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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Patrick Fogli, Dovrei essere fumo 27/01/2014

Dovrei essere fumo                   Patrick Fogli
Piemme                                           euro 15,50

Se di fronte al male assoluto il pensiero vacilla, la letteratura di ogni tipo non ha invece mai rinunciato al rischio di raccontarlo. In una gamma di esiti e di ambizioni che va dalla testimonianza scarnificata e straziante di Imre Kertész (sul lager, giù fino ai poliziotti in divisa della Wehrmacht di un buon numero di oneste serie poliziesche, il nuovo romanzo di Patrick Fogli Dovrei essere fumo occupa per scelta una posizione mediana e originale: noir di classe nei capitoli dispari, dove il protagonista è l' ex militare dei reparti speciali Alberto Corini, quarantenne uscito distrutto da missioni all' estero finite in carneficine collaterali e ora impiegato come guardia del corpo e killer occasionale da un misterioso tycoon dal nome tedesco novantenne e malato, diventa nei capitoli pari un preciso e spietato diario da Auschwitz, con la voce narrante di un vecchio: «Sono nato il 25 luglio del 1921, mi chiamo Emile Riemann e sono ebreo...». Nessun virtuosismo artificioso di montaggio, il nesso è diretto: lo specialista di security ogni sera legge, e dal "quaderno azzurro" manoscritto la penna di Emile racconta: la giovinezza spezzata dal rastrellamento a Parigi occupata, il trasporto sul vagone blindato, le selezioni sul piazzale, fino al fondo più segreto dell' inferno dove da prigioniero inquadrato nel Sonderkommando del crematorio di Auschwitz I trasporta dalle camere a gas ai forni i corpi degli altri ebrei, che al ritmo di 20mila al giorno «diventano fumo». Due storie così diverse, fiction e testimonianza storica precisa appena riscritta dal tocco del narratore, finiranno naturalmente per ricongiungersi, come è regola, nello sviluppo e nello scioglimento della trama, quando tutte le identità dei personaggi andranno al loro posto e si compirà una sorta di giustizia senza soddisfazione, che lascia intatte responsabilità, malvagità senza rimorsi, senso di colpa che è il fardello atroce dei sopravvissuti e fantasmi, solo riducendoli alla dimensione di un dolore che si riesce a sopportare. Sul lato contemporaneo del romanzo, nel frattempo, la scala del dramma è quella più congegnale al noir: passa attraverso lo sguardo attentissimo dell' ex cacciatore di terroristi afghani e arabi diventato "pistola in affitto" e occupa la sua mente già messa a dura prova dai traumi della guerra. Mentre l' azione si dipana tra una clinica privata presidiata e difesa come un bunker, una splendida villa nel parco con una stanza d' angolo in cui nessuno ha il permesso di entrare e la spiaggia dove il protagonista si sfianca di allenamenti e cupi pensieri, cuffiette a tutto volume nelle orecchie e cuore in gola, cominciando a vedere le crepe sulla vernice di soldi e potere che dà rispettabilità al suo datore di lavoro. Ci saranno anche - a tener compagnia in viaggio al lettore - suspense, intrighi, donne molto belle, una figlia che odia il padre e una nipote affezionata che, sulle prime, disprezza gli ex soldati. E poi delitti su commissione camuffati da incidenti, canzoni, sofisticati sistemi di sorveglianza hi-tech, sbrigative eliminazioni a mani nude. Ma la saggezza di separare i capitoli evita sempre per lo spessore di almeno un foglio lo schianto tra effetti di genere e tragedia della Storia. Patrick Fogli, a 43 anni e dopo sette libri tra romanzi noir e grande cronaca messa in romanzo (la strage di Bologna in Il tempo infranto, Falcone e Borsellino in Non voglio il silenzio) conferma un senso della misura al millimetro di rado associato al talento: quello che serve a dirigere una storia senza deragliare, nonostante l' azzardo di un duro di ritorno dai campi di battaglia che filosofa e cita Dostoevskij e Céline, fino all' obiettivo. L' uscita del libro, alla vigilia della giornata della memoria del 27 gennaio, suggerisce una puntualità editoriale d' occasione, ma l' appuntamentoè segnato da Fogli su un calendario più lungo, come dicono le età dei suoi personaggi, quarantenni e novantenni intrecciati nella trama: questo novembre saranno settant' anni esatti - un lunga vita intera dei sopravvissuti - da quando forni e camere a gas di Auschwitz furono smantellati da nazisti in rotta, nel tentativo (mai sventato per sempre) di cancellarne le tracce. Così Dovrei essere fumo diventa ancheun finale del lungo addio alla generazione del deportato Emile, quella che si è costretta a raccontare per non lasciar dimenticare: «Io non so se un racconto abbia questo potere e se le parole conservino la loro forza, dopo che sono state scritte e lette», conclude il diario. Che il quaderno azzurro trovi il modo di arrivare nelle mani dei lettori perfino dai capitoli alterni di un insolito noir, può aiutare a sperare di sì.

Maurizio Bono
La Repubblica


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