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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Da Corso Vercelli a Treblinka 06/02/2024

Da Corso Vercelli a Treblinka                        Carlotta Morgana
Storia di Susanna Pardo

Giuntina                                                               Euro16

“Senza la memoria del passato siamo alberi senza radici. E quando tira il vento, il rischio è di seguirlo e di cadere” (Margherita Lollini)

Un nuovo tassello di Storia incastonato nel più ampio scenario degli eventi della Seconda Guerra Mondiale dove la Shoah ha rappresentato un “unicum”, il punto più buio della storia dell’umanità, viene alla luce grazie all’impegno della giornalista Carlotta Morgana che con l’ausilio degli storici Marcello Pezzetti e Sara Berger ha ricostruito in modo capillare la storia di Susanna Pardo, uccisa con il marito e la figlioletta a Treblinka nel marzo 1943. “Che cosa ha fatto sì che una giovanissima donna, madre e sposa, cresciuta nella Milano dei primi anni del secolo XX, potesse venire inghiottita nel buco nero della Shoah e finire gassata e poi bruciata in uno sperduto paese della Polonia orientale?” si chiede nella prefazione Debbie Josephine Kafka, nipote e appassionata custode della corrispondenza di Susanna e di documenti familiari sopravvissuti a guerre e traslochi. L’incontro fra la giornalista Carlotta Morgana e la nipote dell’unica italiana morta a Treblinka all’età di ventisei anni ha consentito all’autrice, profonda conoscitrice e studiosa dei campi di sterminio in Polonia, di concretizzare il progetto del libro “Da Corso Vercelli a Treblinka” in libreria in questi giorni per i tipi di Giuntina. Perfetto intreccio fra resoconto di vita familiare e saggio storico il libro di Carlotta Morgana, grazie all’immediatezza della scrittura e a una minuziosa ricostruzione storica degli eventi che hanno portato allo sterminio degli ebrei nei Balcani e in Italia e delle vicende accadute alla famiglia Pardo, riesce a scuotere la coscienza e a suscitare emozioni forti nel lettore. La narrazione di Carlotta Morgana è arricchita da nove lettere che Susanna Pardo, trasferitasi a Bitolj in Bulgaria dopo il matrimonio con il cugino David, invia alla famiglia rimasta a Milano nel periodo compreso fra il 20 maggio 1942 e il 27 febbraio 1943, poche settimane prima di essere deportata a Treblinka con la figlioletta e il marito. Sono lettere semplici, un po’ ingenue che raccontano la sua quotidianità di giovane mamma e moglie senza però mai accennare al clima di antisemitismo con i crescenti divieti e le disposizioni antiebraiche, drammatico preludio della deportazione di migliaia di ebrei dalla Macedonia e dalla Tracia. A Bitolj, il centro più importante della Macedonia del Nord dopo la capitale Skopje, vivono tremila ebrei, una comunità sefardita composta in maggioranza da commercianti, favoriti dalla vicinanza con il porto di Salonicco. E’ qui che il marito gestisce una fabbrica di tessuti almeno fino a quando le leggi antiebraiche glielo consentono. Ma di tutto questo Susanna non scrive nulla alla famiglia milanese che abita in un lussuoso appartamento in Corso Vercelli. Joseph, il capofamiglia è un ricco commerciante di tessuti che aveva lasciato Salonicco per trasferirsi a Milano accettando le sfide di una città dinamica e prospera. Susanna cresce tra gli stimoli del capoluogo lombardo negli anni trenta e solo l’amore per il cugino la convince a trasferirsi nel Balcani lasciando a Milano le sorelle Aimée, Clara e Ester nate dal primo matrimonio del padre, oltre a Silvana, Renata e Luciana nate dalla seconda moglie Gina Levi, una donna energica, vero collante dei Pardo, che si rivelerà determinante per portare in salvo la famiglia in Svizzera. Dopo ogni lettera di Susanna dalle quali traspare la nostalgia per Milano e l’incertezza di un presente che prelude alla catastrofe, l’autrice ci offre un minuzioso quadro storico della situazione degli ebrei in Bulgaria: apprendiamo delle crescenti limitazioni alle libertà individuali con il divieto di possedere apparecchi radio e telefonici, di uscire dalle proprie abitazioni dopo le nove di sera, oltre a un aggravio ingiustificato di tasse sui beni mobili e immobili e all’obbligo di essere impiegati nelle costruzioni stradali. L’ultima lettera di Susanna da Bitolj è del 27 febbraio 1943, indirizzata a zia Lina nella quale la giovane mamma si scusa per il ritardo della risposta, elenca le prodezze della sua bimba ed esprime la speranza che gli altri parenti milanesi possano leggere la sua missiva. “Nemmeno due settimane più tardi, l’11 marzo, tutti gli ebrei di Macedonia sarebbero stati prelevati dalle loro case, portati alla fabbrica di tabacco di Skopje e, qualche giorno più tardi, trasferiti a Treblinka e assassinati nelle camere a gas”. Ma come era la situazione a Milano? Anche se la furia nazista non aveva ancora sferrato il suo colpo mortale, l’angoscia cadenzava ogni giornata e, dopo anni di restrizioni, gli ebrei si trovano a fare i conti con la campagna antisemita del governo fascista e con la pubblicazione del Manifesto della razza del 14 luglio 1938 che coglie di sorpresa la maggioranza degli ebrei italiani. Dopo essere stato costretto a cedere l’azienda Joseph Pardo, arrestato perché ebreo con passaporto greco, viene inviato al confino a Desio, un paese della Brianza dove anche la famiglia sarebbe sfollata più tardi, alla fine del 1972. Nel frattempo, preoccupati per le notizie drammatiche sulla situazione degli ebrei a Est le sorelle Pardo si attivano anche con il console italiano Roberto Venturini a Skopje per far venire a Milano Susanna con la bimba. Ma invano. Nell’estate del 1943 l’inasprirsi dei bombardamenti su Milano e la notizia della strage a Meina dove il 22 settembre i nazisti massacrano cinquantaquattro ebrei fra donne, uomini e bambini gettandoli nel lago Maggiore, induce i Pardo a lasciare l’appartamento di Desio e a tentare la fuga in Svizzera. Fra mille peripezie e con l’aiuto di un fascista, proprietario della villetta a Lanzo dove la famiglia Pardo si recava in villeggiatura ogni estate, riescono a varcare il confine con la Svizzera. Nelle ultime pagine l’autrice racconta dei mesi difficili trascorsi nel territorio elvetico, del ritorno a Milano dove li attende una città disastrata, della difficoltà di tornare in possesso della loro casa di Corso Vercelli occupata da un fascista e infine di tutti i contatti attivati dalle sorelle Pardo con la Croce Rossa e con il Ministero per l’assistenza postbellica per conoscere la sorte di Susanna. Nonostante il dolore mai sopito per la mancanza della sorella la vita in Corso Vercelli, seppur lentamente, riprende il suo ritmo: alcune sorelle si sposano, altre rimangono nubili ma per tutte il ricordo di Susanna e della piccola Nina che avevano conosciuto solo in una fotografia in bianco e nero rimane una perenne ferita mai rimarginata. “La memoria è il primo piccolo risarcimento di giustizia che dobbiamo alle vittime” Grazie al libro di Carlotta Morgana, la ragazza di corso Vercelli, ha ricevuto la giustizia di una memoria certa. Oggi più che mai tramandare il ricordo di coloro che non sono tornati dai campi di sterminio e quindi “fare memoria” di chi siamo e della nostra storia diventa non solo un diritto ma anche un dovere civile.


Giorgia Greco


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