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Avvenire Rassegna Stampa
19.03.2017 Nel Museo Israel di Gerusalemme c'è posto anche per i nemici
Cronaca di Luca Foschi

Testata: Avvenire
Data: 19 marzo 2017
Pagina: 23
Autore: Luca Foschi
Titolo: «Così l'arte israeliana racconta l'identità di Cristo»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 19/03/2017, a pag.23, con il titolo "Così l'arte israeliana racconta l'identità di Cristo" il commento di Luca Foschi.

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Per smontare l'accusa a Israele di  praticare l''apartheid' sarebbe sufficiente  vedere con quanta cura il Museo Israel di Gerusalemme - il più importante del paese-  ha dato spazio  all'immaginario palestinista con l'uso della figura di Gesù + Sacra Famiglia in chiave anti-Israele. E' la linea cui da sempre si attiene Israele, dare spazio ai propri nemici, forte nel suo essere uno stato democratico che non abiura le regole democratiche che si è dato: eguaglianza per tutti, anche per chi questo stato vorrebbe distruggere.
La cronaca di Luca Foschi riflette questa posizione. 

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Luca Foschi

E' un incubo lungo molti secoli quello da cui fugge L'ebreo errante di Samuel Hirszenberg, il cielo oscuro strozzato da una selva di croci e una corsa attonita fra l'ecatombe dei corpi. La figura di Cristo è un prisma che rimanda luci e ombre della relazione viscerale intrattenuta da ebrei e israeliani con la storia e le sue declinazioni di sofferenza, redenzione e colpa Amitai Mendhelson ne ha riassunto contraddizioni e sfumature curando Behold the Man: Jesus in Israeli art mostra ospitata dall'Israel Museum di Gerusalemme e aperta fino a 22 aprile: 150 opere di 40 artisti per un percorso che in una sequenza eterogenea di forme e materia attraversa il '900 e approda alla contemporaneità. L'infernale nemesi di Hirszenberg diventa cronaca romantica in Cristo davanti ai giudici di Maurycy Gottlieb, consegnato ai romani fra l'indignazione, lo scherno e l'indifferenza La prigione europea s'illumina nei colori chiari e spogli di Reuven Rubin, restituito alla terra promessa negli ultimi anni dell'impero ottomano e interprete dello smarrimento intrecciato alle più politiche intenzioni del flusso migratorio sionista. La Crocefissione in giallo di Chagall è l'apocalisse della Shoah, le tinte accese e oniriche raccontano di un'identificazione plasmata nell'incendio della storia, che rischiara in una Crocefissione successiva (1944) la notte di un piccolo villaggio, innevato, deserto e sconvolto come dal passaggio di un angelo della morte. «Ora so che Gesù ha avuto un'influenza enorme sull'esistenza ebraica» ha affermato Mendhelson, la cui lunga ricerca è passata per il Museo Nazionale di Varsavia, il Centro Pompidou a Parigi e le collezioni pubbliche e private in Israele. La memoria iconografica europea è onnipresente fra le opere, raccolte in un'ala della modernissima e asettica struttura di Gerusalemme ovest: Mantegna, Raffaello, Velasquez, Michelangelo. Una scolaresca s'interroga su Agnus dei, concrezione di bronzo, acciaio e teschi di cane di Igael Thmarkin, che cita l'omonima tela di Rembrandt. I tardi anni '60 sono una sfida esasperata che solo dieci anni dopo, nello stesso autore, diventano messaggio politico. In Crocefissione beduina, Ttmiarkin compone le stoffe, i legni e la juta in una denuncia dell'evoluzione dominatrice di Israele, che occupai territori palestinesi e oblitera la cultura delle società desertiche. E lo stesso capovolgimento rappresentato da Micha Kirshner con la Pietà, immagine scattata nel campo profughi di Khan Younis, Gaza, nel 1988. La donna ritratta partorì il figlio in prigione, nei primi mesi dell'Intifada Adagiato sul grembo e avvolto in un taint l'infante dorme in un luogo che già si approssima alla morte. Così il miracolo del popolo risorto e mai più subalterno, fiero, è nella mascolina gaiezza di Mi Nes, che ordina in Untitled (1999) quattordici soldati dell'esercito israeliano nelle ore che precedono la battaglia. La conversazione dei gruppuscoli si muove da un estremo all'altro della mensa spartana. Solo un soldato, al centro dello scatto, fuma con lo sguardo perso nel vuoto, inchiodato al dubbia Alle sue spalle, fuori dalla finestra, i sassi, gli sterpi e il manto arido di Eretz Israel, deserto trasformato in giardino dove l'ebreo errante sembra aver messo fine alla sua fuga.

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