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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Israel Joshua Singer, La famiglia Karnowski 06/05/2013

La famiglia Karnowski                         Israel Joshua Singer
Traduzione di Anna Linda Callow
Adelphi                                                         Euro 20

Una famiglia cha ha lasciato un solco indelebile nella letteratura del Novecento, quella dei Singer che la nipote pittrice Hazel Karr definisce “folli geniali”.
Il mondo in cui sono cresciuti i fratelli Singer era quello della Polonia del XX secolo, un universo di villaggi ebraici dove si parlava yiddish, che fu poi completamente annientato dalla Shoah.
E’ lo stesso ambiente pervaso di misticismo e abitato da cabalisti e zaddik della tradizione chassidica che Isaac Bashevis Singer, il più famoso dei fratelli, Premio Nobel per la letteratura nel 1978, ha magistralmente rievocato nell’autobiografia “Alla corte di mio padre”.
Un mondo che ritorna anche nel romanzo Debora (Baldini Castaldi Dalai) della sorella Esther Kreitman Singer, una valente scrittrice considerata dalla critica una sorta di Virginia Woolf ebrea, la cui fama è stata purtroppo offuscata da un ambiente familiare che la relegava alle “faccende domestiche” mentre Israel e Isaac studiavano nelle Yeshiva e ottenevano successi in campo letterario.
Considerato un “maestro” dal fratello minore Isaac, Israel Joshua Singer è uno scrittore poco conosciuto al grande pubblico che per troppo tempo è rimasto nell’ombra del fratello più celebre ma, a parere di chi scrive, ancor più talentuoso.
Nato a Bilgoraj nel 1893 Israel non ha voluto seguire le orme del padre rabbino, allontanandosi dalla famiglia chassidica e prendendo come punto di ferimento il movimento illuminista ebraico, l’Haskalà. Attratto dalla pittura e dalle idee rivoluzionarie russe dopo essere stato a Mosca nel 1918, torna a Varsavia dove diventa corrispondente del giornale americano yiddish “The forward” e infine decide nel 1934 di emigrare in America. Nel frattempo aveva già cominciato a scrivere racconti e romanzi di stampo chassidico e contributi giornalistici di grande valore.
Muore nel 1944 per un attacco cardiaco poco dopo la pubblicazione del romanzo “La famiglia Karnowski” tradotto per la prima volta in italiano da Anna Linda Callow per la casa editrice Adelphi alla quale va il merito di aver riscoperto una nuova opera di questo insigne autore (di Israel Joshua Singer erano già usciti I fratelli askenazi e Yoshe Kalb per Longanesi).
Cantore indimenticabile del mondo yiddish, con questo libro Israel ci regala un vero capolavoro della letteratura novecentesca per l’intensità della trama, per la complessità dei personaggi magistralmente ritratti, nonché per l’alto valore letterario della prosa. Un’opera che va letta con il rispetto e la devozione che si riserva a un classico e con la curiosità e l’interesse che merita un grande affresco storico e sociale.
Attraverso i temi della famiglia e dell’identità declinati nelle vicende di tre generazioni della famiglia Karnowski (David, Georg e Georg Joachim) si dispiega la visione del mondo dell’autore che, con straordinaria abilità narrativa, mette in scena la tragedia che coinvolge il mondo ebraico-tedesco: desiderosi di essere “ebrei in casa e tedeschi per strada”, gli ebrei a cavallo fra Ottocento e Novecento vengono invece travolti dai flutti della Storia che li ha resi tedeschi in casa ed ebrei per strada.
Ma anche all’interno di questo universo lo scrittore affronta con intelligenza e un pizzico di umorismo le contraddizioni e le lacerazioni che nascono dal confronto fra gli ebrei “tedeschi da generazioni” e quelli venuti dall’Est che con i loro scialli da preghiera, il loro ossequio religioso, i loro cernecchi si contrappongono agli ebrei assimilati fedeli all’Haskalà di Moses Mendelssohn.
Tre generazioni e tre luoghi geografici si intrecciano in questo romanzo.
Dallo shtetl polacco di Melnitz David Karnowski, brillante commerciante di legname, erudito nella cultura profana e amante del Pentateuco commentato da Mendelssohn, dopo un aspro litigio con il rabbino della sinagoga, arriva nella luminosa Berlino che per lui rappresenta la sapienza e la nobiltà e si trasforma in un perfetto tedesco lasciandosi alle spalle, con grande costernazione della moglie Lea, l’arretratezza ma anche l’umorismo e la tenerezza del mondo yiddish
Il figlio Georg, testardo e determinato come il padre (“I Karnowski erano noti per il loro carattere testardo e provocatore, ma allo stesso tempo stimati per la vasta erudizione e l’intelligenza penetrante”) cresce in fretta rifuggendo le tenerezze in yiddish della madre e, sfidando l’autorità paterna, prima si iscrive alla facoltà di medicina diventando un famoso ginecologo poi sposa una giovane infermiera ariana attratto dalla sua timidezza e semplicità.
