimenticare». Silvia T., 21 anni, è arrivata a Tel Aviv da Torino. Si è arruolata nell'aprile del 2015 e presta servizio in Cisgiordania, sulle ambulanze, con il personale paramedico. Ha visto corpi mutilati, cadaveri, ha aiutato persone in fin di vita. «Qui soccorriamo tutti e affrontiamo ogni genere di emergenza - racconta - Quando ho prestato giuramento, ho promesso di non fare differenza tra le persone che assistiamo e questo e un valore da cui non possiamo prescindere, mai».
UOMINI E DONNE La cosa più bella di questo lavoro è il "grazie" che raccoglie quando aiuta uomini e donne in difficoltà: «Quello che proviamo dopo aver salvato una vita è indescrivibile». Micol Debash, 24 anni, ha lasciato la capitale, dove era impiegata come addetta stampa presso la comunità ebraica e nell'IDF si occupa di relazioni internazionali. Un altro romano è Dario Sanchez, che, grazie alle sue esperienze nel settore della comunicazione, si è arruolato come fotografo e documenta, quotidianamente, le attività dell'esercito. Un esercito che ha scelto di affidarsi ai giovani, alla loro energia e al sano entusiasmo per quella che rimane una missione. «Amo l'Italia - ammette Shirel Sasson, 24 anni - e ogni volta che torno dai miei mi emoziono. Ma quello che ho trovato in Israele è unico». Nessuno mostra segni di pentimento, anche se, quotidianamente, convive con il pensiero di un attacco terroristico. La paura è un sentimento che non conoscono, o che hanno imparato a dissimulare. «Rifarei questa scelta a occhi chiusi», dice Nancy, prima di tornare dai suoi "Nagmash"

 Amo Roma e tornare è sempre unico, ma questo Paese è veramente speciale

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Shirel Sasson ha 24 anni, è arrivata a Tel Aviv nel 2015 e presta servizio nella IAF, l'areonautica israeliana, nell'unità Bynui. E' impiegata nella base di Kirya, a Tel Aviv, che ospita il quartier generale di esercito e aeronautica, oltre agli uffici del primo ministro (usati solo in situazioni di crisi). Oggi si occupa di gestire le infrastrutture del nuovissimo caccia F35, acquistato da Israele in una speciale versione potenziata. Perché hai deciso di arruolarti? «Dopo aver completato i miei studi in ingegneria alla Technion University, sono diventata cittadina israeliana. Mi sono innamorata gradualmente di questo Paese e arruolarmi vuol dire entrare a far parte attivamente della società israeliana». Una scelta professionale, dunque. «Sì, fa curriculum. E, soprattutto, questa è una scuola di vita straordinaria». Qual è la sua giornata tipo? «Inizio a lavorare alle 8 di mattina e finisco intorno alle 17.30, anche se, spesso, esco più tardi. I miei giorni di riposo sono il venerdì e il sabato». L'aeronautica le ha chiesto di occuparsi delle infrastrutture degli F35. Può spiegarci meglio il suo lavoro? «Non sono autorizzata a parlarne nel dettaglio (si gira verso l'ufficiale che assiste all'intervista, ndr). Posso solo dire che ci siamo preparando all'arrivo di questo mezzo sofisticatissimo, previsto a dicembre». Le manca l'Italia? «Amo Roma e tornare è sempre unico. Ma Israele è speciale». Com'è l'IDF vissuto da una donna? «Non c'è nessuna differenza tra donne e uomini. I miei amici italiani erano molto scettici, ma qui mi sento pienamente accettata e messa sullo stesso piano dei miei colleghi uomini». Non ha mai paura? «No. Mi sento più sicura qui che in Italia. E poi c'è un clima diverso: le persone mi sembrano più felici, si lamentano di meno».

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