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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Kerry: missione fallita al Cairo 07/03/2013

Kerry: missione fallita al Cairo
Commento di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)


Zvi Mazel                 John Kerry


Mohamed Morsi

Ci devono essere state delle anime in pena a Washington la scorsa settimana dopo la visita di Kerry al Cairo. Sono ormai lontani i giorni di Mubarak, l’alleato di ferro dell’America, leader del mondo arabo, garante della stabilità della regione e del trattato di pace con Israele. Per la seconda volta in meno di un anno un inviato americano carico di doni viene ricevuto con violente proteste.

Lo scorso luglio, era arrivata al Cairo Hillary Clinton, per un primo contatto con il nuovo presidente Mohammed Morsi, il candidato della Fratellanza Musulmana, e si era dovuta confrontare con le manifestazioni dell’opposizione non islamica al regime, e con i copti, furiosi per l’aiuto dato ai Fratelli, determinante per la loro vittoria. Questa volta è stato l’intero paese ad essere sul piede di guerra, con dimostrazioni davanti all’Ambasciata americana e al Ministero degli Esteri, mentre il “Fronte Nazionale di Salvezza”, che raggruppa la quasi totalità dei movimenti non islamici all’opposizione, si era rifiutato di incontrarlo, e i media non filo-governativi l’attaccavano duramente.

Si sentivano offesi dall’ America che aveva invitato tutti i partiti a prendere parte alle imminenti elezioni parlamentari, proprio mentre l’opposizione ne proclamava il boicottaggio. Mohammed el Baradei, uno dei leader dell’opposizione, dichiarò che era una inaccettabile interferenza negli affari interni egiziani. L’opposizione rifiutava le elezioni perché non riconosceva la legittimità della nuova costituzione. Voleva invece un governo neutrale che controllasse la campagna elettorale affinchè fosse libera e trasparente, senza tutti gli imbrogli che si erano verificati nel referendum. El Baradei e il suo alleato Hamdeen Sabahi, a capo del movimento popolare nasseriano, avevano annunciato che non avrebbero incontrato Kerry, mentre Amr Moussa, l’altro leader del Fronte e navigato diplomatico, aveva accettato di incontrarlo ma solo “privatamente”, cioè non come leader del Fronte ma nella sua qualità di presidente del Partito del Congresso.  Kerry aveva chiamato el Baradei al suo arrivo al Cairo il 2 marzo, ma non era riuscito a fargli cambiare idea,anche se l’Ambasciatore americano aveva invitato 11 membri dell’opposizione per incontrarlo, ma solo sei erano venuti.  E’ poi emerso che Kerry ha ribadito la posizione ufficiale americana, cioè le elezioni per garantire la stabilità del paese. Tre membri dell’opposizione sono stati irremovibili, mentre gli altri tre si sono dichiarati per la partecipazione elettorale a patto che fosse garantita la trasparenza e senza brogli e imposizioni.

Il Segretario di Stato ha fallito la sua missione, anche se ha fatto sentire il peso del proprio paese nel tentativo di conciliare Morsi con l’opposizione, o almeno un tentativo di dialogo fra le parti. La sua visita aveva anche un altro scopo, non solo fare pressione su Morsi affinchè rispettasse i valori democratici, ma anche ricordargli la grande importanza dell’Egitto nella regione e la necessità di mantenere la pace con Israele. Nei colloqui con i capi dei servizi di intelligence ha insistito sul bisogno di mantenere la sicurezza nella Penisola del Sinai e prevenire il contrabbando di armi nella Striscia di Gaza. In quanto alla profonda crisi economica ha promesso l’invio di 250 milioni di dollari (oltre all’impegno di 1 miliardo di Obama di un anno fa), chiedendo però a Morsi di ratificare un impegno con il Fondo Monetario Internazionale per un prestito di 4.8 miliardi di dollari. Non ancora avvenuto, sia per l’instabilità politica egiziana, sia per un ostacolo inatteso:  I prestiti con interesse sono proibiti dalla Shari’a. Se verrà trovata una soluzione, potrebbero aprirsi altre strade per prestiti a interessi ridotti da altri paesi, come da compagnie internazionali di investimenti. In ogni caso, il prestito dell’FMI porta con sé delle condizioni: Morsi deve realizzare riforme economiche radicali, eliminare sovvenzioni e corruzione, che generano la profonda crisi economica, sociale e politica del paese. La situazione è già abbastanza grave di per sé.

L’Egitto è sull’orlo del caos. Ci sono rivolte e manifestazioni di massa contro il regime dei Fratelli Musulmani , che ne chiedono la fine insieme alle dimissioni di Morsi. Si direbbe che la gente chieda all’esercito di prendere il potere. In diverse città si sono verificati tentativi legali di nominare il Ministro della Difesa, Abdelfatah el Sisi, affinchè prenda il controllo del governo anche se solo temporaneamente. Negli scontri tra manifestanti e forze di sicurezza vi sono state dozzine di morti e migliaia di feriti. I dimostranti sono in genere musulmani che hanno perso la fiducia in Morsi perchè non vogliono essere governati dalla Shari’a. Bande di estremisti – fra loro anche i cosidetti “Black Blok”-, fomentano la disubbidienza civile, come avvenne a Port Said, difusasi poi alle città lungo il canale di Suez e da lì in tutto il paese. Sono state attaccate e anche date alle fiamme stazioni di polizia, scioperi fra gli operai e posti di blocco nelle strade di grande comunicazione.

Curiosamente Morsi non sembra preoccuparsi e continua a dire che in Egitto tutto va bene e che tutto si aggiusterà. Nello steso tempo nomina suoi uomini in tutti i posti pubblici, a livello locale e nazionale, in modo da concentrare tutto il potere nelle mani della Fratellanza.

Il Segretario di Stato era informato di quel che accade veramente in Egitto ? Era informato che ciò che sta avvenendo è una lotta  totale per impadronirsi dell’Egitto del dopo-rivoluzione ?  La scelta è fra andare verso la democrazia e lo sviluppo o tornare indietro a un regime estremista islamico. Con l’avere insistito con l’opposizione affinchè accettasse le regole del gioco stabilite da Morsi e partecipare alle elezioni, Kerry si è schierato contro larga parte della popolazione. Gli americani sono colpevoli di avere sostenuto per troppo tempo  la dittatura di Mubarak e adesso fanno lo stesso con Morsi. Sono sempre più numerosi gli appelli che invitano gli americani ad andarsene con i loro soldi dall’Egitto e non interessarsene più. Lo stesso Morsi, curiosamente, non sembra pronto a recepire questi messaggi che arrivano da Washington. Sempre più numerosi sono coloro che dalla capitale e sui media americani richiedono apertamente la cessazione di ogni tipo di aiuto verso un alleato così inattendibile.

La Casa Bianca potrebbe valutare varie opzioni.  Continuare ad aiutare la Fratellanza ad imporre l’islam estremista in Egitto, oppure venire in soccorso a coloro che stanno cercando di avviare il paese verso la democrazia ? Per il momento l’America sta ricevendo insulti da entrambe le parti…

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs.
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