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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Yoram Kaniuk, 1948 14/06/2013

1948                                                      Yoram Kaniuk
Traduzione di Elena Loewenthal
Giuntina                                                  euro 15


Proprio a pochi giorni dalla scomparsa del grande scrittore israeliano Yoram Kaniuk, il suo romanzo 1948 si aggiudica la XIII Edizione del Premio Letterario ADEI-WIZO “Adelina Della Pergola”.
Dopo essere stato scelto nella Terna finalista dalla Giuria nazionale, le oltre duecento giurate popolari hanno decretato vincitore quel racconto epico della storia di Israele agli albori dell’Indipendenza.
Una delle voci più intense del panorama letterario israeliano è stato anche un caso unico nel suo Paese: Yoram Kaniuk, classe 1930, chiese e ottenne dal Tribunale di Tel Aviv nel maggio 2011 di avere cancellata dalla sua carta di identità l’appartenenza religiosa, non perché non si sentisse ebreo ma perché era convinto che Stato e religione dovessero rimanere separati.
Cresciuto a Neve Tzedek frequentando un ambiente colto e raffinato, Kaniuk si arruolò a 17 anni nel Palmach e nella guerra di Indipendenza del 1948 rimase ferito ad una gamba. Trasferitosi a New York si appassionò alla pittura ottenendo riscontri positivi, senza però mai abbandonare il suo interesse per la scrittura alla quale decise di dedicarsi completamente.
Dopo dieci anni trascorsi in America Yoram Kaniuk tornò in Israele diventando critico teatrale, giornalista e autore di romanzi e raccolte di racconti, molti dei quali tradotti in italiano come Adamo risorto (Theoria), il suo esordio in Italia, che colpì i lettori con la narrazione originale di un uomo che i nazisti avevano trasformato in cane. A questo primo romanzo seguirono Postmortem, Il comandante dell’Exodus, Tigerhill, La ragazza scomparsa. Tradotto in 25 lingue Yoram Kaniuk non si impose in Italia come altri autori israeliani in parte, a giudizio di chi scrive, perché era uno scrittore difficilmente inquadrabile in canoni prefissati, in parte per la complessità della sua narrativa.
All’età di 80 anni questo personaggio scomodo e anticonformista, considerato una vera icona in Israele, ha mandato in libreria l’ultimo romanzo, uno dei più belli. Vincitore del prestigioso Premio Sapir, 1948 racconta in pagine di forte impatto emotivo, colme di poesia e pervase da un sottile sarcasmo, il conflitto che ha portato alla nascita dello Stato di Israele, addentrandosi senza retorica nel dolore della guerra, salendo una montagna impervia di memorie da cui spuntano, come arbusti selvatici, gesti di eroismo, situazioni assurde e imprevedibili, attimi di terrore dinanzi alla morte che colpisce giovani poco più che adolescenti.
Dopo 60 anni dalla fine della Guerra d’Indipendenza Kaniuk ha dato voce ai frammenti di memoria che lo accompagnarono per tutta la vita: già dal 1959 quando lavorava come marinaio sulla Pan York, una delle navi che portavano i profughi ebrei dall’Europa in Israele, aveva tentato di scrivere ma “…in realtà ero pieno di odio, avevo visto troppo sangue…non trovavo il tono giusto”. Solo dopo essere uscito da una lunga malattia comprese che se non avesse scritto allora non l’avrebbe fatto più. Ma anche il ricordo della battaglia di Ramle e degli avvenimenti che ne seguirono è stata la chiave che lo spinse a dedicarsi al libro.
Sono pagine crude, atroci come solo può essere la guerra, quelle di Yoram Kaniuk: una narrazione autobiografica dalla quale emerge l’esperienza di un ragazzo partito volontario per la guerra che si trova a dover fare i conti con la fame, il freddo, il sonno, lo sgomento dinanzi alla morte assurda dei sopravvissuti alla Shoah che, senza capire una parola di ebraico, imbracciano il fucile orgogliosi di combattere per la difesa della loro Terra.
Il pregio di 1948 non risiede solo nella capacità dell’autore di raccontare in modo magistrale il conflitto attraverso le vicende drammatiche e sofferte di chi l’ha vissuto (“…desideravo mostrare come erano andate le cose, quanto noi non fossimo affatto dei giganti e combattessimo invece per la nostra sopravvivenza”), ma anche nell’intento di far comprendere, sia quanto il trauma della Shoah persista ancora oggi nella società israeliana (“Una tragedia che non è possibile dimenticare”),  sia quanto fosse falso il mito che dipingeva il Palmach come un esercito di supereroi intenzionati a distruggere e cacciare gli arabi (“…eravamo su un precipizio e combattevamo per non finirci dentro”).
Quei frammenti di ricordi che fluiscono come un fiume in piena, ci restituiscono un racconto dall’impronta orale che, al di là dei meriti letterari, ha il grande valore storico di averci fatto conoscere la guerra non attraverso le strategie dei comandanti, ma filtrata dagli occhi ingenui di giovani idealisti, di soldati semplici che, combattendo per difendere il diritto alla sopravvivenza, hanno reso possibile la nascita dello Stato d’Israele.
Dedicato agli “amici morti e vivi che sono stati in quell’inferno da macello e sì, hanno anche fondato uno Stato”, il romanzo di Kaniuk è un vero “testamento spirituale”: un’opera da leggere con rispetto e devozione.


Giorgia Greco


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