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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Robert St. John, Una vita per un popolo 25/09/2013

L’eretico
Una vita per un popolo                                     Robert St. John
Traduzione di M. Luisa Garbagnati Bianchi
Esculapio                                                             euro  14

Copertina anteriore

E’ una biografia di impareggiabile valore quella che arriva ai lettori italiani dopo la prima edizione americana del 1952 e il merito va, oltre che alla casa editrice bolognese che comprendendo l’importanza dell’opera l’ha ripubblicata, alla studiosa di storia ebraica e valente traduttrice M. Luisa Garbagnati Bianchi.
E’ lei che nel corso di un viaggio in Israele imbattendosi nel libro di Robert St. John ha desiderato tradurlo e sperato “che altri lo traducessero in altre lingue per diffondere nel mondo cristiano il sentimento di giustizia e di amore verso gli ebrei in generale e in particolare verso questo pugno di superstiti delle persecuzioni che con l’amore, i sacrifici e le lacrime, ha ritrovato la via del ritorno; che con il duro lavoro ha riscattato questo pezzetto di deserto da secoli di sterilità: che ora cerca di difendere e mantenere la sua piccola casa con il valore e con il sangue dei suoi più giovani figli”.
Con il ritmo narrativo di un romanzo e l’impronta di un documento storico, Robert St. John corrispondente per gli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale, ci restituisce la biografia di una delle personalità più importanti del mondo ebraico, colui che ha fatto rinascere l’ebraico dando vita ad una lingua moderna parlata da milioni di persone in una patria comune.
Eliezer Ben Yehuda è un ebreo lituano di Luzhky che sin dalla tenera età è attratto dallo studio e dalla conoscenza di svariate opere letterarie. Dall’incontro con un famoso rabbi scopre che la lingua ebraica può essere usata anche per affrontare argomenti diversi da quelli dei libri sacri.
Dopo essere stato cacciato dallo zio presso il quale la mamma l’aveva mandato a studiare, un ebreo ortodosso di religiosità fanatica, incapace di accettare la curiosità e l’apertura mentale del nipote,  Eliezer  Ben Yehuda viene accolto da un ricco distillatore di Glubokiah il quale, trattandolo come uno dei suoi figli, lo avvia agli studi.
Nelle scuole che frequenta il giovane eccelle e ottiene borse di studio maturando quella consapevolezza che rivoluzionerà la sua vita: il popolo ebraico deve tornare alla terra dei padri per avere una patria, non sentirsi più straniero nei paesi dove vive e in questa lotta imprescindibile l’obiettivo comune è l’apprendimento di una sola lingua, la più degna delle quali non può essere che l’ebraico.
Nelle pagine che seguono il giornalista americano narra con passione e accuratezza storica il percorso di vita dell’ebreo lituano, il suo trasferimento in Palestina, il matrimonio prima con Deborah poi con Pola, le figlie del mercante di Glubokiah, la nascita dei figli, la morte prematura di Deborah per quel male terribile, la tubercolosi, contratta dal marito, ma racconta anche delle difficoltà economiche incontrate nella “Terra dei padri”, dei pregiudizi dei rabbini ortodossi dinanzi al grandioso progetto di Eliezer di far rinascere la lingua ebraica. Lavora instancabilmente alla creazione di un vocabolario di parole nuove, compulsando migliaia di testi, annotando anche la più insignificante delle parole su pezzetti di carta che sparge per la casa e in tutto questo ottiene l’appoggio, oltre che l’amore incondizionato di Hemda (il nome ebraico della giovane Pola). Donna tenace e volitiva, Hemda dapprima collabora con rubriche di cultura alla redazione del giornale “Il Cervo” - uno strumento prezioso che  consente al marito di divulgare persino nelle colonie più lontane  quelle idee e quei  progetti che rappresentano  i caposaldi della sua esistenza – poi inizia a viaggiare in Europa e persino in America per raccogliere i finanziamenti necessari alla pubblicazione dei volumi del dizionario al quale sta lavorando senza sosta Eliezer.
Arrivando a Gerusalemme nel 1948 poche ore prima che la Legione Araba iniziasse l’assedio della città e percorrendo Ben Yehuda Street,  Robert St. John non sa ancora chi sia quell’uomo il cui nome è onorato nelle strade di varie località israeliane, ma osserva attentamente quelle migliaia di ebrei con costumi, tradizioni, atteggiamenti religioni differenti che provenendo da vari paesi occidentali e orientali hanno dato vita ad una nazione.
Qual è il collante che  unisce quel popolo, si chiede il giornalista americano? Non la religione e neppure l’affinità intellettuale bensì – argomenta St. John – “oltre a un comune bruciante desiderio per una terra tutta loro, la grande forza di coesione era il loro comune linguaggio”.
Di ritorno a New York, in occasione di un party, Robert incontra la figlia di Ben Yehuda la quale lo conduce a conoscere la madre Hemda, una vivace ottantenne da pochi giorni arrivata in America per sottoporsi ad un intervento. Quella donna dalla tempra d’acciaio - che molti anni addietro aveva abbandonato la Russia per condividere la sua vita con Eliezer in una terra nuova affrontando mille difficoltà - guarda il giornalista americano con aria civettuola mentre appoggiandosi ai guanciali continua a scrivere “le sue memorie”.
Anni prima, Hemda aveva scritto una biografia del marito pubblicata a Gerusalemme ed ora la figlia si offre di tradurla in inglese per St. John.
Da quell’incontro, dall’ analisi dei manoscritti dello stesso Ben Yehuda, oltre che da ricerche e studi compiuti nelle biblioteche degli Stati Uniti e d’Europa, nasce questo saggio imperdibile che ha il pregio di far conoscere una delle figure più salienti del mondo ebraico raccontando con stile divulgativo e prosa avvincente la storia di un uomo che “era riuscito a resuscitare un’antica lingua e ad imporla a un popolo come lingua vivente……un uomo che rese possibile a milioni di persone ordinare generi alimentari, gridare alle mandrie, fare all’amore e imprecare contro i vicini in una lingua che fin’allora era stata ritenuta adatta soltanto per le argomentazioni talmudiche e le preghiere”.

E’ un’opera da leggere con rispetto quella di Robert St. John, un non ebreo che ha dedicato tempo ed energie a scrivere un libro pulsante di vita, di ideali, di lotte umane, rendendo omaggio ad un uomo che ha saputo cambiare il corso della sua vita e di quella di milioni di persone.

Giorgia Greco


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