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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Giuseppe Sicari, Le isole vagabonde 04/11/2013
Le isole vagabonde        Giuseppe Sicari
Pungitopo                           euro 12


Non capita di frequente d’imbattersi in un romanzo capace di catturare la nostra attenzione fin dall’inizio e poi conservarla sino alla fine, d’incontrare personaggi che, chiuso il libro, ci spiace abbandonare perché li abbiamo sentiti veri, di partecipare con passione alla storia raccontata, totalmente presi dalla vicenda, dai suoi sviluppi, dai possibili esiti.
A questa categoria di opere felicemente riuscite appartiene l’ultima fatica di Giuseppe Sicari, “Le isole vagabonde”, pubblicato da Pungitopo.
Giornalista siciliano di Capo d’Orlando, già caporedattore del Tg1 e attualmente docente di Linguaggi della radio e della televisione presso l’università della Tuscia, Sicari è un profondo conoscitore dell’ebraismo siciliano cui ha dedicato oltre al romanzo “Il santo marrano” del 2010 due saggi interessanti, “Il tempio perduto” e “La kippà di Esculapio”; quest’ultimo, un’affascinante ricerca storica sulla presenza di medici ebrei in Sicilia nel ‘300 e ‘400, è stato recensito in queste pagine.
Con il romanzo “Le isole vagabonde”, ambientato nella Sicilia del 1400, l’autore ci restituisce un racconto di viaggio intenso, ricco di spunti storici e ambientali minuziosi, impreziosito da una rara freschezza espressiva e da uno stile linguistico che non disdegna l’uso di pittoreschi accenti siciliani.
La trama prende avvio con un originale espediente letterario: l’autore immagina che Maestro Prospero Mussumeci, medico fisico della comunità di Licata, si rechi a trovarlo, “direttamente dalla Sicilia di fine Quattrocento”, perché ha saputo del suo interesse per gli ebrei siciliani del Medioevo e dunque si offre di fornirgli alcune “notizie di prima mano in proposito”.
Dopo aver soddisfatto la curiosità del suo interlocutore, rispondendo profusamente ad alcune domande,  Maestro Mussumeci accoglie l’invito a raccontare le esperienze che hanno segnato i suoi primi anni di professione.
Rampollo di una ricca famiglia ebraica d’origini andaluse di medici e rabbini, l’ebreo Prospero Mussumeci che sin da bambino voleva diventare medico e conquistare l’amore di una donna bellissima e intelligente, lascia Catania dopo alcuni dissidi con il padre e dopo la morte della giovane moglie per intraprendere un lungo viaggio attraverso la Sicilia settentrionale alla ricerca di una città in cui esercitare la sua arte.
Soggetti al re d’Aragona gli ebrei dell’epoca hanno l’obbligo di indossare all’altezza del cuore un distintivo di riconoscimento, la famigerata rotella, e il divieto di muoversi a cavallo: al giovane medico dunque non resta che spostarsi a dorso d’asino, attraverso strade impervie, boschi e radure accompagnato da una guida che ha ingaggiato per quel viaggio, il bordonaro Rosario Paternò, detto Sarino.
“Dopo una curva del sentiero, tra le quinte di due alte macchie, ecco apparire in lontananza il mare e l’arcipelago di cui tanto ho inteso favoleggiare: una visione di magica bellezza, la materializzazione di un sogno”. Con queste parole ricche di poesia Prospero ci mette a parte del suo incontro con le isole Eolie….”piccole cime grigie emergenti dalla distesa cangiante dell’acqua, ora viola ora smeraldo” prima di giungere a Naso, prima iniziale del viaggio. In questa città antichissima, forse fondata dai Greci, prospero incontra Artale Cardona, barone di Naso, un uomo eccentrico che lo accoglie in una bara al centro di una fiorita camera ardente e dinanzi al giovane ebreo esterrefatto spiega che in tal modo tenta di abituarsi all’inevitabile destino che attende ogni uomo, ricco o povero, nobile o plebeo.
A Naso però ci sono già due frati che si occupano dei malati e a Prospero non rimane che rimettersi in viaggio fino alla tappa successiva , Ficarra, “un altro paesello feudale abbarbicato alla cima di un’altura” dove cura con vera perizia l’emicrania di Dolores, la moglie del barone don Diego Orioles y Cruyllas.
Attraversando luoghi di magica bellezza, Mussumeci e la sua guida giungono al Castello di Capo d’Orlando e anche il lettore, grazie ad una scrittura che si insinua sotto la pelle, entra in un villaggio grazioso, “un pugno di rustiche case in pietra arenaria ai piedi dell’erta collina sulla cui sommità c’è il Castello” e apprende curiose notizie sull’attività produttiva più redditizia del territorio: l’allevamento del prodigioso baco da seta. Personaggi bizzarri ruotano attorno al giovane medico come il cavaliere Tito Salapuzio, “il personaggio più in vista del luogo”, una bravissima persona anche se un po’ strambo che ama collezionare anticaglie, osservare le stelle e ideare scherzi memorabili.
Le peripezie di Mussumeci non sono finite e dopo aver fatto tappa a San Marco è a San Filadelfio che finalmente il giovane ebreo trova un luogo disposto ad accoglierlo e a sfruttare le sue capacità mediche. Infatti, il feudatario Corrado Rosso del Furiano, riconoscente per la riacquistata salute della nuora grazie alle cure dell’ebreo, lo nomina medico della famiglia comitale e lo autorizza ad aprire uno studio in città.
La fama del medico si estende anche oltre i confini del villaggio e cresce ancor più dopo il terribile terremoto che lo vede strenuamente impegnato a salvare quante più vite possibile e a prodigarsi con vera devozione nella cura dei numerosi feriti. Accanto a lui una moltitudine variegata di donne: dalle monache del convento di clausura che rischiano di essere murate vive per aver rotto la clausura, alle giovani ragazze della casa di piacere si ritrovano tutte, unite e solidali, nell’assistenza alle vittime del terremoto.
Motivi di carattere personale inducono Mussumeci a lasciare San Filadelfio e a tornare a Catania dove la vita ha in serbo per lui altre peripezie ed esperienze, alcune molto dolorose.
Da ultimo si stabilisce a Licata, città reale sulla costa meridionale della Sicilia, dove cerca di ricomporre i frammenti della sua esistenza. L’ultimo capitolo, di magistrale arte narrativa, racconta l’incontro con Joshua ben Isaac Joel, un correligionario proveniente dalla Provenza, un altro medico errante, “depositario di straordinari segreti dell’arte sanitaria e di farmaci miracolosi”.
La convivenza degli ebrei siciliani con la popolazione locale è destinata a finire bruscamente con il decreto di espulsione del 1492 dei re cattolici Ferdinando e Isabella che darà avvio ad una nuova drammatica Diaspora per il popolo ebraico.
Con “Le isole vagabonde” Giuseppe Sicari ci consegna un romanzo intriso di storia, di contenuti, di intrecci intriganti, delineando i personaggi in modo minuzioso e cogliendo di ciascuno i punti di forza e le debolezze; il tutto con una prosa intensa che fluisce in pagine di armoniosa bellezza.
Il risultato è un libro luminoso che lascia l’impronta di una memoria da conservare.

Giorgia Greco

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