Dopo aver combattuto al fronte nella Grande Guerra, Georg si inserisce nell’ambiente sociale e mondano dell’alta borghesia berlinese ma sono anche gli anni difficili che vedono l’avanzare dell’inflazione, l’arrivo di rivoluzionari che incitano a distruggere la civiltà e la presenza sempre più insistente di giovani uomini in stivali che sfilano per le strade della città illuminata  inneggiando con urla selvagge al massacro degli ebrei. Giornalisti, intellettuali, medici vengono picchiati, commercianti costretti a chiudere i negozi le cui vetrine sono imbrattate di scritte antisemite, mentre i poliziotti nei loro elmetti non sono più certi della loro autorità e nemmeno intervengono per ripristinare l’ordine. Gli ebrei assimilati ritengono che un tale disastro sia imputabile agli ebrei polacchi e lituani e al loro ebraismo ostentato, infarcito di credenze religiose e storielle umoristiche.
Questo clima incandescente si ripercuote più di tutto sul giovane Jegor Karnowski, figlio di Georg e Teresa, che non accetta la parte ebraica di sé e si identifica con il viscido e fannullone zio tedesco del quale ammira il passato militare. Si avvicina a giovani nazisti, incomincia a odiare il padre fino a quando è costretto a subire dal preside del liceo che frequenta un’umiliazione devastante: sarà costretto a spogliarsi dinanzi a tutti gli studenti per mostrare le sue caratteristiche anatomiche di ebreo. Invece di odiare chi l’ha disprezzato così ignobilmente incomincia a detestare il proprio lato ebraico, diventa indolente e si rinchiude in un mondo di nevrosi.
A differenza di molte famiglie ebraiche che sentendosi sicure nella loro patria attendono che il peggio passi, i Karnowski prendono la decisione saggia e lungimirante di partire per gli Stati Uniti salvandosi in tal modo dai campi di sterminio.
Lea, David, Teresa, Georg e Jegor arrivano in una New York inondata di sole, pullulante di sinagoghe, macellerie kasher, scuole religiose, negozietti e minuscoli chioschi addossati gli uni agli altri. David e la moglie Lea sono felicissimi di aver ritrovato un mondo ebraico intenso e gioioso dove il cuore si può finalmente aprire ad uno spiraglio di speranza per il futuro. Per i più giovani invece l’impatto con la nuova città è il frastuono delle radio che strepitano a tutto volume, è l’afa, sono le auto e il rumore che non dà tregua nemmeno alla notte, è l’impossibilità per Georg di tornare a esercitare come medico, è la desolazione di Teresa per ogni dollaro che scivola via giorno dopo giorno, è la rabbia che devasta il fragile e nevrotico Jegor fino a portarlo al disastro e a un drammatico epilogo.
Indimenticabili e ritratte con pennellate vivaci sono le figure femminili di questo romanzo: Elsa Landau, attivista politica indomita e coraggiosa, medico scrupoloso, non esita a scegliere la carriera sacrificando ad essa l’amore e la maternità; Lea, moglie devota e affettuosa del patriarca David, rimane fedele per tutta la vita a quel mondo yiddish respinto negli anni berlinesi dal marito ma che poi ritrova gioiosamente nella nuova patria americana; Teresa il cui amore per Georg ha dato il ritmo alla sua esistenza in un continuo difficile confronto con la parte ariana della sua famiglia, Rebecca, sorella di Georg, innamorata di un uomo debole e insicuro preferisce non abbandonare la Germania per non privare il marito dei suoi successi di violinista: una devozione che forse le costerà la vita.
Infine c’è una figura straordinaria nel romanzo di Singer che si erge con forza e rimane impressa nell’animo del lettore: Salomon Burak. Proveniente anch’egli dal villaggio di Melnitz ha fatto fortuna a Berlino con la vendita di abiti da donna, vive in un quartiere prestigioso ma non ha mai dimenticato le proprie radici e la sua dimora lussuosa è sempre aperta ai correligionari che lo cercano per avere un prestito di denaro, un consiglio o per poter semplicemente disporre di riparo per qualche giorno o qualche settimana.
Arrivato a New York deve ripartire da capo a fare il venditore porta a porta: con una valigia che si trascina dietro faticosamente ma pervaso da un inesauribile ottimismo, Solomon Burak lavora con tenacia senza scoraggiarsi fino a quando la fortuna torna a sorridergli e diventa presidente della sinagoga Shaare-Tsedek, nel West Side di Manhattan. E’ un’occasione che la vita gli offre per tendere ancora una volta una mano a chi ha bisogno, in questo caso il vecchio David Karnowski, dimenticando le umiliazioni del passato.
Un affresco storico e umano d’ incomparabile bellezza, una saga familiare che ricorda i il capolavoro di Thoman Mann, una sapiente sinfonia a più voci, una riflessione profonda sul mondo ebraico-tedesco, uno sguardo profetico sulla situazione degli ebrei nell’Europa dei primi anni del Novecento: questo e molto altro è il romanzo di Israel Joshua Singer, una lettura dove si stenta a lasciare la pagina, un’opera che lascia l’impronta di una memoria da conservare.

Giorgia Greco


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